Anticipo del TFS/TFR, in G.U. il regolamento attuativo

È stato pubblicato in G.U. n. 150 del 15 giugno 2020, il DPCM del 22 aprile 2020, n. 51, recante “Regolamento in materia di anticipo del TFS/TFR, in attuazione dell’articolo 23, comma 7, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26”.
L’anticipo del TFS/TFR, non ancora liquidato dall’ente erogatore, potrà essere richiesto dai:

  • dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonché dal personale degli enti pubblici di ricerca, cui è liquidata la pensione in quota 100, ai sensi dell’articolo 14 del DL 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26;
  • dai soggetti che accedono, o che hanno avuto accesso, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al trattamento di pensione, ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

L’anticipo TFS/TFR rientra tra i contratti di credito previsti dall’articolo 122, comma 1, lettera n), del TUB (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Esso pertanto non si configura come un’operazione di credito ai consumatori ai sensi del Capo II del Titolo VI del TUB.
Entro tre mesi dalla maturazione del diritto al pagamento della prima rata o dell’importo in unica soluzione del TFS/TFR, l’ente erogatore rimborsa alla banca il relativo ammontare dell’importo dell’anticipo TFS/TFR, comunicato dalla stessa banca in sede di perfezionamento dell’operazione. Entro trenta giorni dalla data di maturazione delle rate di TFS/TFR successive alla prima, l’ente erogatore provvede a rimborsare il cessionario. Gli interessi dell’operazione di anticipo TFS/TFR sono calcolati in base al regime di capitalizzazione semplice nella misura definita dall’Accordo quadro e sono liquidati alla banca contestualmente al rimborso delle singole tranche di TFS/TFR in relazione al capitale residuo,
La domanda di certificazione del diritto all’anticipo TFS/TFR è presentata dal richiedente all’ente erogatore. Per gli iscritti alle casse previdenziali gestite dall’INPS la domanda è presentata secondo le modalità indicate nell’apposita sezione del sito INPS. La domanda on line può essere presentata direttamente dall’utente munito di PIN dispositivo rilasciato dall’Istituto oppure di altre credenziali o dispositivi di autenticazione previsti dall’articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ovvero attraverso enti di patronato o intermediari dell’Istituto stesso. Gli enti di patronato e gli altri intermediari dell’INPS saranno espressamente delegati dal richiedente alla presentazione della domanda di certificazione. L’INPS è tenuto a verificare la validità della predetta delega, in conformità alle disposizioni vigenti. Le amministrazioni che erogano direttamente il TFS/TFR comunicheranno ai propri dipendenti, anche con modalità telematiche, la procedura di presentazione della domanda di certificazione del diritto all’anticipo TFS/TFR.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Conto annuale 2019, pubblicata la circolare della RGS

È stata pubblicata la circolare della RGS recante le istruzioni per l’inserimento delle informazioni relative al Conto annuale 2019 nel sistema informativo costituente la banca dati del personale (SICO – Sistema Conoscitivo del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche).
I dati andranno inviati mediante immissione diretta in SICO, con la modalità web o attraverso l’invio dell’apposito kit excel. I modelli di rilevazione e tutto il materiale utile per la rilevazione sono resi disponibili nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze al seguente indirizzo: www.homepagesico.mef.gov.it.
Nel caso in cui le informazioni siano accentrate per più Enti in un unico sistema informativo, le stesse possono essere trasmesse con FTP (File Transfer Protocol) nel rispetto del protocollo di colloquio definito dall’assistenza tecnica del sistema informativo SICO. A tal fine deve essere inviata un’apposita richiesta all’indirizzo di posta elettronica assistenza.pi@mef.gov.it. Le Istituzioni che si avvalgono di tale opportunità restano comunque responsabili dell’invio dei dati, dell’osservanza dei termini e della rettifica delle informazioni in caso si evidenzino anomalie ed incongruenze in sede di validazione dei medesimi.  In considerazione dell’emergenza sanitaria tutt’ora in corso, il termine entro cui dovrà essere effettuato l’invio dei dati è fissato al 24 luglio 2020.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Dipendenti pubblici, le regole sul congedo speciale

