Corte Costituzionale, non fondate le censure sulla sospensione del pagamento degli interessi durante il dissesto finanziario

Non sono fondate le questioni sollevate dal Consiglio di Stato sulle norme che prevedono la “mera sospensione” del pagamento degli interessi durante la procedura di dissesto di un ente locale e non escludono il diritto dei creditori di chiedere il pagamento di quelli maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto. È quanto sostenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 219/2022, che ha ritenuto le norme sul dissesto contenute nel Testo unico enti locali (articolo 248, quarto comma) espressive di un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela dei creditori, alla base della sicurezza dei traffici commerciali, e l’esigenza di ripristinare i servizi indispensabili per la comunità locale.

La Corte, nell’esaminare la disposizione relativa agli interessi sul debito degli enti locali, ha affermato che, in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale, la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell’ambito del dissesto dell’ente locale, ma essa «non implica la “estinzione” dei crediti non ammessi o residui, i quali, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato» (sentenza n. 269 del 1998). Tale meccanismo risulta finalizzato alla realizzazione della par condicio, oltre che a impedire un ulteriore deterioramento della condizione patrimoniale del debitore.

La Corte ha ricordato che un comune, nell’assumere un impegno di spesa pluridecennale, dovrebbe prestare adeguata considerazione alla relativa sostenibilità finanziaria, con l’indicazione delle risorse effettivamente disponibili, a garanzia di una sana gestione finanziaria. Inoltre, in pendenza della procedura di dissesto, dovrebbe apprestare misure, anche contabili, idonee a garantire il più rapido ripristino dell’equilibrio finanziario. Il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione rappresenta un obiettivo prioritario non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, che viene intrinsecamente minato dalle situazioni debitorie non onorate tempestivamente.

L’assunto del Consiglio di Stato, secondo cui la vigente disciplina sugli accessori del credito attribuirebbe ai creditori degli enti locali in dissesto una tutela eccessiva a scapito della collettività di cui l’ente locale è esponenziale, non tiene conto del fatto che la disciplina sul dissesto (artt. 244 e seguenti del TUEL) contiene una serie di misure volte a consentire, da un lato, che l’OSL gestisca il passivo pregresso (a tutela della massa dei creditori) e, dall’altro lato, che il comune continui a esistere e operare (in quanto ente necessario), con un bilancio autonomo e distinto da quello dell’OSL, finalizzato non solo a gestire gli affari correnti, connessi soprattutto ai servizi essenziali, ma pure ad accantonare risorse per il pagamento di eventuali debiti o accessori che dovessero generarsi in pendenza della gestione liquidatoria.

Le attuali norme sul dissesto sono dunque espressive di un bilanciamento non irragionevole tra l’esigenza, che è alla base della sicurezza dei traffici commerciali, che si correla all’art. 41 Cost., di tutelare i creditori e l’esigenza di ripristinare sia la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni, sia i servizi indispensabili per la comunità locale. La Corte ribadisce che il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione rappresenta un «“obiettivo prioritario […] non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, il quale viene intrinsecamente minato dalla presenza di situazioni debitorie non onorate tempestivamente”.

Nel caso oggetto del giudizio, la possibile nuova dichiarazione di dissesto a cui – si assume – sarebbe esposto il Comune non è dunque imputabile alla norma censurata, ma rappresenta piuttosto un inconveniente di fatto, inidoneo, da solo, a fondare un profilo di legittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 220 del 2021, n. 115 del 2019, n. 225 del 2018). Peraltro, la Corte ha già chiarito, il quadro normativo e quello costituzionale vigenti consentono di affrontare le situazioni patologiche della finanza locale, sia quando queste siano imputabili a caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio, mediante l’attivazione dei meccanismi di solidarietà previsti dall’art. 119, terzo e quinto comma, Cost. (quindi, in ipotesi di deficit strutturali); sia quando le disfunzioni sono dovute a patologie organizzative, per il rilievo e contrasto delle quali il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, ha previsto strumenti puntuali e coordinati per prevenire situazioni di degrado progressivo nella finanza locale (sentenza n. 115 del 2020).

