Bilancio consolidato 2019: Le linee guida della Corte dei conti

La Corte dei conti – Sezione Autonomie – con deliberazione n. 16/SEZAUT/2020/INPR ha approvato le linee guida per gli Organi di revisione economico-finanziaria degli Enti territoriali sul bilancio consolidato 2019, in attuazione dall’art. 1, commi 3 e 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213, e dell’art. 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nonché la relazione-questionario e la correlata nota metodologica.
Il questionario sostanzialmente riproduce lo schema di quello precedente essendo articolato in sei sezioni, precedute da una scheda anagrafica.
La Sezione Prima, intitolata “Individuazione GAP e Area di consolidamento”, è dedicata alla corretta individuazione del Gruppo amministrazione pubblica e del perimetro di consolidamento, secondo le prescritte modalità.
La Sezione Seconda, (“Comunicazioni e direttive per l’elaborazione del consolidato”), è volta a verificare se l’ente territoriale capogruppo ha fornito tutte le indicazioni e le direttive agli organismi inclusi nel perimetro di consolidamento per l’elaborazione dei documenti necessari alla redazione del bilancio consolidato.
La Sezione Terza punta l’attenzione su “Rettifiche di pre-consolidamento ed elisione delle operazioni infragruppo”: vi rientrano le verifiche sulla corretta attività di omogeneizzazione dei bilanci e di eliminazione delle partite reciproche.
La Sezione Quarta concerne le “Verifiche dei saldi reciproci tra i componenti del gruppo”. I revisori, nell’ambito della circolarizzazione dei crediti e debiti, sono chiamati a verificare l’avvenuta asseverazione dei saldi reciproci tra ente capogruppo e organismi inclusi nel
perimetro.
La Sezione Quinta, finalizzata alle “Verifiche sul valore delle partecipazioni e del patrimonio netto”, tende a rilevare la correttezza nella determinazione del patrimonio del “gruppo amministrazione pubblico”.
La Sezione Sesta riguarda le “Verifiche sui contenuti minimi della nota integrativa”, che deve tenere in opportuna evidenza tutti i fatti contabili e gestionali utili a inquadrare correttamente il contributo economico che l’ente capogruppo fornisce assieme ai suoi organismi consolidati in termini di equilibri di finanza pubblica.

LA relazione-questionario sul bilancio consolidato 2019 dovrà essere trasmessa, per il tramite del sistema Con.Te. (Contabilità Territoriale), entro il 31 gennaio 2021, salvo termine più breve eventualmente stabilito dalle Sezioni regionali per gli Enti territoriali di rispettiva competenza.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Memorie della Corte dei conti sulla nota di aggiornamento al DEF 2020

