Corte Costituzionale: Depositate le motivazioni della sentenza sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio

L’abrogazione del reato di abuso di ufficio da parte del legislatore italiano non contrasta con la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Mérida); e la Corte costituzionale non può sindacare la complessiva efficacia del sistema di prevenzione e contrasto alle condotte abusive dei pubblici agenti risultante da tale abrogazione, sovrapponendo la propria valutazione a quella del legislatore.

Lo scrive la Corte costituzionale nelle motivazioni (sentenza n. 95/2025) della decisione già preannunciata lo scorso 8 maggio, con cui sono state ritenute non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici giudici, tra cui la Corte di cassazione, contro l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio ad opera della legge numero 114 del 2024. La Corte ha ritenuto ammissibili le questioni che i giudici rimettenti avevano formulato con riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti da convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.

Se una convenzione dovesse effettivamente prevedere l’obbligo, per il legislatore nazionale, di prevedere come reato una certa condotta, la Corte ben potrebbe dichiarare l’illegittimità della legge che abbia abrogato quel reato, violando l’obbligo assunto dallo Stato in sede internazionale. L’effetto della pronuncia della Corte sarebbe, in tal caso, quello di ripristinare la legge in precedenza in vigore. Nel merito, la Corte – dopo aver dettagliatamente esaminato tutte le norme della Convenzione di Mérida invocate dai giudici rimettenti – ha però escluso che da esse possa ricavarsi un obbligo di prevedere come reato le condotte di abuso di ufficio, reato che peraltro non è uniformemente presente in tutti gli ordinamenti penali degli Stati firmatari.

I giudici rimettenti avevano anche sostenuto che la scelta del legislatore si sia posta in contrasto con il principio di uguaglianza, tutelato dall’articolo 3 della Costituzione, dal momento che il legislatore avrebbe lasciato irragionevolmente prive di sanzione penale condotte più gravi di altre, che continuano anche oggi a essere qualificate come reati. Inoltre, le ordinanze di rimessione avevano sottolineato il vuoto di tutela che, per effetto dell’abrogazione, si sarebbe creato rispetto a condotte gravemente dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.

Queste due ultime censure sono però state dichiarate inammissibili, sulla base della costante giurisprudenza della Corte che ritiene precluso l’esame di questioni di legittimità costituzionale formulate sulla base degli articoli 3 o 97 della Costituzione, quando il loro accoglimento produrrebbe un effetto “in malam partem”, e cioè espansivo della punibilità. In definitiva, ha concluso la Corte, “se gli indubbi vuoti di tutela penale che derivano dall’abolizione del reato (…) possano ritenersi o meno compensati dai benefici che
il legislatore si è ripromesso di ottenere, secondo quanto puntualmente illustrato nei lavori preparatori della riforma, è questione che investe esclusivamente la responsabilità politica del legislatore, non giustiziabile innanzi a questa Corte al metro dei parametri costituzionali e internazionali esaminati”.

Linee guida per la definizione dei modelli organizzativi omogenei degli Ambiti Territoriali Sociali per l’attuazione dei LEPS

Con Decreto interministeriale del 24 giugno 2025 sono state approvate le Linee guida per la definizione dei modelli organizzativi omogenei degli Ambiti Territoriali Sociali per l’attuazione dei LEPS (Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali), predisposte in attuazione dell’articolo 1, comma 161, della Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di Bilancio per il 2022). Tramite l’adozione dell’Intesa in sede di Conferenza unificata, i diversi livelli istituzionali – Ministero, Regioni ed Enti Locali – assumono impegni reciproci nella prospettiva di una rinnovata azione di governance sugli obiettivi comuni.

L’obiettivo principale del documento è quello di favorire il rafforzamento della gestione associata degli ATS, con particolare riferimento a modelli e processi organizzativi funzionali all’attuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali sull’intero territorio nazionale, al fine di garantire:

  • un impiego ottimale delle risorse finanziarie trasferite per l’attuazione dei LEPS;
  • un elevato livello di monitoraggio;
  • un costante aggiornamento dei processi di rendicontazione, consentendo così un più omogeneo sviluppo delle risposte integrate ai cittadini in difficoltà su tutto il territorio nazionale.