 

La redazione PERK SOLUTION

Il Consiglio di Stato censura la norma che consente ai creditori di chiedere gli interessi al termine della procedura di dissesto

Il Consiglio di Stato solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, del TUEL in riferimento agli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 della Costituzione. La disposizione censurata prevede che dalla data di deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto dell’organo straordinario di liquidazione i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Il rimettente, preliminarmente, esclude di poter aderire all’opzione interpretativa sugli effetti estintivi del pagamento integrale della quota capitale disposto dall’organismo straordinario di liquidazione nella fase di dissesto. Tale lettura non troverebbe riscontro né nel tenore letterale della disposizione né nell’interpretazione ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale relativa a previgente ma analoga disposizione, secondo la quale ogni pretesa creditoria rimasta insoluta nella procedura di dissesto torna ad essere esigibile nei confronti dell’ente locale una volta cessato il regime di sospensione temporanea, strumentale all’attività di rilevazione ed estinzione delle passività, a prescindere che vi sia stato o meno l’integrale pagamento della sorte capitale.

Il Consiglio di Stato ritiene che tale principio, elaborato sulla base della giurisprudenza costituzionale richiamata e da ultimo espresso nella sentenza n. 269 del 1998, possa essere rivalutato alla luce della sua anteriorità alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli ulteriori interventi normativi che hanno conformato la disciplina del dissesto. Il rimettente ricorda che con la menzionata riforma costituzionale del 2001 i Comuni hanno visto riconosciuta con pienezza la loro posizione di ente pubblico territoriale di base e dalla ricognizione normativa relativa alla disciplina del dissesto se ne desume che la finalità consista nello stabile risanamento dell’ente locale attraverso la rimozione degli squilibri di bilancio che ne hanno causato il dissesto. Secondo la prospettazione del Consiglio di Stato il regime di inesigibilità solo temporaneo degli accessori del credito, derivante dall’equiparazione sul piano normativo di situazioni ontologicamente diverse, quali il dissesto finanziario degli enti locali e il fallimento dell’imprenditore
privato, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza. L’effetto di tale ingiustificata equiparazione – considerata la differente finalità della disciplina del dissesto rispetto a quella del fallimento – potrebbe compromettere l’obiettivo della stabile rimozione degli squilibri di bilancio che hanno determinato il dissesto dell’ente locale in quanto l’ente, tornato in bonis, sarebbe soggetto al credito per interessi maturati dopo la dichiarazione del dissesto rischiando di pregiudicare l’equilibrio raggiunto e di rendere necessario un nuovo intervento straordinario a carico della finanza pubblica. Il rimettente prosegue, inoltre, ritenendo che la disposizione censurata violerebbe, sotto altro profilo, l’art. 3 della Costituzione per l’attribuzione al creditore di una tutela che sembrerebbe eccedere i limiti di un equilibrato bilanciamento delle contrapposte esigenze a base dell’istituto del dissesto. Il regime normativo riservato agli accessori del credito nei confronti dell’ente locale dissestato confliggerebbe anche con il principio di equilibrio dei bilanci pubblici profilandosi il rischio di dissesti
in successione, così da compromettere il percorso di ripristino dell’attività ordinaria dell’ente locale una volta rimosse le cause che ne avevano determinato il dissesto. A tale riguardo, prosegue il rimettente, si configurerebbe anche una violazione del principio del buon andamento. Il Consiglio di Stato evidenzia che la disciplina censurata sembrerebbe svuotare di contenuto il riconoscimento costituzionale degli enti locali e del principio del pluralismo autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione. Il rimettente, infine, ravvisa una potenziale contrarietà della norma con gli artt. 114 e 118 della Costituzione per il sacrificio a carico della collettività, di cui il Comune è ente esponenziale, sotto il profilo delle negative ripercussioni, tanto sul piano della continuità delle funzioni amministrative che dei servizi pubblici, a fronte della tutela riconosciuta dalla norma al creditore commerciale. Per il Collegio rimettente la possibilità di rimuovere i prospettati profili di incostituzionalità potrebbe risiedere nel considerare inesigibili in via definitiva, e non solo temporanea, gli accessori del credito nei confronti dell’ente locale, riconoscendo carattere estintivo al pagamento integrale del credito, avvenuto nell’ambito della procedura di dissesto, per sorte capitale e interessi maturati al momento dell’apertura della procedura.