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato una nuova FAQ in merito al diritto previsto dal DL 18/2020, c.d. Cura Italia, per i dipendenti pubblici, genitori di figli di età inferiore a 12 anni, di fruire dello specifico congedo previsto per i dipendenti privati e della relativa indennità entro il 31 luglio 2020. L’articolo 25, comma 1, del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 27/2020, dispone che i dipendenti pubblici, in conseguenza della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, abbiano dritto a fruire dello specifico congedo previsto per i dipendenti privati dall’articolo 23, comma 1, dello stesso Decreto legge e della relativa indennità entro il 31 luglio 2020. La fruizione del congedo è riconosciuta alternativamente a entrambi i genitori ed è subordinata alla condizione che, nel nucleo familiare, non vi sia altro genitore a beneficiare di strumenti di sostegno al reddito per sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o disoccupato o non lavoratore.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Possibilità di cumulo dell’indennità di ordine pubblico con l’indennità di servizio esterno per il personale di P.L.

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 96/2020, rispondendo ad una richiesta di parere concernente la spesa del personale, ed in particolare in merito alla possibilità di cumulare l’indennità di ordine pubblico con le altre indennità previste dal CCNL del Comparto Funzioni Locali per il personale addetto al servizio di Polizia municipale, ha evidenziato che l’individuazione dell’ambito delle ipotesi di cumulo – solo eccezionalmente consentite – non può che essere rigorosamente vincolata alla verifica dell’oggettività delle prestazioni di servizio, ontologicamente riconducibili alla materia collegata dell’ordine pubblico, senza alcuna commistione e/o sovrapposizione con le competenze ordinarie della polizia locale. Solo tale condizione preventiva, infatti, è idonea ad escludere l’attribuzione di componenti remunerative illegittimamente liquidate per la resa del medesimo ed unico servizio, da realizzare, quindi, secondo il criterio di effettività con la resa di prestazioni diverse e aggiuntive rispetto a quelle ordinarie.
I giudici contabili, dopo una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, hanno ricordato che il CCNL Funzioni Locali del 21 maggio 2018, all’art. 56 quinquies, prevede la non cumulabilità dell’indennità di servizio esterno con l’indennità di cui all’art. 70-bis “indennità condizioni di lavoro”, e, al contrario, la cumulabilità con l’indennità di turno di cui all’art. 23, comma 5 (indennità per il personale turnista), con le indennità di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), del CCNL del 6.7.1995 e successive modificazioni ed integrazioni (indennità per il personale di vigilanza), e con i compensi connessi alla performance individuale e collettiva.
La non cumulabilità con l’indennità di servizio esterno, dunque, risulta avere ad oggetto – come indicato nella disposizione sopra richiamata – la c.d. ”indennità condizioni di lavoro”, la cui remunerazione trova giustificazione nello svolgimento, tra l’altro, di attività disagiate o esposte a rischi e, di conseguenza, pericolose o dannose per la salute. Tuttavia la menzionata indennità ha riguardo alla relazione tra i peculiari dipendenti della Polizia locale e gli altri dipendenti del medesimo comparto che non si trovano nelle predette condizioni di peculiarità. In tale senso, l’indennità di O.P. appare più assimilabile, quanto al personale di Polizia locale, alle c.d. indennità speciali erogate da “soggetti terzi” indicate – per il personale appartenente alle specialità della Polizia di Stato – nella circolare del Capo della Polizia del 03 aprile 2020, che non all’indennità di cui all’art. 70 bis del CCNL Funzioni Locali del 21 maggio 2018. Postulano, nel senso della natura “esterna ed eccezionale” dell’indennità di O.P. in favore del personale di Polizia locale, oltre al già mentovato inciso della circolare n. 333-G 2.3.81 del 07/12/2006 (che sottolinea come la corresponsione dell’indennità in parola vada riconosciuta al personale di Polizia locale solo quando l’ordinanza del Questore stabilisca uno specifico contingente numericamente determinato di operatori di Polizia locale, in quanto, altrimenti i servizi resi dal personale appartenente ai predetti Corpi e Servizi potrebbero essere considerati normali servizi di istituto e quindi, non meritevoli del riconoscimento dell’ indennità), anche la stessa intera sequenza procedimentale che consente l’inserimento del personale di Polizia locale nei servizi di Ordine Pubblico. Ci si riferisce, in particolare, all’estrinsecazione del modello coordinamentale sancito dalla L. n. 121/1981 (nel testo emergente dalla modifica impressa con il D.Lgs. n. 279/1999) che, per il tramite delle norme dell’art. 54, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000 e degli articoli 3 e 5 della L. n. 65/1986, realizza pienamente il principio di leale collaborazione tra enti ed istituzioni della Repubblica, anche sul versante della partecipazione del personale di Polizia locale – sebbene con compiti ausiliari ed in diretta dipendenza dall’ Autorità di pubblica sicurezza – alle funzioni di mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Inoltre, non va trascurato che – a rappresentazione di quanto il legislatore abbia inteso considerare il peculiare ruolo della Polizia locale nel contesto emergenziale connesso al contenimento epidemiologico del Covid-19 – con la L. 22 maggio 2020 n. 35 recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 25 marzo 2020 n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”, è stato modificato il comma 9, dell’art. 4, del preveniente D.L. n. 19/2020, inserendo, dopo le parole: “delle forze di polizia”, le seguenti parole: “del personale dei corpi di Polizia municipale munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza”. Siffatta norma pone all’evidenza che i Prefetti, nell’assicurare l’esecuzione delle misure di prevenzione e cautela volti a determinare il contenimento della diffusione epidemiologica in parola, expressis verbis, rilancia la potenzialità di supporto che può offrire il personale di Polizia locale, in servizi che, ove coordinati nei termini sopra descritti, possano generare il riconoscimento dell’indennità di O.P. in termini di cumulabilità non dissimilmente da come ha precisato il Capo della Polizia nella circolare del 03 aprile 2020. Tutto ciò posto, dirimente è il fatto che il legislatore abbia ritenuto di conservare il divieto di cumulo per alcune particolari indennità. Infatti, nella prospettiva delle citate circolari, l’art. 10, co. 2, lett. c), del DPR n. 147/90, disciplinante le fattispecie tassativamente preclusive del cumulo, non può che considerarsi norma speciale, non estensiva per analogia e di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile (preleggi). Infatti, il richiamo dell’art. 56 quinquies, co. 2, lett. d), del CCNL 2018 “Funzioni locali”, all’art. 70 bis, non appare segnatamente riconducibile alla nozione tecnica di “ordine pubblico”, quindi non preclude, aprioristicamente, il cumulo in parola, a condizione che ricorrano tutti i presupposti testé enunciati e solo quando si verifichino le eccezionali condizioni necessarie.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Funzione pubblica, rilevazione dei procedimenti disciplinari

Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha divulgato i primi dati concernenti la rilevazione dei procedimenti disciplinari da parte dell’Ispettorato per la Funzione pubblica. Dal 1 ° gennaio i dati vengono integralmente trasmessi dalle amministrazioni per via telematica, in modo più rapido e semplice, grazie all’implementazione di ‘Procedimenti disciplinari’, la banca dati presente sul portale ‘PerlaPA che raccoglie le comunicazioni relative alle azioni disciplinari a carico dei dipendenti pubblici. Le amministrazioni pubbliche comunicano i dati entro 20 giorni dall’adozione dell’avvio, della conclusione e dell’eventuale provvedimento di sospensione cautelare.
Dalla rilevazione emerge che nel primo quadrimestre del 2020 i procedimenti disciplinari avviati sono stati 1931, di cui 15 per falsa attestazione della presenza in servizio. 466 si sono conclusi, 1346 sono ancora in corso e 119 sono sospesi per procedimento giudiziario. Dei 466 procedimenti disciplinari conclusi, 82 hanno dato luogo all’irrogazione di sanzioni gravi quali 13 licenziamenti e 69 sospensioni dal servizio.
Dei 15 procedimenti disciplinari per falsa attestazione della presenza in servizio uno si è concluso con licenziamento; uno è sospeso per procedimento penale; cinque sono stati archiviati a seguito di modifica dell’iniziale addebito; otto si sono conclusi con la sospensione dal servizio.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Smart working: al via la Consultazione su ParteciPa

Partita la consultazione sul lavoro agile, promossa dal Ministro per la Pubblica amministrazione, per raccogliere informazioni sulle esperienze in corso nelle amministrazioni pubbliche e, in particolare, giudizi, valutazioni e proposte di miglioramento di dirigenti e dipendenti, utili a definire lo sviluppo dei prossimi anni dello smart working e del lavoro pubblico.
La consultazione costituirà una fonte informativa importante per alimentare una base di conoscenza a supporto di politiche partecipate di innovazione del lavoro pubblico e per accompagnare, sostenere e promuovere la diffusione dello smart working, partendo appunto dall’ascolto di due categorie di destinatari distinti e prioritari:

  • i dirigenti pubblici, che sono direttamente coinvolti nell’attuazione dello smart working, in qualità di gestori di dipendenti che lavorano in modalità agile e, più in generale, di promotori dei fattori abilitanti (revisione delle modalità organizzative, digitalizzazione dei processi);
  • i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, in qualità di “utilizzatori” del lavoro agile e, più in generale, di principali portatori di interesse rispetto ai processi di cambiamento che lo smart working introduce e, in particolare, alla configurazione del lavoro agile del futuro.