Il percorso di recupero disegnato nel quadro macroeconomico della NADEF – pur considerando le incognite legate all’incertezza del quadro economico nazionale e internazionale gravato dall’emergenza sanitaria – è condivisibile: il ritorno del Pil, nel triennio di previsione, sui livelli pre-crisi appare compatibile con gli andamenti rilevati fino ad ora, anche se soggetti nel breve termine a rischi più pronunciati”.
E’ quanto emerge dal testo della Memoria sulla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2020 che le Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti hanno depositato alle Commissioni congiunte Bilancio della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
“Proprio l’incertezza che deriva dalle condizioni epidemiologiche richiede, tuttavia, che le azioni poste alla base del disegno programmatico (sia quelle volte ad avviare il programma comunitario sia quelle che devono accompagnarne l’avvio sin dal 2021) siano tali da dispiegare i propri effetti al di là del solo perimetro pubblico, svolgendo quel ruolo di attivazione delle scelte private, che sono indispensabili per la ripresa di un duraturo processo di crescita. Sotto questo aspetto, come è stato da più parti osservato, tempestività e qualità della spesa per investimenti risultano cruciali in questo quadro”.
Si tratta, quindi, “di porre a disposizione dell’operatore pubblico non solo un adeguato ammontare di risorse, ma anche di capacità tecniche che rendano efficaci le scelte da assumere nei diversi contesti. Ma, allo stesso tempo, la ripresa del processo di accumulazione non può identificarsi solo con il pur importante rilancio delle infrastrutture pubbliche. Decisiva è anche, nello scenario delineato, l’inversione di tendenza degli investimenti delle imprese. Una inversione di rotta che richiede la realizzazione di un contesto sociale ed economico del quale la disponibilità di ampie risorse finanziarie costituisce solo un elemento”.
Sulle prospettive di ripresa la Corte osserva: “Se il DEF dello scorso aprile aveva potuto dare solo una prima valutazione dell’incremento del debito pubblico conseguente agli interventi per contrastare la crisi con la Nota da un lato si precisa la dimensione dello sforzo programmato dall’altro si delinea un possibile percorso di rientro con la piena estensione dell’analisi al biennio 2022-23 (periodo che in ragione della situazione emergenziale non era stato considerato nelle valutazioni di primavera) e grazie a stime aggiuntive offerte nella forma di proiezioni di più lungo periodo. Il rapporto debito/Pil, che in base alle più recenti informazioni di ISTAT e Banca d’Italia nel 2019 è risultato pari al 134,6% (2 decimi di punto al di sotto delle precedenti stime), salirebbe nell’anno in corso al 158, circa 2,5 punti in più rispetto a quanto prospettato nel DEF (155,7%) sia a motivo del maggiore deficit creato con il “decreto Agosto”, sia e soprattutto a ragione del più sostenuto calo del Pil nominale (-8% contro -7,1% previsto)”.
Viene invece confermata l’inversione di tendenza prevista a partire dal prossimo anno, un’inversione che si prospetta sia nello scenario tendenziale che, in misura maggiore, in quello programmatico. “In assenza di ulteriori interventi rispetto a quelli varati a partire dallo scorso marzo, il rapporto si collocherebbe alla fine del periodo di previsione al 154,1%; viceversa, considerando le correzioni previste per il triennio 2021-23 l’indicatore dovrebbe flettere di 6,5 punti complessivi nel triennio 2021-23 e scendere quindi fino al 151,5% a fine periodo”, continua la Corte.
La Nota di aggiornamento ribadisce, quindi, l’obiettivo enunciato nel DEF di aprile di ricondurre il rapporto debito/Pil, nel corso del prossimo decennio, verso il livello prevalente nella media dei Paesi dell’Area dell’euro.
“Il proposito è, ad avviso della Corte, tanto importante quanto ambizioso. Nel quinquennio che ha preceduto lo scoppio della pandemia, l’indicatore si è mediamente collocato sul 135% in Italia e sull’88% nell’Eurozona, con un differenziale di 47 punti di Pil. Con la crisi, l’incremento del rapporto è stato pari nell’Area dell’euro a circa 2/3 di quello conosciuto in Italia (15 contro 24 punti, circa) con un conseguente allargamento del divario”.
Nel disegnare un equilibrato processo di graduale rientro, non dovrà, inoltre, “Venir meno la consapevolezza che la finanza pubblica italiana resta esposta al rischio di tasso di interesse. Le eccezionali condizioni accomodanti della politica monetaria unica fanno sì che, attualmente, il costo marginale a cui il nostro Paese è in grado di collocare i titoli del debito pubblico sia, largamente al di sotto dell’onere medio implicito dello stock di debito”.
“In una prospettiva di medio termine, l’inevitabile e fisiologico rialzo dei tassi, potrà avvenire, almeno per un certo periodo, in un contesto di continuazione della discesa del costo medio” – conclude la Corte – “È questo, del resto, il quadro prospettato nella Nota, con il costo medio che passa dal 2,4% del 2020 al 2,1% del 2023. In uno scenario di ripresa della crescita potranno dunque determinarsi condizioni molto favorevoli in termini di differenziale tra costo medio e crescita nominale, un differenziale che prima della crisi solo in Italia era stato di segno positivo e che in prospettiva resterebbe invece negativo per molti anni. Tale circostanza dipende soprattutto dalle prospettive di crescita. Ove, quelle delineate nella Nota, dovessero effettivamente concretizzarsi, si tratterà di valutare in che misura il nostro sistema economico possa essere in grado di accelerare il sentiero di rientro del debito ora prospettato” (Fonte Corte dei Conti).

Controlli interni, necessario un criterio di campionamento esaustivo

La Corte dei conti, Sez. Abruzzo, con deliberazione n. 192/2020/VSGC, all’esito dell’attività istruttoria condotta sui referti annuali di funzionamento dei controlli interni per gli anni 2017 e 2018 di un Comune, ha fornito spunti di valutazione sull’adeguatezza ed efficacia del sistema per introdurre gli opportuni correttivi e promuoverne il miglior funzionamento. Un efficace sistema dei controlli, infatti, mette in luce la reale capacità del singolo ente di realizzare i programmi e di conseguire risultati concreti, utilizzando correttamente, nonché in modo economico ed efficiente, le risorse pubbliche.
Come evidenziato dalla giurisprudenza contabile, il sistema dei controlli interni, rinnovato dall’art.3 del d.l.n.174/2012, è stato maggiormente focalizzato su un percorso di conservazione degli equilibri, assicurando, nel contempo, l’economicità della gestione e la qualità dei servizi, oltre a riproporre i tradizionali canoni di efficacia e di efficienza. In tale ottica i controlli di gestione e strategici sono stati integrati con il controllo costante sugli equilibri finanziari, oltre che degli organismi partecipati. Inoltre, viene introdotto il controllo sulla qualità dei servizi erogati, sia direttamente sia mediante organismi gestionali esterni, con l’impiego di metodologie dirette a misurare la customer satisfaction. Ne risulta una complessa rete di controlli interni, che sostanzialmente mira a verificare se l’assetto amministrativo dell’ente sia in grado di perseguire gli obiettivi gestionali e attuare le misure correttive necessarie a sanare le criticità evidenziate. Il nuovo assetto dei controlli interni, introdotto con la riforma del 2012, pur non discostandosi dal modello di controllo collaborativo, ricorre ad “inedite” misure sanzionatorie dei comportamenti degli amministratori. Il controllo interno anche dopo le anzidette modifiche conserva come esito principale l’applicazione delle misure correttive rimesse alle decisioni dello stesso ente, che si accompagnano come logica conseguenza agli esiti di verifica dei risultati negativa, in relazione agli scopi e alle intenzioni, nonché in rapporto ai parametri di sana gestione (Corte dei conti, Sez. Autonomie, del. n. 23/SEZ/AUT/2019).
Nel caso di specie, la Sezione, pur accertando la sostanziale adeguatezza del sistema dei controlli ha segnalato, tra l’altro, la necessità di perfezionare le modalità di campionamento e selezione degli atti da sottoporre ad esame. Coerentemente con quanto affermato dalla Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 28/2014, i giudici ribadiscono la necessità di adozione di tecniche di campionamento statistiche maggiormente sofisticate, in quanto ciò consentirebbe di proiettare i controlli nella logica del rischio, presidiando le aree più esposte alla possibilità di irregolarità, anche in una prospettiva ciclica che tragga spunto dalle risultanze delle verifiche degli esercizi precedenti.
Stabilire una percentuale fissa o un numero fisso di atti da controllare per tutte le categorie di provvedimenti non rappresenta un criterio esaustivo di campionamento, poiché non tiene conto di specifici fattori di rischio, anche legati a fenomeni di corruzione, che caratterizzano maggiormente taluni provvedimenti rispetto ad altri.
Rispetto al controllo sugli equilibri finanziari, la Sezione ha invece puntualizzato che l’attività debba concretizzarsi in un monitoraggio costante delle dinamiche della gestione finanziaria, sotto il profilo della competenza, della cassa e dei residui e che le risultanze di tale controllo dovrebbero essere veicolate nei confronti degli organi di vertice con frequenza infra-annuale.

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Mancato adempimento dell’obbligo di redazione e pubblicazione della relazione di fine mandato

Sebbene la disciplina dettata dal terzo comma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 149/2011, per le ipotesi di scioglimento anticipato del Consiglio comunale, si limiti all’espressione “sottoscrizione della relazione” senza indicare espressamente i soggetti tenuti a tale sottoscrizione, “tale adempimento non può che spettare al Sindaco o al Presidente della  Provincia poiché la lettura della norma deve essere posta in relazione con il precedente comma 3, che pone in capo a tali soggetti l’obbligo di provvedere alla relazione di fine mandato. In caso di mancato adempimento dell’obbligo di redazione e di pubblicazione nel sito istituzionale dell’ente della relazione di fine mandato, infatti, è il Sindaco che subisce una sanzione consistente nella decurtazione della propria indennità. La relazione di fine mandato costituisce, pertanto, un atto proprio del Presidente della Provincia e del Sindaco, non demandabile al Commissario straordinario nominato in seguito allo scioglimento dell’organo consiliare. Lo ha ribadito la Corte dei conti, Sez. Liguria, con deliberazione n. 82/2020/VSG, a seguito esame della relazione di fine mandato trasmessa da un Comune, interessato dalle consultazioni amministrative del 20 e 21 settembre 2020, firmata dal Commissario straordinario (nominato a seguito dimissioni del Sindaco) e certificata dall’Organo di revisione. La Sezione ha ritenuto, nel caso di specie, non assolto l’obbligo di redazione e pubblicazione della relazione di fine mandato, con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria,che deve essere attuata dagli uffici dell’ente appositamente preposti alla liquidazione delle competenze.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Gli effetti della mancata costituzione del fondo decentrato nell’anno di riferimento

Come noto, la corretta gestione del fondo risorse decentrate comprende tre fasi obbligatorie e sequenziali e che solamente nel caso in cui, nell’esercizio di riferimento siano adempiute correttamente tutte e tre le fasi, le risorse riferite al “Fondo” possono essere impegnate e liquidate. La prima fase consiste nell’individuazione in bilancio delle risorse.
La seconda fase consiste nell’adozione dell’atto di costituzione del “Fondo” che ha la funzione di costituire il vincolo contabile alle risorse e svolge una funzione ricognitiva in quanto è diretta a quantificare l’ammontare delle risorse destinate alla parte stabile e, alla parte variabile del Fondo stesso.
La terza ed ultima fase concerne invece la sottoscrizione del Contratto decentrato annuale, previa certificazione dell’Organo di revisione che, secondo il principio contabile della competenza finanziaria “potenziata”, costituisce titolo idoneo al perfezionamento dell’obbligazione.  La necessità che l’intero percorso amministrativo e contrattuale si perfezioni entro l’anno con la stipula del Contratto decentrato integrativo risponde alla primaria esigenza di garantire sia l’effettività della programmazione dell’ente, cui è connessa (di regola) l’annualità delle risorse a disposizione, sia un utile perseguimento dei suoi obiettivi (Cfr. Corte dei conti, Sez. Friuli Venezia Giulia, del. n. 29/2018).
Per effetto della disposizione di cui al punto 5.2 del principio contabile della contabilità finanziaria (All. 4/2 al D.Lgs. n. 118/2011), in caso di mancata costituzione del Fondo nell’anno di riferimento, le economie di bilancio confluiscono nel risultato di amministrazione vincolato per la sola quota del fondo obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Di conseguenza, le risorse variabili non possono stabilizzarsi e le stesse andranno in economia di bilancio, perdendo l’Ente – in via definitiva – la loro possibile utilizzazione. Anche le economie dei fondi degli anni precedenti, le quali, non essendo incluse nella costituzione del fondo. non potranno più essere utilizzate. In caso di mancata sottoscrizione del contratto nell’anno di riferimento solo le voci stabili del fondo confluiscono coma quota vincolata del risultato di amministrazione.
Sulla materia si è espressa recentemente la Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 123/2020 che ha ribadito che la mancata costituzione del Fondo per le risorse decentrate nell’anno di riferimento fa sì che tutte le risorse di natura variabile, ivi incluse quelle da riportare a nuovo (es. risorse derivanti dai risparmi dell’applicazione dello straordinario dell’anno precedente e dai risparmi derivanti dall’erogazione delle risorse del fondo dell’anno precedente)  vadano a costituire economie di spesa. Nel merito la Corte ribadisce il principio che, per i compensi per il lavoro straordinario, la distinzione rilevante verta tra gli importi dei risparmi che rientrano nella componente stabile del Fondo (previsti dal comma 2 lett. g) dell’art.67) o nella componente variabile (successivo comma 3, lett. e)), dato che, in caso di mancata sottoscrizione del contratto nell’anno di riferimento, solo le voci stabili finiscono coma quota vincolata del risultato di amministrazione. Rimane in capo all’Ente la responsabilità di applicare al caso di specie i principi contabili enunciati.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Agenti contabili, parificazione e deposito del conto giudiziale