 

La redazione PERK SOLUTION

Dissesto finanziario: Rientra nella competenza dell’OSL il rimborso dell’anticipazione di liquidità

Con deliberazione n. 8/SEZAUT/2022/INPR la Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, pronunciandosi sulla richiesta di parere posta dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, enuncia il seguente principio di diritto: «La gestione delle anticipazioni di liquidità erogate dalla Cassa Depositi e Prestiti per l’estinzione di debito pregresso ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 35/2013 e di successivi interventi normativi, contratte dall’ente prima del 31 dicembre dell’anno antecedente la dichiarazione di dissesto, ricade nella competenza dell’Organo Straordinario di Liquidazione, in quanto relative ad atti o fatti verificatisi antecedentemente alla dichiarazione di dissesto; non ricorre nella fattispecie la deroga alla competenza dell’OSL di cui all’art. 255 del TUEL, in quanto le stesse, oltre a non costituire indebitamento ai sensi dell’art. 119 della Cost., non sono assistite da delegazione di pagamento ex art. 206 TUEL, ma da altre forme di garanzia stabilite nei modelli di contratto tipo».

La Sezione evidenzia che le anticipazioni di liquidità si differenziano da quelle di tesoreria, qualificabili come operazioni di breve periodo, che traggono origine da un contratto di apertura di credito nel quale è garantito un affidamento rotativo ordinario. Le anticipazioni di cassa sono attivabili per sopperire a una momentanea carenza di liquidità e si estinguono con i primi introiti, senza necessità di reperire risorse aggiuntive. Queste particolari connotazioni trovano sintesi, sul piano sostanziale, nella constatazione che le anticipazioni di liquidità svolgono la funzione di trasformare lo stock di debiti commerciali dell’ente contabilizzati nei residui passivi, ma anche nei debiti fuori bilancio, in un solo debito (o più) verso la CDP. Si tratta di una permutazione patrimoniale che potrebbe per certi versi essere assimilabile ad una cartolarizzazione di debiti, accompagnata da particolari garanzie. Quindi, incidendo sulla consistenza della massa passiva, non può essere sottratto all’OSL, pena una palese incoerenza sui meccanismi di recupero del riequilibrio frustrando le finalità della normativa che, secondo la rubrica del d.l. n. 35/2013 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della P.A. e per il riequilibrio degli
enti territoriali), sono da individuarsi proprio nella funzione di riequilibrio. In sostanza il meccanismo “sblocca debiti”, oggetto di specifiche iniziative normative, finalizzate alla ripresa dell’economia con l’immissione di liquidità nel sistema attraverso gli enti territoriali e sostanzialmente, in favore delle imprese titolari di crediti in sofferenza, costituisce anche una potente spinta all’avvio del percorso di risanamento strutturale e di recupero degli equilibri.

È evidente che, nella costruzione delle condizioni di riequilibrio nella fase procedimentale affidata all’OSL, non sarebbe coerente omettere di considerare, ai fini del risanamento, una posta di rilievo qual è quella del pagamento delle rate dell’anticipazione. Diversamente si otterrebbe il risultato paradossale di radicare una condizione di fragilità dell’equilibrio finanziario, nel contesto di una procedura di risanamento. Pertanto, non ricorre nella fattispecie la deroga alla competenza dell’OSL di cui all’art. 255 del TUEL, in quanto le anticipazioni di liquidità, oltre a non costituire indebitamento ai sensi dell’art. 119 della Cost., non sono assistite da delegazione di pagamento ex art. 206 TUEL, ma da altre forme di garanzia stabilite nei modelli di contratto tipo.