Obiettivo dell’attività di consultazione è quindi di rilevare:

  • le opinioni e le valutazioni dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni in merito alle esperienze applicative del lavoro agile nella fase di sperimentazione e durante l’emergenza Covid-19 e, soprattutto, le loro eventuali indicazioni per accompagnare, sostenere e promuovere la diffusione dello smart working;
  • le opinioni e le valutazioni dei dipendenti che hanno svolto le prestazioni lavorative in modalità agile prima e durante l’emergenza COVID-19, con particolare riferimento al grado di soddisfazione, alla rispondenza dell’esperienza realizzata rispetto alle proprie aspettative, ai punti di forza alle eventuali criticità e ai margini di miglioramento di cui tener conto ai fini di una ottimale applicazione dello smart working nelle amministrazioni pubbliche;
  • le aspettative e le eventuali indicazioni di tutti riguardo al “lavoro agile del futuro” e quindi al “futuro del lavoro pubblico”.

Info, registrazione e questionario online su ParteciPA

 

Utilizzo sanzioni CDS per finanziamento spese di personale

Con deliberazione n. 94/2020, la Corte dei conti, Sez. Umbria, ha fornito indicazioni operative in merito all’utilizzo dei proventi delle sanzioni amministrative derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, stabiliti dall’art. 142 del CDS, per interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali da effettuare mediante impiego di personale assunto a tempo determinato o con altre forme flessibili o con istituti di assegnazione temporanea.
Sul punto, i giudici contabili ribadiscono che le spese di personale finanziate con i proventi delle sanzioni per violazioni di norme del Codice della Strada non possano essere escluse dall’osservanza dei limiti di legge che interessano tale tipologia di spese. Nello specifico, trattandosi di contratti di lavoro subordinato diversi da quelli a tempo indeterminato, la relativa spesa, pur se finanziata con i proventi di che trattasi, è ammessa solo se essa rientri nei limiti previsti dall’art. 9, comma 28 del decreto legge 31/05/2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Discorso parzialmente diverso è quello relativo alla possibilità di impiegare personale in assegnazione temporanea (cd. comando). La spesa sostenuta dall’ente che si avvale del personale di altra amministrazione pubblica è da considerare neutrale nel quadro della finanza pubblica globalmente intesa, cosicché essa non assume rilevanza ai fini del rispetto dei limiti di spesa di cui alla citata disposizione dell’art. 9, comma 28 D.L. n. 78/2010 (Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 12/SEZAUT/2017/QMIG del 15 maggio 2017). Va però sottolineato che tale affermazione è valida purché la spesa sostenuta dall’Ente cedente sia figurativamente considerata come spesa di personale. Per quanto concerne, invece la possibilità di destinare i proventi in questione al “Fondo risorse decentrate”, destinandoli all’incentivazione di specifiche unità di personale di polizia locale effettivamente impegnate, nell’ambito di progetti di potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, in mansioni suppletive rispetto agli ordinari carichi di lavoro, la Corte ricorda – in ossequio alla deliberazione n. 5 del aprile 2019 della Sezione delle Autonomie – che non può escludersi l’ipotesi che, in concreto, l’ente destini agli incentivi del personale della polizia locale la quota di proventi contravvenzionali eccedente le riscossioni del precedente esercizio, utilizzando così, per l’attuazione dei progetti, solo le maggiori entrate effettivamente ed autonomamente realizzate dal medesimo personale. In tale circostanza, per la parte in cui i maggiori proventi riscossi confluiscono nel fondo risorse decentrate in aumento rispetto ai proventi da sanzioni in esso affluiti nell’esercizio precedente, l’operazione risulterebbe assolutamente neutra sul piano del bilancio (non avendo alcun impatto sulle altre spese e non dando luogo ad un effettivo aumento di spesa), sicché, nel caso in cui i maggiori proventi non fossero diretti a remunerare il personale per le ordinarie mansioni lavorative, ma venissero utilizzati per premiare la maggiore produttività di specifiche unità di personale incaricate di svolgere servizi suppletivi di controllo funzionali al programmato potenziamento della sicurezza urbana e stradale, la fattispecie così delineata non sarebbe da includere nelle limitazioni di spesa previste dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017, in quanto estranea alla ratio che costituisce il fondamento del divieto”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

La liquidazione degli incentivi tecnici

Il diritto a percepire l’incentivo per la progettazione, di natura retributiva sorge alle condizioni previste normativa vigente ratione temporis, in conseguenza della prestazione dell’attività incentivata e nei limiti fissati dalla contrattazione decentrata e dal regolamento adottato dall’amministrazione. L’omesso avvio della procedura di liquidazione o il mancato completamento della stessa non impedisce l’azione di adempimento, che può essere proposta dal dipendente una volta spirati i termini previsti dalla fonte regolamentare. Pertanto, stabilite le regole per la remunerazione delle attività espletate dai dipendenti per la ripartizione degli incentivi tecnici, in modo conforme ai criteri stabiliti dalla contrattazione decentrata poi confluiti nel regolamento formalmente approvato dall’ente, eventuali ritardi per il completamento delle opere pubbliche non possono influire sui compensi maturati, potendo in questo caso i dipendenti rivolgersi al giudice ordinario per chiedere soddisfazione del salario accessorio non ricevuto, trattandosi di far valere un loro diritto soggettivo, stante la natura retributiva dei citati incentivi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza 28 maggio 2020, n. 10222.
In merito alla natura dell’emolumento ed ai presupposti condizionanti l’insorgenza del diritto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è consolidata nell’affermare che l’incentivo ha carattere retributivo ma, poiché il legislatore ha rimesso, dapprima alla contrattazione collettiva decentrata e successivamente alla potestà regolamentare attribuita alle amministrazioni, la determinazione delle modalità di ripartizione del fondo, la nascita del diritto è condizionata, non dalla sola prestazione dell’attività incentivata, bensì anche dall’adozione del regolamento, in assenza del quale il dipendente può fare valere solo un’azione risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il legislatore ha posto a carico delle amministrazioni appaltanti ( Cass. n. 13937/2017, Cass. n. 3779/2012, Cass. n. 13384/2004).
Sulla base della disciplina dettata dagli artt. 1183 e seguenti cod. civ., il credito diviene esigibile nel momento in cui sia spirato il termine concesso al debitore per il pagamento, sicché il datore di lavoro pubblico non può certo opporre al prestatore la mancata conclusione del procedimento interno necessario per la liquidazione della spesa, al fine di sottrarsi all’adempimento di un’obbligazione di carattere retributivo, allorquando gli atti da adottare non siano costitutivi del diritto ma svolgano una funzione meramente ricognitiva, in quanto finalizzati ad accertare che la prestazione sia stata resa nei termini indicati dalla fonte attributiva del diritto stesso.
Il principio secondo cui nei confronti delle amministrazioni pubbliche l’esigibilità del credito si realizza solo con l’emissione del mandato di pagamento, è stato affermato dalla Corte di Cassazione solo per escludere che il creditore possa pretendere prima di detta data interessi corrispettivi, ma da detto principio, comunque inapplicabile ai crediti derivanti dal rapporto di lavoro per i quali vale la disciplina dettata dall’art. 22 della legge n. 724/1994 (cfr. Cass. n. 9134/1995 e già prima Cass. S.U. n. 9202/1990), non si può certo trarre la conseguenza che in assenza della conclusione del procedimento di liquidazione sarebbe impedito al creditore di agire in giudizio per far valere l’inadempimento dell’amministrazione rispetto ad un’obbligazione già scaduta. Le disposizioni normative e regolamentari vanno, infatti, interpretate alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di accesso alla tutela giurisdizionale e, quindi, considerando che da tempo il giudice delle leggi ha evidenziato che «gli artt. 24 e 113 Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale, ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia, può essere differita ad un momento successivo, sempre che sia osservato il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, ovvero di non differirla irrazionalmente, lasciandone privo l’interessato per un periodo di tempo incongruo» (Corte Cost. n. 154/1992).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Si allo scavalco condiviso anche per gli enti che approvano in ritardo i documenti di bilancio

Con deliberazione n. 10/2020 del 29/05/2020, la Corte dei conti, Sezione Autonomie –  chiamata a pronunciarsi su una questione di massima sollevata dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana in merito alla riconducibilità, o meno, nell’ambito delle assunzioni vietate dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l. n. 113/2016, della peculiare fattispecie di utilizzo a tempo parziale, e nei limiti dell’orario d’obbligo, del personale dipendente di altra amministrazione, secondo il modulo organizzativo introdotto dal CCNL del 22 gennaio 2004 (art. 14), attualmente, disciplinato dall’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 – ha enunciato il principio di diritto per il quale il divieto contenuto nell’art. 9, comma 1-quinquies, del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, non si applica all’istituto dello “scavalco condiviso” disciplinato dall’art. 14 del CCNL del comparto Regioni – Enti locali del 22 gennaio 2004 e dall’art. 1, comma 124, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, anche nel caso comporti oneri finanziari a carico dell’ente utilizzatore.

Secondo i giudici “la ratio di quest’ultimo istituto è quella di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse. L’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 dispone, infatti, che, a tali fini “gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004”. E’ stato, condivisibilmente, affermato (cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n.414/2013/PAR) che nella fattispecie di avvalimento parziale del dipendente in servizio presso un altro ente non si è al cospetto di una prestazione lavorativa totalmente trasferita, come nell’ipotesi del “comando” (fattispecie esaminata, in concreto, nella deliberazione n. 103/2017/PAR della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo), ma di fronte ad una più duttile utilizzazione convenzionale. Ed invero, il legislatore prescrive che, in sede di convenzione, debba essere definito “il quomodo di ripartizione del carico finanziario, in estrema ipotesi anche insussistente ex latere accipientis”. Nello “scavalco condiviso”, infatti, il lavoratore mantiene il rapporto d’impiego con l’amministrazione originaria, rivolgendo solo parzialmente le proprie prestazioni in favore di un altro ente, nell’ambito dell’unico rapporto alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, quand’anche la convenzione sottoscritta fra le amministrazioni preveda una ripartizione del carico finanziario della spesa complessiva, già in essere per il dipendente, attribuendone una quota parte in capo all’ente utilizzatore, la fattispecie in esame non può mai integrare la costituzione di un nuovo rapporto di impiego per la mancanza di un vincolo contrattuale diretto tra l’ente che si avvale delle prestazioni “a scavalco” ed il lavoratore, trattandosi di un modulo organizzativo di condivisione del personale fra amministrazioni pubbliche. Mancano, dunque, nella peculiare fattispecie all’esame, i presupposti ritenuti essenziali ed ineludibili dal Legislatore per l’operatività del divieto previsto dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l n. 113/2016, né la norma può essere applicata dall’interprete in via analogica a casi non espressamente previsti dalla disposizione. In particolare, non appare consentita un’interpretazione “additiva” che introduca ulteriori limitazioni all’autonomia organizzativa degli enti territoriali con riguardo ad un istituto, quale quello dello “scavalco condiviso”, che presenta un’ontologica diversità strutturale rispetto alla fattispecie di “assunzioni” colpite dal divieto. Si osserva che la finalità ordinamentale dell’istituto, ben delineata dall’art. 1, comma 124, della l. n. 145/2018, unitamente alla stessa temporaneità dell’utilizzo congiunto del personale, conducono ad escludere che il ricorso a tale modulo organizzativo possa 10 costituire una elusione al divieto di assunzioni. Ipotesi, questa, che la disposizione di cui all’art. 9 citato riferisce al solo caso dei contratti di servizio con soggetti privati. Da ultimo, va rilevato come l’indirizzo espresso si ponga in linea di continuità con l’interpretazione enunciata da questa Sezione nella precedente deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG (resa con riferimento alla diversa disciplina vincolistica di cui all’art. 9, comma 28, d.l. n. 78/2010), in cui si è affermato che l’istituto previsto dall’art. 14 del CCNL del 22 gennaio 2004 individua una modalità di utilizzo del dipendente pubblico da parte di più enti, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, senza che si possa configurare un autonomo rapporto di lavoro a tempo parziale, o un’assunzione. La soluzione ermeneutica appena illustrata non esime, tuttavia, dal mettere in luce come il ricorso al ricordato strumento organizzativo – di per sé legittimo ed ammissibile – debba avvenire in modo coerente con la relativa funzione ordinamentale, nel rispetto della concreta necessità di assicurare il regolare svolgimento di un servizio per l’effettivo fabbisogno dell’Ente e nell’ambito dei limiti di legge”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, alle assunzioni programmate dopo il 20 aprile 2020 si applica la nuova disciplina

In tema di applicazione della nuova disciplina prevista dall’art. 33, comma 2, del D.L. 30 aprile 2019 n. 34 e smi, la Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 74/2020, ha ritenuto che, per effetto dell’emanazione del DPCM in data 17 marzo 2020, alle assunzioni programmate dopo il 20 aprile 2020 si applica la nuova disciplina. L’eventuale adozione di un piano triennale di fabbisogno del personale in data anteriore al decreto non rileva ai fini della individuazione della normativa applicabile alla procedura assunzionale. Il piano triennale del fabbisogno del personale, previsto dall’art. 6 del D. Lgs. 165/2001, rappresenta, nell’ambito del concetto della programmazione, uno strumento diretto a rilevare le esigenze dell’amministrazione, si sviluppa in prospettiva triennale ed è adottato annualmente in relazione alle mutate esigenze. Si tratta, cioè, di uno strumento programmatorio che precede l’attività assunzionale dell’Ente e ne costituisce, nel rispetto dei vincoli finanziari, un indispensabile presupposto. Esso, tuttavia, essendo preliminare e distinto dalla procedura assunzionale, non può segnare con la sua adozione la data per l’individuazione della normativa da applicare a detta procedura, e segnatamente ai criteri di determinazione della relativa spesa, sottoposta, invece, sulla base del principio tempus regit actum, alla normativa vigente al momento delle procedure di reclutamento. Più chiaramente, alle procedure assunzionali successive alla data del 20 aprile 2020, in assenza di una disciplina transitoria dettata dal legislatore, va applicata la nuova normativa di cui all’art. 33, comma2, del D.L. n. 34/2019, indipendentemente dalla precedente adozione del piano di fabbisogno, che si configura come strumento flessibile allo jus superveniens in materia di spesa del personale. Al riguardo, la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 25/SEZAUT/2014/QMIG ha avuto modo di affermare che “è da … escludere la possibilità di considerare virtualmente esistente una spesa di personale solamente programmata, ma non effettuata (cd. “effetto prenotativo” della spesa)”. Sulla irrilevanza degli atti di programmazione ai fini della risoluzione di questioni di diritto intertemporale, cfr. Sezione Controllo Toscana n. 105/2010/PAR; Sezione Controllo Abruzzo n. 24/2018/PAR.
In merito alla mobilità, il collegio ha osservato che l’art. 1, comma 47, della legge 30 dicembre 2004 n. 311, ha consentito di assumere per mobilità da altri enti soggetti a limiti di spesa senza accrescere la spesa complessiva. Per effetto di tale norma, la mobilità in entrata può coprire la mobilità in uscita e le mobilità in uscita non vengono considerate come cessazioni dal servizio utili per liberare risorse da destinare a nuove assunzioni. L’obiettivo è stato quello di garantire la possibilità che risorse umane, già esistenti nella pubblica amministrazione, potessero essere redistribuite in un’ottica di migliore efficienza ed economicità. Dal punto di vista finanziario, l’operazione si considera neutra, trattandosi di dipendenti che già gravano sui saldi di finanza pubblica. Nella stessa direzione è l’art. 14, comma 7, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 secondo cui “Le cessazioni dal servizio per processi di mobilità, nonché quelle disposte a seguito dell’applicazione della disposizione di cui all’articolo 2, comma 11, lettera a), limitatamente al periodo di tempo necessario al raggiungimento dei requisiti previsti dall’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over.”
Nel sistema delineato dall’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019, tuttavia, la c.d. neutralità della mobilità non appare utilmente richiamabile ai fini della determinazione dei nuovi spazi assunzionali, essendo questi fondamentalmente legati alla sostenibilità finanziaria della spesa del personale, misurata attraverso i valori soglia, differenziati per fascia demografica, del rapporto tra spesa complessiva per tutto il personale (senza alcuna distinzione tra le diverse modalità di assunzione, concorso o mobilità), al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione.

 

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