Il giudizio di conto, disciplinato dagli artt. 137 e seguenti del D.lgs. 174/2016, recante il Codice di giustizia contabile (c..g.c.), è espressione, nell’ambito della contabilità pubblica, del principio generale dell’ordinamento che impone a colui che gestisce denaro o valori altrui (e non già i decisori) di dar conto del proprio operato al titolare degli stessi. Il giudizio di conto, quale strumento di garanzia di correttezza delle pubbliche gestioni a tutela dell’interesse oggettivo alla regolarità di gestioni finanziarie e patrimoniali, ha ad oggetto la gestione dell’agente contabile, ed è finalizzato alla determinazione del corretto rapporto di debito/credito fra quest’ultimo e l’ente pubblico uno (Corte dei con-ti, sez. reg. Sardegna, 5 ottobre 2004, n. 481; sez. reg. Calabria, 7 febbraio 2002, n. 71; sez. reg. Lombardia, 2 agosto 1995, n. 793).  Le norme del codice introducono, quali elementi di novità, l’anagrafe degli agenti contabili (dove confluiscono i dati comunicati dalle amministrazioni e le variazioni che intervengono con riferimento a ciascun agente e a ciascuna gestione), la trasmissione alla Corte dei conti,  per via telematica (tramite l’applicativo SIRECO), dei conti giudiziali e dei relativi atti e documenti (dati identificativi relativi ai soggetti nominati agenti contabili e tenuti alla resa di conto giudiziale) e una più dettagliata disciplina del c.d. giudizio per la resa del conto (art. 141), che la previgente normativa non qualificava adeguatamente.
La Corte dei conti, Sezioni Riunite, con delibera n. 4/2020/CONS, in risposta ad un parere richiesto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, interviene sul tema del deposito dei conti giudiziali a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 26 agosto 2016, n. 174. Preliminarmente la Corte evidenzia che la “presentazione” del conto consiste nella consegna dello stesso, da parte dell’agente contabile, all’amministrazione di appartenenza (art. 139 co. 1 c.g.c.); detto adempimento è da tenere distinto dall’attività di “deposito” del conto, da parte dell’Amministrazione pubblica alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti (art. 140 co. 1 c.g.c.). In base all’art. 139, co. 1 c.g.c., gli agenti contabili, entro sessanta giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario o comunque dalla chiusura della gestione “presentano il conto giudiziale all’amministrazione di appartenenza”. La richiamata disposizione fa poi salvi i diversi termini previsti in altre norme di legge [come i due mesi successivi alla chiusura dell’esercizio previsti all’art. 16, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 123/2011, per le amministrazioni erariali; i trenta giorni di cui agli artt. 226 e 233 del D.lgs. n. 267/2000, per gli enti locali; in ogni caso i sessanta giorni previsti in generale per gli Enti pubblici diversi dallo Stato dall’art. 3 della legge n. 658/1984]. Nel giudizio di conto assume rilievo imprescindibile la previa parificazione del documento contabile, di cui si ha menzione negli artt. 139, co.2, 140, co. 1, e 145, 5 co. 3 del D.lgs. n. 174/2016. La parificazione è una dichiarazione certificativa, quale risultante procedimentale, della concordanza dei conti (appositamente riveduti) con le scritture detenute dall’Amministrazione, che per quelle locali viene fatta coincidere con il visto di regolarità amministrativo-contabile rilasciato all’esito della fase di verifica o controllo amministrativo. È parere del Collegio che la parifica debba intendersi come procedimento complesso, in esso comprendendo tanto la vera e propria concordanza, rilasciata dall’’amministrazione di appartenenza dell’agente contabile, quanto il “visto” di regolarità amministrativo contabile, da rilasciare, per i conti degli agenti erariali, dal Sistema delle ragionerie territoriali e dagli Uffici centrali di bilancio (organi esterni), e, per gli agenti degli enti locali, dai propri organi interni, parifica e visto, da tenere distinti dalla “relazione degli organi di controllo interno”, espressamente prevista dall’art. 139, comma 2, che va trasmessa alla Corte unitamente al conto.
Conseguentemente, tutti i conti giudiziali, presentati dagli agenti contabili alle amministrazioni di appartenenza, devono essere “parificati”, “vistati” e “approvati” dai competenti organi di ciascun ente e solo all’esito di detti adempimenti depositati presso la sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti territorialmente competente.
L’art. 139, co. 2 del c.g.c. prevede che il conto giudiziale sia trasmesso, entro il termine generale di trenta giorni dalla sua approvazione, ovvero entro il termine stabilito dalle disposizioni speciali interne a ciascuna amministrazione, con le modalità sopra riportate, alla sezione giurisdizionale competente da un responsabile del procedimento, previamente individuato dall’amministrazione di appartenenza del contabile.
È preferibile che il responsabile di procedimento coincida con il soggetto che attesti la parificazione del conto (una volta presentato dall’agente all’ente di appartenenza), che provveda a procurare anche i visti di controllo amministrativo contabile (resi dagli organi interni o esterni), sollecitando i soggetti competenti, in caso di inerzia, e che assuma le conseguenti iniziative segnalatorie alla sezione giurisdizionale per rendere possibile la trasmissione del conto medesimo alla Corte, per il suo tramite. Di rilievo sono le conseguenze previste dal Codice per l’inerzia del responsabile del procedimento, atteso che il comma 7 dell’art. 141 del c.g.c. ha disposto che “Se risulta che l’agente contabile ha presentato il conto alla propria amministrazione e quest’ultima non lo ha trasmesso e depositato presso la sezione giurisdizionale, il conto è acquisito d’ufficio dal giudice monocratico, che commina la sanzione pecuniaria di cui al comma 6 [in misura non superiore alla metà degli stipendi, aggi o indennità dovuti in relazione al periodo cui il conto si riferisce, ovvero ove l’agente operante non goda di stipendio, aggio o indennità, non superiore a 1.000,00 euro] al responsabile del procedimento individuato ai sensi dell’art. 139, comma 2”. Pertanto, ricade sul responsabile di procedimento l’obbligo di depositare il conto e la responsabilità dei relativi adempimenti. Ai fini della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria è sufficiente che si accerti l’omessa o ritardata presentazione dei conti giudiziali entro il termine assegnato dalla Sezione. È tuttavia possibile che allorquando il ritardo sia parzialmente giustificato da gravi motivi (quali ad esempio disfunzioni organizzative dell’ufficio, carenze di organico attestate dalla stessa Amministrazione) e da altre contingenze (presentazione anche del conto giudiziale relativo alla gestione precedente) la sanzione potrà definita in termini adeguati (Cfr. Corte dei conti, sez. reg. Val d’Aosta, 10 febbraio 2005, n. 6).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Il danno erariale per utilizzo illegittimo di risorse con vincolo di destinazione va provato in giudizio

La violazione di disposizioni di legge che per gli enti pubblici pongono vincoli finalistici all’utilizzo di somme di denaro e, più in generale, l’uso di entrate in conto capitale per finanziare spese correnti costituiscono una grave irregolarità contabile in grado di provocare tendenzialmente un pregiudizio all’equilibrio finanziario e patrimoniale dell’ente, con conseguente antigiuridicità della condotta, ma di per sé, salva diversa previsione normativa, non integrano il danno erariale.  È quanto espresso dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, con la sentenza n. 435/2020.
Affinché possa ravvisarsi il danno, occorre che sia dimostrato in maniera precisa che tale diverso utilizzo dei fondi abbia riguardato il pagamento di spese illegittime o abbia determinato un reale depauperamento del patrimonio dell’ente con frustrazione delle finalità previste dalla legge.
Pertanto, la violazione del vincolo legislativo non comporta ex se un danno, perché il danno deve sempre trovare riscontro in concreto e in termini specifici. Il danno alla finanza pubblica, difatti, è un pregiudizio effettivo e reale, che non può essere presunto in via assoluta e che va provato puntualmente in giudizio.
La responsabilità amministrativa per l’utilizzo per spese correnti di importi sottoposti dalla legge a vincoli finalistici si può ravvisare in una delle seguenti ipotesi:
a) le spese pagate risultano illegittime o non dovute o, quanto meno, relative a debiti privi dei caratteri della certezza, della liquidità e dell’esigibilità;
b) il mancato utilizzo delle entrate in conto capitale è tale da provocare un deprezzamento o un deterioramento del patrimonio dell’ente;
c) l’ente non riesce ad attuare in concreto le sue finalità istituzionali.
Nel caso di specie, la questione sottoposta allo scrutinio dei giudici contabili ha riguardato l’irregolare destinazione a spese correnti (quali emolumenti stipendiali, TFR, pagamento indennità agli amministratori e collegio sindacale, spese legali e risarcimenti per contenziosi, pagamento rate mutui in scadenza, etc.) da parte dello IACP (Istituto Autonomo per le case popolari) di fondi a destinazione vincolata derivanti dalla vendita degli alloggi. Ad avviso della Procura Regionale, le condotte distrattive dei fondi, ad opera del Direttore generale e del Dirigente finanziario dell’ente, avrebbero scontato un doppio grado di illiceità per violazione sia del vincolo di destinazione esclusivo, impresso all’utilizzo delle somme di cui trattasi, sia per la destinazione degli stessi a copertura di presunti deficit di gestione neppure oggetto di accertamento secondo la procedura di approvazione dei bilanci e dei consuntivi. La Procura, nel sottolineare la riconducibilità del danno erariale da comportamento gravemente colposo a carico del Direttore generale e del Dirigente finanziario, aveva altresì rilevato la sussistenza della colpa grave dei componenti del collegio sindacale, che avrebbero commesso una grave violazione, omettendo ogni controllo, in spregio ai doveri di vigilanza sull’osservanza della legge e, quindi, del ruolo di asseverazione e controllo sulla regolarità contabile dei principali atti di gestione.

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Legittimo l’acquisto di un immobile adibito a caserma dei Carabinieri

Un comune può esplicare le potestà amministrative e gli spazi di autonomia contrattuale con la finalità di perseguimento del “bene” della sicurezza pubblica e, quindi, anche per garantire il mantenimento di una Caserma dei Carabinieri entro il proprio territorio. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Liguria, nella Deliberazione n. 79/2020, a seguito di richiesta di parere in merito alla possibilità di procedere all’acquisizione e gestione di un immobile adibito a caserma. Nella richiesta di parere, l’ente istante precisa che, attualmente, sul territorio comunale è presente una Stazione dei Carabinieri avente giurisdizione anche su due Comuni limitrofi, la quale è insediata presso un immobile di proprietà di soggetti privati in forza di un contratto di locazione stipulato con la Prefettura. I soggetti proprietari hanno comunicato la volontà di non rinnovare il contratto di locazione, avviando tra l’altro una procedura di sfratto dell’immobile. Il Comune, al fine di non privarsi del presidio esistente in ragione della sua importante funzione di garanzia di sicurezza per la comunità amministrata, ha effettivamente accertato che l’immobile tuttora occupato dai militari è stato destinato a tale utilizzo sin dall’atto della sua costruzione e quindi presenta quelle caratteristiche idonee e necessarie al medesimo che difficilmente sarebbe possibile ritrovare in altro edificio, se non a fronte di ingenti lavori di adeguamento. L’intenzione dell’Ente è quella di procedere all’acquisto dell’immobile per poi stipulare con il competente Ministero dell’Interno, per il tramite della Prefettura, un accordo di comodato gratuito o di locazione a canone agevolato.
Nel merito, i giudici contabili ricordano che non risultano, ad oggi, disposizioni normative atte a porre limiti o vincoli specifici in ordine alla possibilità di compiere operazioni, delle tipologie indicate nella richiesta di parere, per realizzare le proprie finalità istituzionali o concorrere con altre amministrazioni pubbliche al soddisfacimento di interessi pubblici meritevoli di tutela. Il D.L. n. 124/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 157, all’art. 57, comma 2-bis, prevede, infatti, la disapplicazione, a decorrere dal 2020, di una serie di disposizioni che stabilivano dei vincoli alla spesa per gli enti territoriali e per i loro enti strumentali, tra le quali quella relativa alle limitazioni. concernenti le operazioni di acquisto di immobili, previste dall’art. 12, comma 1-ter, del D.L. n. 98 del 2011. Parimenti, anche l’eventuale contrazione di nuovo mutuo per il finanziamento dell’acquisto dell’immobile resta subordinata alle ordinarie limitazioni riguardanti l’indebitamento degli enti locali.
In conclusione, per la Sezione non è possibile escludere che un comune, quale ente pubblico con finalità generali maggiormente “prossimo” alla collettività amministrata, si adoperi con attività amministrativa e finanziaria per garantire la sicurezza pubblica nel proprio territorio, anche coadiuvando l’attività delle amministrazioni statali competenti, se è già valsa a ritenere integrato il presupposto della indispensabilità richiesto dalla previgente disciplina per gli acquisti di immobili, a maggior ragione induce a considerare legittimate le operazioni ipotizzate nell’istanza, ora che sono anche venute meno le precedenti limitazioni.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Le memorie della Corte dei conti sul D.L. Agosto