Il comma 160 dell’articolo 1 della Legge 30 dicembre 2021, n. 234 chiarisce che gli ATS rappresentano la dimensione organizzativa necessaria nella quale programmare, coordinare, realizzare e gestire gli interventi, i servizi e le attività utili al raggiungimento dei LEPS sul territorio. L’Ambito Territoriale Sociale, pertanto, rappresenta la sede principale della programmazione, concertazione e coordinamento degli interventi, dei servizi sociali e delle altre prestazioni integrate, attive a livello locale. L’ambito è individuato dalle Regioni, ai sensi della legge quadro n. 328 del 2000 tramite concertazione con gli enti locali interessati.

 

La redazione PERK SOLUTION

Nomina del presidente del consiglio comunale nei Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti

Con il parere n. 15738/2025, il Ministero dell’interno chiarisce un’importante questione in tema di nomina del Presidente del Consiglio comunale nei Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, sulla base di una modifica statutaria sopravvenuta dopo l’insediamento del Consiglio. A differenza dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 ab, dove il presidente del consiglio è obbligatorio, nei comuni più piccoli si tratta di una facoltà statutaria, da esercitarsi con apposita modifica dello statuto comunale.

Nel caso di specie, il consiglio comunale si è insediato il 30 giugno 2022, data in cui la figura del presidente non era ancora prevista nello statuto. Lo statuto è stato modificato con delibera del 19 novembre 2022, introducendo l’art. 9-bis, che prevede espressamente l’istituzione della figura del Presidente del Consiglio. La nomina del presidente è avvenuta nella prima seduta utile successiva all’entrata in vigore della modifica statutaria, cioè il 31 gennaio 2023.

Secondo il Ministero la modifica statutaria è pienamente legittima e conforme all’art. 39 TUEL.; l’elezione del Presidente del Consiglio è stata effettuata secondo quanto previsto dalla nuova formulazione dello statuto, e cioè nella prima seduta successiva all’entrata in vigore dell’art. 9-bis. Non rileva, ai fini della validità della nomina, che il Consiglio fosse già in carica prima della modifica statutaria: ciò che conta è che la procedura di nomina sia avvenuta nel rispetto delle previsioni dello statuto vigente al momento della nomina stessa.

La redazione PERK SOLUTION

Diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti e documenti inerenti a gare

Il consigliere comunale può accedere agli atti di gara conclusa in tempi antecedenti alla sua nomina. È quanto affermato dal Ministero dell’interno in risposta ad una richiesta di parere in merito al diritto di accesso da parte dei consiglieri comunali di minoranza in materia di atti di competenza dell’Ufficio Tecnico, tra cui anche atti inerenti a gare. In particolare, è stato chiesto se il consigliere comunale possa, in base all’art. 43 del TUEL., accedere agli atti di gara conclusa in tempi antecedenti alla loro nomina di consiglieri.

Al riguardo, si evidenzia che l’art.43, comma 2, d.lgs. n.267/2000 prevede che i consiglieri comunali hanno diritto di ottenere dagli uffici dell’amministrazione presso cui esercitano il proprio mandato politico-amministrativo “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali è strumentale all’esercizio del mandato politico-amministrativo, in particolare alle funzioni di controllo e indirizzo attribuite al Consiglio comunale (art. 42 TUEL); non è un diritto incondizionato o illimitato, ma deve essere finalizzato all’espletamento del mandato elettivo. La legittimità dell’accesso va quindi valutata in base alla pertinenza e utilità delle informazioni richieste rispetto alle funzioni consiliari.

Il Consiglio di Stato (sentenze n. 2089/2021, n. 5879/2005, n. 2716/2004) ha costantemente affermato che il diritto di accesso dei consiglieri può riguardare anche atti riservati o preclusi ai terzi, in virtù del ruolo e delle finalità istituzionali del mandato. Tuttavia, i consiglieri sono tenuti al segreto nei casi previsti dalla legge (art. 43, comma 2). Il bilanciamento tra diritto all’accesso e tutela dei dati sensibili o riservati deve essere garantito, ad esempio tramite l’oscuramento dei dati sensibili (Cons. Stato, n. 2089/2021).