 

La redazione PERK SOLUTION

 

LR

2022/INPR

8/SEZAUT/2022/INPR

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Comuni in dissesto: irretroattività dell’aumento delle aliquote IMU

Nei comuni in dissesto, la deliberazione delle aliquote e delle tariffe di base delle imposte nella misura massima consentita deve avvenire entro trenta giorni decorrenti dalla dichiarazione di dissesto e non ha effetto retroattivo. Sulla base di tale principio, la CTR per la Campania, con sentenza n. 3749/2022, ha ritenuto illegittimo l’atto di accertamento impugnato e riformato la sentenza di prime cure. Il collegio, infatti, ha evidenziato che il caso di specie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 251 D. Lgs. 267/2000, volto unicamente a stabilire, nella situazione di dichiarato dissesto dell’ente locale, il termine per la legittima deliberazione delle tariffe nella misura massima, escludendo ogni effetto retroattivo.

Per il collegio, tali delibere, pure emesse nel rispetto del termine previsto dall’art. 251 T. U. e dunque legittimamente adottate, tuttavia sono destinate ad avere i loro effetti solo per l’anno, non potendo operare in modo retroattivo (come invero ribadito dalla previsione del secondo comma dell’art. 251 di efficacia per cinque anni, che decorrono da quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato). Infatti l’efficacia di tali deliberazioni segue il principio generale della irretroattività degli atti impositivi (sempre applicabile in mancanza di espressa deroga stabilita dalla legge) e, pertanto, le delibere, pur legittimamente emesse nel termine previsto dall’art. 251 cit., esplicano i loro effetti solo per l’anno, poiché la norma stessa non ha previsto alcuna efficacia retroattiva e neppure tale efficacia può ritenersi connaturata alla tipologia o alla natura della disposizione. Anzi l’irretroattività della norma impositiva (sfavorevole al contribuente) risponde nel caso di specie all’esigenza di certezza della imposizione e di tutela dell’affidamento ed è conforme al criterio della capacità contributiva che va sempre correlato all’attualità. Ciò in quanto il principio generale della irretroattività degli atti impositivi è sempre applicabile in mancanza di una espressa deroga stabilita dalla legge, come quella prevista dagli art. 1, comma 169, l. 296/2000 e art. 151, D. Lgs. 267/2000 per le analoghe delibere assunte dai comuni non in dissesto.

 

La redazione PERK SOLUTION

Ripartito il fondo per il pagamento del debito dei Comuni capoluogo delle città metropolitane

È stato perfezionato in data 6 aprile 2022 il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, recante «Riparto del fondo, per l’anno 2021, per il concorso al pagamento del debito dei comuni capoluogo delle città metropolitane che abbiano deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, o la dichiarazione di dissesto finanziario ai sensi, rispettivamente, degli articoli 243-bis e 246 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o che hanno deliberato un piano di interventi pluriennale monitorato dalla competente sezione della Corte dei conti.

Il Fondo è ripartito, in proporzione all’entità della rata annuale del debito dei 6 Comuni (Napoli, Catania, Reggio Calabria, Torino, Messina, Palermo), per complessivi euro 13.481.490,00 per l’anno 2021, secondo gli importi indicati nell’allegato A.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Sono 120 i comuni e le province in dissesto finanziario, 266 gli enti in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale

Su un totale di 7.904 comuni italiani, la percentuale degli enti in sofferenza finanziaria è pari al 4,88%. È quanto emerge dal primo rapporto della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali 2021 realizzato dal dipartimento per Affari Interni e Territoriali del ministero dell’Interno che intende mettere in evidenza le attività realizzate per superare le criticità dei bilanci.
Dall’analisi emerge che attualmente sono 120 i comuni e le province in dissesto finanziario, in quanto non ancora trascorsi i 5 anni decorrenti dall’anno del bilancio stabilmente riequilibrato. I dati elaborati dal Viminale confermano una concentrazione delle dichiarazioni di dissesto nelle regioni meridionali del Paese, in particolare, 30 enti nella regione Sicilia, 37 in Calabria, 26 in Campania. Gli altri casi si riscontrano in Abruzzo (3 casi), in Basilicata (3 casi), nel Lazio (9 casi), 1 caso in Liguria, nelle Marche, in Piemonte, in Molise, in Piemonte, in Toscana ed in Umbria, in Lombardia (3 casi), in Puglia (3 casi).
Sono 191 organi straordinari della liquidazione che continuano l’attività di gestione delle passività anche in enti in dissesto per i quali sono, ad oggi, decorsi i 5 anni dall’anno del bilancio stabilmente riequilibrato.
Gli enti locali attualmente in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale sono 266.
I dati relativi alla distribuzione regionale delle procedure di riequilibrio attive registrano un coinvolgimento di un numero maggiore di regioni. Infatti, pur essendo confermata una concentrazione territoriale nelle regioni Calabria, Sicilia e Campania, il ricorso alla procedura ha interessato anche diverse amministrazioni locali distribuite sull’intero territorio nazionale.
In particolare, si evidenziano 30 enti nella regione Calabria, 47 in Campania, 46 in Sicilia, 27 in Puglia, 24 nel Lazio, 17 in Lombardia e Molise, 14 in Piemonte e 12 in Liguria.