La Corte dei conti ha inviato al Parlamento una Memoria scritta nell’ambito delle consultazioni preliminari all’esame del disegno di legge A.S. 1925 di conversione del decreto-legge 104/2020. Il decreto, all’esame del Senato, contiene interventi che utilizzano appieno gli spazi di manovra per i quali il Governo ha chiesto e ottenuto dal Parlamento l’autorizzazione. Il provvedimento definisce misure che incidono nell’anno per circa 27,9 miliardi in termini di indebitamento netto (33,5 miliardi in termini di saldo netto da finanziare). Si tratta, soprattutto, di maggiori spese pari a 19,2 miliardi (rispettivamente 17,4 miliardi correnti e 1,8 miliardi in conto capitale), mentre le minori entrate, 8,7 miliardi, costituiscono il 31,1 per cento degli impieghi complessivi. Con riferimento alle misure per gli enti locali, la Corte evidenzia che le disposizioni sono riferibili a tre principali gruppi di interventi: quelli volti a ristorare le amministrazioni delle minori entrate affinché garantiscano i servizi pubblici di loro competenza; quelli diretti a rafforzare gli investimenti; quelli a carattere ordinamentale. Il D.L. 104/2020 non introduce, se non in misura marginale, interventi di carattere finanziario del tutto nuovi, ma rispetto alle misure già previste dalle leggi di bilancio dell’ultimo biennio e dalla decretazione emergenziale della primavera scorsa, da una parte accresce i finanziamenti finalizzati alla compensazione della riduzione delle entrate e dall’altra dispone una rimodulazione dei programmi pluriennali di investimento così da anticipare al prossimo biennio le risorse più cospicue ed imprimere così una accelerazione in termini di effettiva realizzazione degli interventi. La Corte, nel giudicare positivo l’impegno su servizi sanitari e scolastici e sugli enti territoriali in difficoltà con reintegro delle risorse intaccate dal calo del gettito tributario, il sostegno alle spese di investimento e interventi, anche finanziari, rivolti a mitigare gli effetti dell’emergenza sugli enti che presentano criticità finanziarie (in procedura di riequilibrio ex art. 243-bis, in programma di rientro dal deficit strutturale), nonché la sospensione dei termini procedimentali dei piani e delle stesse procedure esecutive avviate dai creditori, evidenzia che tali misure “si innestano in un contesto normativo già frammentario e disorganico che richiederebbe, invece, una riconsiderazione complessiva al fine di costruire assetti normativi efficaci e stabili, evitando il ricorso a interventi che non contribuiscono a risolvere strutturalmente i problemi, ma si limitano a differirli. Essi mancano di un respiro sistematico e ciò non può che creare incertezza nelle amministrazioni”.

 

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Ripiano disavanzo di liquidazione Azienda speciale

Pur non avendo gli enti partecipanti un obbligo di ripiano del disavanzo di liquidazione, va sottolineato che secondo l’orientamento giurisprudenziale espresso da varie sezioni della Corte, non si può escludere che i comuni, che abbiano costituito un’azienda, possano deliberare, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, il ripiano del debito da liquidazione (Sezione Veneto deliberazione nr. 980 del 28.11.2012; Sezione Emilia Romagna, delibera n. 33/2011/PAR e Sezione Basilicata, delibera n. 28/2011 nonché del. n. 434/2012/PAR Veneto). L’esercizio di tale discrezionalità, deve, tuttavia, essere supportato da un’adeguata e rigorosa motivazione sulle ragioni di utilità e di vantaggio che depongono a favore di tale scelta (Cfr. deliberazione Sezione Basilicata 28/2011 /PAR). È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 96/2020/PAR. I giudici contabili, chiamati ad esprime parere su una serie di quesiti formulati da un Sindaco, ribadiscono alcuni importanti aspetti del complicato rapporto fra ente pubblico e soggetti partecipati.
I giudici hanno evidenziato che la copertura dei disavanzi delle aziende speciali debba avvenire, secondo la procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzioni o atti costitutivi e ove trattasi di disavanzo che derivi da fatti di gestione. Il mancato ricorso allo strumento del riconoscimento del debito fuori bilancio, di cui all’art.194, comma 1, lettera b) del D.lgs 267/2000, ovviamente, non esime gli enti dall’obbligo di ripianare, secondo l’ordinario ciclo di bilancio, i disavanzi accertati, stante la prioritaria esigenza di garantire l’integrità e la continuità aziendale, nonché il rispetto degli equilibri di bilancio. Anche nell’ipotesi di disavanzo di liquidazione, fattispecie ben diversa dal disavanzo di gestione, non è escluso che gli Enti possano deliberare, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, il ripiano del debito da liquidazione sulla scorta di una rigorosa motivazione. Per quanto riguarda, invece, l’applicazione della disposizione di cui all’art 1 comma 555 della legge 147/2013 (ai sensi del quale, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, le aziende speciali e le istituzioni sono posti in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio) la Sezione ritiene che si debba dare rilievo all’effettiva situazione finanziaria, indipendentemente dalle circostanze che abbiano potuto determinare eventuali ritardi nell’accertamento del risultato effettivo di gestione e delle eventuali relative perdite. La mancata rappresentazione contabile del risultato di gestione, le cui perdite siano avvenute negli ultimi quattro esercizi, non può quindi escludere la configurazione della fattispecie prevista dal richiamato art 1 comma 555 della legge 147/2013, indipendentemente dai motivi che abbiano comportato la mancanza stessa.

 

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