Anche gli atti relativi a gare (comprese quelle concluse prima della nomina del consigliere) possono essere oggetto di accesso, se funzionali all’esercizio del mandato. L’art. 35 del D.lgs. 36/2023 preclude l’accesso solo fino alla conclusione delle fasi della procedura: una volta conclusa la gara, gli atti diventano generalmente accessibili, salvo esigenze specifiche di riservatezza. Il TAR Abruzzo – L’Aquila (sent. n. 492/2007) ha confermato che l’accesso del consigliere ex art. 43 TUOEL ha natura diversa da quello previsto dalla legge 241/1990 e non è limitato dalla riservatezza, nei limiti dell’utilità per il mandato.

Nel caso di specie, il Ministero ha evidenziato che l’accesso è ammissibile, se gli atti richiesti sono pertinenti e utili all’esercizio del mandato; l’Amministrazione può accordare l’accesso, eventualmente predisponendo forme di protezione dei dati sensibili, ma è fondamentale che la richiesta indichi le finalità consiliari (indirizzo, controllo, verifica) per cui si ritiene necessario l’accesso.

La redazione PERK SOLUTION

Ministero interno: determinazione numero massimo di assessori

La determinazione numerica degli assessori rientra nella materia “organi di governo” dei comuni rimessa, ai sensi dell’art.117, comma 2, lett. p) della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. È questa, in sintesi, la risposta del Ministero dell’interno ad una richiesta di parere, di un Sindaco di un Comune con popolazione di 2.185 abitanti, in ordine alla possibilità di aumentare il numero di assessori, senza oneri economici aggiuntivi a quelli attuali.

Il Ministero evidenzia che la composizione numerica della giunta deve essere conformata alle disposizioni dell’articolo 1, comma 135, della legge n.56 del 7 aprile 2014 che ha apportato modifiche all’articolo 16, comma 17, del d.l. n.138/2011, convertito in legge n.148/2011. Ai sensi della citata normativa è previsto che, per i comuni con popolazione fino a 3000 abitanti, “il numero massimo degli assessori è stabilito in due”. Di conseguenza, l’ente dovrà attenersi alla disciplina legislativa vigente in ordine al numero degli assessori. Pertanto, come già rappresentato con la circolare ministeriale n. 6508 del 24.04.2014, i sindaci dei comuni con popolazione fino a 3000 abitanti potranno nominare al massimo due assessori.

 

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Società a controllo pubblico, non più di due mandati per il responsabile anticorruzione

L’Anac con il parere anticorruzione approvato dal Consiglio dell’Autorità il 3 giugno 2025, in risposta alla richiesta di una società di servizi ambientali in controllo pubblico in merito alla possibilità di confermare per altri tre anni nel ruolo di Rpct lo stesso dipendente dopo due mandati triennali già svolti, ha evidenziato che l’incarico di Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza (Rpct) in una società a controllo pubblico, la cui durata opportuna è di tre anni, può essere eventualmente prorogato per una sola volta.

L’Autorità invita quindi la società a conferire l’incarico ad un nuovo soggetto, ricordando che, in caso di carenza di soggetti in posizione dirigenziale tra cui individuare il Responsabile anticorruzione dell’ente, tale ruolo può essere attribuito anche a un dipendente con profilo non dirigenziale ma che possa comunque garantire le idonee competenze per svolgere adeguatamente i compiti affidati al Rpct. Con il parere, l’Autorità – richiamando gli indirizzi forniti con apposito allegato al Piano Nazionale Anticorruzione 2022 – evidenzia la coerenza della possibilità di una sola proroga con il principio della rotazione anche dell’incarico di Rpct.

Nel caso in cui la società, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, dovesse decidere invece di prorogare l’incarico di Rpct in capo a tale medesimo soggetto che già lo ha svolto per due mandati, il provvedimento dovrà essere opportunamente motivato.

 

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Ministero dell’interno, Agenzia Segretari: Disciplina degli incarichi a scavalco

Il Ministero dell’interno ha pubblicato la circolare del Vice Capo Dipartimento Vicario, Direttore Centrale per le Autonomie, prot. n. 17541 del 9 giugno 2025, avente ad oggetto “Disciplina degli incarichi a scavalco”.

La Circolare ricorda che l’istituto dello scavalco è consentito, dal vigente quadro normativo e regolamentare, in via del tutto residuale – e con precise limitazioni temporali –, favorendo l’utilizzo prioritario dei segretari in disponibilità. A tal riguardo, il punto 8) della circolare prot. n. 4545 del 9 aprile 2020, prevede che “[…] gli incarichi di scavalco possano anche superare il numero massimo (3) previsto dalla circolare 23581 del 8/7/2013, e comunque non eccedere il numero di 5 enti, ivi compreso quello di titolarità […]”.

Da ultimo, anche l’art. 62 del CCNL relativo al personale dell’Area funzioni locali del 16 luglio 2024, ha disciplinato ulteriormente l’istituto, precisando che “Le reggenze o supplenze a
scavalco sono attribuite ai Segretari titolari di sede con provvedimento motivato del Ministero dell’Interno, sentite le amministrazioni interessate, solo in via residuale rispetto all’affidamento di tali incarichi a segretari in disponibilità, eccezionalmente e per un tempo limitato che non può superare i 120 giorni per le reggenze ed un anno per le supplenze. Nei casi di vacanza della sede, fermo restando l’obbligo di pubblicizzazione della sede e di nomina del segretario entro i termini di legge, la reggenza può essere prorogata solo qualora la procedura di pubblicizzazione finalizzata alla nomina del segretario titolare, ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del regolamento di cui al DPR 4dicembre 1997 n. 465, sia risultata deserta”.

 

La redazione PERK SOLUTION

Modifica statutaria riguardante deleghe del sindaco a privati cittadini

Gli incarichi di studio ai cittadini non possono considerarsi deleghe alla stregua di quelle conferite agli assessori e, conseguentemente, non sembrano incidere sull’attività svolta dai componenti della giunta. È questa, in sintesi, la risposta fornita dal Ministero dell’interno, con parere n. 4357 del 7.2.2025, in riscontro ad una nota con la quale una Prefettura in merito alla questione rappresentata da alcuni consiglieri di un Comune, in ordine al comma 7 dell’articolo 16 dello statuto comunale, il quale prevede che “Il Sindaco può attribuire compiti di collaborazione e studio attraverso l’attribuzione di specifica delega anche a cittadini residenti estranei al Consiglio Comunale a garanzia del migliore funzionamento dell’ente. Tali compiti non dovranno comportare oneri per l’Ente. Le deleghe sono attribuite ai cittadini con decreto Sindacale sottoscritto dal Sindaco e pubblicato sui siti istituzionali dell’ente”.

In base a tale previsione statutaria, il Sindaco ha adottato tre provvedimenti con i quali ha conferito a tre cittadini, esterni all’amministrazione, incarichi di studio e collaborazione in tre diverse materie; i consiglieri hanno chiesto se sia legittima la modifica statutaria adottata dall’ente e di conseguenza se lo siano i decreti adottati dal sindaco.

Il Ministero ricorda che l’art. 6 del TUEL consente allo statuto di specificare le attribuzioni degli organi; nell’ambito di tale autonomia normativa, è ammissibile l’imputazione di specifiche competenze agli organi comunali, purché in armonia con la natura e le prerogative statuite dalla legge. Possono essere conferite deleghe agli assessori, sebbene il decreto legislativo n.267/2000 non disciplini espressamente la delega di funzioni dal sindaco agli assessori, disponendo all’articolo 48, comma 1, che la “Giunta collabora con il Sindaco ……. ed opera attraverso deliberazioni collegiali”.

Con la delega l’assessore esercita il potere in nome proprio e si assume la responsabilità degli atti compiuti nell’espletamento dell’attività delegata, con imputazione degli effetti al delegante, per conto del quale agisce mediante adozione di provvedimenti aventi efficacia esterna. Nel caso di specie, nei provvedimenti adottati dal sindaco, sebbene sia menzionato l’articolo 16, comma 7, dello statuto, non si fa riferimento ad una precisa delega, ma sono attribuiti ad alcuni cittadini solo incarichi di studio e collaborazione in determinate materie, senza onere per l’ente e senza la possibilità di adottare atti a rilevanza esterna, così circoscrivendo in maniera puntuale il portato degli incarichi conferiti ai consiglieri in questione.

Pertanto, tali incarichi di studio non possono considerarsi deleghe alla stregua di quelle conferite agli assessori e, conseguentemente, non sembrano incidere sull’attività svolta dai componenti della giunta. Tenuto conto della previsione statutaria così come formulata all’art.16, comma 7, e delle deleghe conferite agli assessori che, sebbene non previste espressamente dal TUEL, possono desumersi da numerosi articoli del decreto legislativo n.267/2000 (cfr. art.78, comma 3, art.42, comma 3, art.90, comma 1), sembrerebbe opportuno meglio precisare le finalità della disposizione statutaria sopra richiamata per contribuire a tenere distinto il conferimento dell’incarico di studio e collaborazione dalle deleghe da conferire agli assessori.

 

La redazione PERK SOLUTION

Attestazioni Oiv in materia di trasparenza, dal 3 giugno compilazione delle rilevazioni

A partire dal prossimo 3 giugno 2025 sarà possibile per gli Oiv (Organismi indipendenti di valutazione) o gli altri organismi con funzioni analoghe – di tutti gli enti, pubblici e privati, tenuti all’attestazione sull’esatto adempimento degli obblighi di trasparenza – documentare, in apposita scheda di rilevazione, le verifiche sulle pubblicazioni di dati, documenti e informazioni di pertinenza del 2024 nella sezione “Amministrazione trasparente” o “Società trasparente” dei siti web istituzionali. L’attestazione deve tener conto dello stato di pubblicazione al 31 maggio 2025, termine individuato tenendo in considerazione le diverse tempistiche, eterogenee rispetto all’oggetto di pubblicazione. La compilazione delle schede va effettuata esclusivamente tramite l’apposito applicativo web fornito da Anac, che permette, per ciascun dato, documento e informazione oggetto di attestazione, di evidenziare diversi indicatori di qualità: “pubblicazione” (che permette di dare conto anche dei casi di mancata pubblicazione o dei casi in cui la pubblicazione sia invece avvenuta ma non in “Amministrazione trasparente”) e, con diversi punteggi, “completezza di contenuto”, “completezza rispetto agli uffici o ai soggetti tenuti”, “aggiornamento” e “formato”.

Queste prime indicazioni operative sono individuate dalla nuova delibera annuale dell’Anac (n. 192 del 7 maggio 2025) sulle attività di attestazione, e relative modalità di acquisizione dei dati da parte dell’Autorità, in materia di assolvimento degli obblighi di pubblicazione ai fini di trasparenza, riferiti in questo caso al 2024, a cui sono tenuti ad adempiere: le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici economici, gli ordini professionali, le società e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, le società partecipate, gli enti privati di cui all’art. 2-bis, c. 3, secondo periodo del d.lgs. 33/2013.

Con la delibera, il Consiglio dell’Autorità ha individuato le categorie di dati, oggetto di obbligo di pubblicazione e ritenute particolarmente rilevanti sotto il profilo dell’uso delle risorse pubbliche e del perseguimento delle funzioni istituzionali, per le quali si prevede l’attestazione, entro specifiche scadenze. Tra le varie pubblicazioni che devono essere oggetto di attestazione, distinte a seconda della tipologia di ente, l’indicazione di quelle relative a “Bandi di gara e contratti” è legata in particolare all’opportunità di verificare il rispetto degli obblighi di pubblicazione nel primo anno di entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti, laddove sono state rilevate criticità nella mancata o incompleta digitalizzazione delle procedure di gara e relativa trasmissione dei dati alla Bdncp (Banca dati nazionale dei contratti pubblici). Quelle su “Consulenti e collaboratori” appaiono particolarmente rilevanti per la verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse. Quelle sul  “Personale” di pubbliche amministrazioni, di enti pubblici economici, di società e enti di diritto privato in controllo pubblico hanno un peso in particolare per il controllo sulle dichiarazioni sull’insussistenza di cause di inconferibilità o di incompatibilità per i titolari di incarichi dirigenziali. Attenzione è data anche alle “Informazioni ambientali”, alla luce del fatto che gli obblighi di trasparenza in questo ambito risultano spesso non correttamente o compiutamente adempiuti.

Il documento di attestazione, oltre alla correttezza secondo norme primarie e atti dell’ente, dovrà verificare anche l’assenza di filtri o altre soluzioni tecniche che possano impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche all’interno della sezione “Amministrazione trasparente” o “Società trasparente” dei siti istituzionali, salvo le ipotesi consentite dalla normativa vigente.

Le fasi successive alla prima compilazione prevedono la pubblicazione entro il 15 luglio, da parte dei Responsabili anticorruzione degli enti (Rpct), dell’attestazione degli Oiv, completa della scheda delle verifiche di rilevazione al 31 maggio, e l’eventuale monitoraggio nei casi di carenze evidenziate nella scheda di rilevazione (compilata tramite l’apposito applicativo a partire dal 3 giugno). Dal 16 luglio vanno quindi eventualmente monitorate le misure di adeguamento agli obblighi di pubblicazione adottate dagli enti, verificando entro il 30 novembre il permanere o meno delle criticità. In caso di superamento pieno delle carenze, vanno compilate e pubblicate la relativa scheda di monitoraggio e l’attestazione. Nei casi di inadempienze non risolte al 30 novembre, è possibile dal 1° dicembre, sempre tramite l’applicativo web, concludere la fase di monitoraggio indicando il dettaglio, per ogni singola sezione, delle inadempienze. L’attestazione, completa della scheda delle verifiche di monitoraggio e dell’eventuale elenco delle inadempienze, va pubblicata a cura del Rpct entro il 15 gennaio 2026 (fonte Anac).

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte Costituzionale: Divieto del terzo mandato consecutivo per i Presidenti di giunta regionale

Con la sentenza n. 64/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Campania numero 16 del 2024, per violazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, in relazione al parametro interposto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera f, della legge numero 165 del 2004, recante il cosiddetto divieto del terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto.

La Corte costituzionale ha affermato che tale divieto è per le regioni a statuto ordinario un principio fondamentale della materia elettorale ai sensi dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione. Esso costituisce l’espressione di una scelta discrezionale del legislatore volta a bilanciare contrapposti principi e a fungere da «temperamento di sistema» rispetto all’elezione diretta del vertice monocratico, cui fa da «ponderato contraltare». Né il divieto posto dal legislatore statale può considerarsi costituzionalmente illegittimo perché attinente alla forma di governo, rimessa dall’articolo 123, primo comma, della Costituzione all’autonomia statutaria delle regioni ordinarie. La nozione di forma di governo è ristretta alla immediata definizione dei rapporti tra gli organi politici della regione, dalla quale esula la materia elettorale in senso lato, ricomprensiva del regime delle limitazioni al diritto di elettorato passivo.

In via generale, l’obbligatorietà di un principio fondamentale e la sua applicazione non possono essere condizionate dal suo espresso recepimento da parte delle leggi regionali. Sempre in via generale, anche a norme che hanno un contenuto specifico e puntuale può essere riconosciuta la natura di principio fondamentale. Il divieto del terzo mandato consecutivo ha siffatta natura, perché, come è generalmente proprio di tutti i divieti, esprime un precetto in sé specifico, che per essere applicabile non necessita di alcuna  integrazione da parte del legislatore regionale, al quale, pur tuttavia, restano degli spazi “interstiziali” di regolazione.

Nel caso del divieto del terzo mandato consecutivo, tuttavia, è stato lo stesso legislatore statale ad avere ancorato l’applicazione del principio alla legislazione regionale che in qualche modo si colleghi all’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale. Ne consegue che leggi delle regioni ordinarie intervenute in materia elettorale dopo l’entrata in vigore della legge numero 165 del 2004 non possono, a pena di illegittimità costituzionale, violare il principio in esame, che è ormai parte integrante dei rispettivi ordinamenti.
Nel caso della Regione Campania il divieto del terzo mandato consecutivo è divenuto operativo con l’entrata in vigore della legge della Regione Campania numero 4 del 2009, ossia con la legge elettorale, la quale non solo non reca alcuna disposizione che a esso illegittimamente deroghi, ma all’articolo 1, comma 3, contiene un rinvio, «in quanto compatibili con la presente legge, [al]le altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia». La disposizione impugnata – nella parte in cui ha introdotto dopo diversi anni una specifica deroga al divieto, escludendo, nella sostanza, la computabilità dei mandati pregressi rispetto a quello in corso e quindi consentendo al Presidente della Giunta regionale uscente che ha già svolto due mandati consecutivi di essere rieletto alle prossime elezioni regionali – si pone, dunque, in contrasto con il ricordato principio fondamentale, in violazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.

La Corte costituzionale ha infine chiarito che nessun rilievo può essere attribuito alla circostanza che analoghe leggi regionali volte a impedire l’operatività del principio del terzo mandato consecutivo non sono state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri, fermo restando che la loro eventuale illegittimità costituzionale ben può essere fatta valere, nei modi previsti dall’ordinamento, in via incidentale.

 

La redazione PERK SOLUTION