Rapporto COSFEL 2021

Dissesto, sono di competenza dell’OSL i debiti precedenti al riequilibrio del bilancio, anche se accertati successivamente

Sotto il profilo finanziario, se gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale o amministrativo sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, il provvedimento successivo, che determina l’insorgere del titolo di spesa (nella specie, il decreto ingiuntivo esecutivo e non opposto), deve essere imputato alla Gestione liquidatoria, purché detto provvedimento sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11 del TUEL. È quanto evidenziato dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), con sentenza n. 1 del 12 gennaio 2022.
È evidente, per la Sezione, che la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, possa produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente siano attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento giurisdizionale o amministrativo sia successivo. Con l’unico limite rappresentato, come detto, dall’approvazione del rendiconto della gestione che segna la chiusura della Gestione Liquidatoria; dopo tale data, infatti, è evidente che non sarà più possibile imputare alcunché a tale organo, in quanto, dal punto di vista giuridico, esso ha cessato la sua esistenza.
Altrimenti, se i debiti accertati in via giurisdizionale posteriormente, ma riferibili a fatti antecedenti, potessero essere portati ad esecuzione direttamente nei confronti dell’Ente comunale, non solo verrebbe frustrata la stessa ratio e lo scopo della gestione liquidatoria, ma sarebbe pregiudicata la gestione delle funzioni ordinarie del Comune, prima che esso torni ad uno stato di riequilibrio finanziario, mettendo a rischio l’esercizio delle stesse funzioni e dei servizi fondamentali svolti dal Comune, che non potrebbe sostenere sul piano finanziario i costi di tali funzioni e servizi, essendo di fatto in uno stato di insolvenza.
Infatti, se lo scopo delle norme sullo stato di dissesto è quello di salvaguardare le funzioni fondamentali dell’ente in stato di insolvenza, permettendogli di recuperare una situazione finanziaria di riequilibrio e, quindi, di normalità gestionale e di capienza finanziaria, che altrimenti sarebbe compromessa dai debiti sorti nel periodo precedente, è evidente che tale interesse pubblico risulta prevalente, in base ad un giudizio di bilanciamento e di razionalità, rispetto agli interessi individuali e patrimoniali dei privati ancorché accertati con provvedimenti giurisdizionali.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Utilizzo dei proventi della tassa di soggiorno per gli enti in dissesto finanziario

L’utilizzo dei proventi derivanti dall’imposta di soggiorno, da parte degli enti in dissesto finanziario, per spese predefinite di cui all’art. 4 del D.lgs. n. 23/2011, in quanto deroga normativamente prevista al principio di unità del bilancio, risulta compatibile con lo stato di dissesto dell’ente locale e, segnatamente, con l’art. 259, comma 5, del Tuel. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. siciliana, con deliberazione n. 154/2021.
L’art. 259 fa riferimento all’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, documento con il quale l’amministrazione locale, successivamente alla dichiarazione di dissesto finanziario, realizza il riequilibrio, mediante l’attivazione di entrate proprie e la riduzione delle spese correnti. Per la riduzione delle spese correnti, ai sensi del comma 5, l’ente locale è tenuto a riorganizzare con criteri di efficienza tutti i servizi, rivedendo le dotazioni finanziarie ed eliminando o riducendo ogni previsione di spesa che non abbia per fine l’esercizio di servizi pubblici indispensabili, nonché a rideterminare la sua dotazione organica.
Nel merito, la Sezione evidenzia come la possibilità di applicazione dell’imposta di soggiorno anche nei comuni in stato di dissesto abbia trovato conferma nella giurisprudenza contabile che, tuttavia, ha accolto un orientamento più restrittivo (cfr. Corte dei conti sez. contr, Toscana n.28/2015). Essendo, quindi, l’imposta di soggiorno un tributo di scopo stabilito da un vincolo legislativo, i relativi proventi devono essere necessariamente destinati alle spese previste dalla suddetta norma di legge, in quanto anch’esse attinenti a servizi istituzionali dell’ente e ciò pur in costanza di una situazione di dissesto.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Dissesto: i crediti non ammessi o residui, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato

Una volta che sia stato chiuso il procedimento di dissesto e l’ente sia ritornato in bonis, il creditore riacquista la piena possibilità di recuperare il proprio credito in misura integrale. Il credito azionato è suscettibile di produrre accessori anche per il periodo “coperto” dal dissesto. È quanto ribadito dal TAR Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 764 del 6 ottobre 2021.
Completata la procedura di risanamento finanziario coloro i quali non hanno voluto accettare la proposta di transazione conservano piene le ragioni creditorie nei confronti dell’ente locale”, essendosi in particolare precisato che “resta integra – secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata – la facoltà del creditore di esercitare tali diritti nei confronti del Comune, una volta cessato lo stato di dissesto ed esaurita la procedura di gestione straordinaria. Né per effetto della liquidazione straordinaria in caso di dissesto – che tende al risanamento finanziario dell’ente locale ed a fare fronte ai suoi debiti anche con risorse aggiuntive, derivanti da un apposito mutuo a carico dello Stato – si determina la denunciata estinzione dei crediti, o della parte di essi, rimasti insoddisfatti in sede concorsuale, giacché i crediti non ammessi o residui, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato (cfr. Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2008, n. 2095; nello stesso senso, Corte Cost. sentenza n. 269 del 1998; T.A.R. Lazio, sez. II, 3 dicembre 2013, n. 10391)” (T.A.R. Campania, sez. V, n. 3514 del 2019 e, meno recentemente, T.A.R. Reggio Calabria n. 389/2012).
Inoltre, secondo la recente giurisprudenza “la normativa che dispone il blocco della rivalutazione monetaria e degli interessi in relazione ai debiti degli enti locali in stato di dissesto finanziario, di cui all’art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n. 8, conv. con modificazioni dalla l. 19 marzo 1993 n. 68 (ora trasfuso nell’art. 248, d.lg. n. 267 del 2000) deve essere interpretata nel senso che anche dopo la dichiarazione di dissesto continuano a maturare sui debiti pecuniari degli enti dissestati interessi e rivalutazione, restando soltanto escluse l’opponibilità alla procedura di liquidazione e l’ammissione, alla massa passiva, degli interessi e della rivalutazione maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto e fino all’approvazione dell’apposito rendiconto. Infatti, l’eventuale dichiarazione di dissesto finanziario dell’Ente locale non preclude che sui debiti pecuniari dello stesso maturino interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 c.c. a decorrere dal momento in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile: pertanto, la citata disposizione, secondo cui i debiti insoluti alla data di dichiarazione del dissesto finanziario dell’Ente locale non producono interessi, né rivalutazione monetaria ha carattere meramente sospensivo e non preclude all’interessato – una volta esaurita la gestione straordinaria con la cessazione della fase di dissesto – di riattivarsi per la corresponsione delle poste stesse nei confronti dell’Ente risanato” (cfr. TAR Lazio, sez. II bis, 18 agosto 2020, n. 9250 ed ampia giurisprudenza ivi richiamata).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Riparto contributo di 10 milioni di euro a favore dei comuni in dissesto finanziario

Con decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze del 13 agosto 2021 sono state ripartite le risorse del fondo per i comuni in stato di dissesto finanziario, pari a 10 milioni di euro, previsto dall’articolo 52 bis, comma 1 del decreto legge 25 maggio 2021, n.73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n.106, che sostituisce il comma 843 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n.178.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION