Province, l’assunzione di personale mediante mobilità non ha valenza neutrale

Con la deliberazione n. 169/2020, la Corte dei conti, Sez. Piemonte, fornisce chiarimenti ad un Ente Provincia in merito alla possibilità di fronteggiare delle carenze organiche acquisendo del personale in mobilità dei Comuni. L’Ente istante chiede di sapere se l’assunzione vada considerata o meno neutrale ai fini della finanza pubblica o vada ad erodere le proprie facoltà assunzionali, anche in presenza di altre mobilità in uscita (2 dirigenti, una Posizione organizzativa ed un Istruttore amministrativo trasferiti a seguito di mobilità in Regione).
La Sezione ricorda che con l’abrogazione del comma 420 dell’art. 1 della legge 190/2015 (ad opera dell’art. 1, comma 846, della l. 27 dicembre 2017, n. 205) – che prescriveva limiti all’assunzione di personale a tempo indeterminato – sia consentito all’ente effettuare assunzioni di personale anche attraverso l’istituto della mobilità. L’istituto della mobilità è disciplinato dal D.Lgs. n. 165/2001 (Testo unico in materia di pubblico impiego), che all’art. 30 dispone che le amministrazioni pubbliche possano ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni che facciano domanda di trasferimento.
I giudici evidenziano, inoltre, come nell’attuale contesto normativo, non più basato sulla logica del turn over, ma su criteri di sostenibilità finanziaria, la mobilità non può più considerarsi neutra, non ricorrendo quelle ragioni e quegli elementi su cui si fondava la sua stessa neutralità. Nel precedente regime giuridico in materia di assunzione di personale, fino all’entrata in vigore dell’art. 33 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e successive modificazioni, la ragione della neutralità dell’acquisizione del personale mediante mobilità andava ricercata nel fatto che lo scopo ultimo da perseguire era quello di evitare aumenti della spesa del personale incontrollati non solo con riguardo al singolo ente, bensì dell’intero comparto pubblico. In questo senso la mobilità era considerata un istituto attraverso cui realizzare una più razionale distribuzione dei dipendenti già in servizio presso le diverse amministrazioni, che consentiva di conseguire un soddisfacimento del fabbisogno del personale senza dover assumere nuovo personale con consequenziale incremento della spesa della pubblica amministrazione intesa nel suo complesso. Il nuovo regime introdotto dall’art. 33 richiede, invece, il rispetto di determinate soglie di spesa relativa a tutto il personale di un singolo ente, calcolate in termini percentuali rispetto alla media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati. Si tratta, quindi, della necessità che la spesa del personale non superi determinate soglie e, evidentemente, tali soglie fanno riferimento al singolo ente e non di quella dell’intero comparto pubblica amministrazione. Tali considerazioni valgono anche per l’attuale situazione in cui versano le province rispetto alle quali non è stato adottato il relativo decreto ministeriale attuativo. Invero, a parte l’attuale rilievo della spesa complessiva di personale del singolo ente, nel rapporto tra i due enti viene a mancare quel necessario elemento che si sostanziava nel fatto che entrambi gli enti fossero soggetti a limitazioni assunzionali. E nel caso di assunzioni eseguite dalle province – per le quali non è stato ancora adottato il decreto attuativo – mediante mobilità da comuni – in cui è stato adottato il decreto attuativo – per uno dei due enti (il comune) non sono più operativi limiti assunzionali ma solo criteri di sostenibilità finanziaria. Ne deriva che l’Ente, non potendo considerare neutra la mobilità in entrata, dovrà procedere ad una generale valutazione delle proprie facoltà assunzionali in cui includere anche la valutazione delle mobilità in uscita.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Congedo straordinario per genitori con figli in DAD nelle “zone rosse” o con disabilità grave

Con Circolare n. 2 del 12 gennaio 2021 e relativi Allegati, l’INPS fornisce indicazioni in tema di congedo straordinario per i genitori dipendenti in caso di sospensione della didattica in presenza delle scuole secondarie di primo grado, nonché per i genitori di figli in situazione di disabilità grave, in caso di sospensione della didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o in caso di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, come previsto dall’art. 22 bis, commi 1 e 3, del Decreto Ristori (D.L. n. 137/2020), convertito con modificazioni in L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Nel dettaglio, il provvedimento regola due differenti situazioni:

1 – Congedo straordinario per i genitori in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza di figli nelle scuole secondarie di primo grado di cui all’art. 22 bis, comma 1.
Con riguardo alla platea dei destinatari del congedo previsto dal comma 1 dell’art. 22 bis, l’Istituto chiarisce che possono beneficiarne solo i genitori lavoratori dipendenti, anche affidatari o collocatari. Inoltre, tale congedo può essere fruito da uno solo dei genitori oppure da entrambi, ma non negli stessi giorni, e comunque nei soli casi in cui non possano svolgere la prestazione di lavoro in smartworking.
Per accedere al beneficio, il genitore lavoratore dipendente deve essere in possesso dei seguenti requisiti:
– deve avere un rapporto di lavoro dipendente in essere;
– non deve svolgere lavoro in modalità agile;
– il figlio deve essere alunno frequentante la classe seconda o terza della scuola secondaria di primo grado per la quale sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza, a seguito dell’Ordinanza del Ministro della Salute con cui si dispone l’applicazione delle misure previste per le c.d. zone rosse di cui all’art. 3, comma 4, lettera f), dei D.P.C.M. del 3 novembre 2020 e del 3 dicembre 2020 e dell’art. 19 bis del Decreto Ristori.
Si precisa, inoltre, che ai fini della fruizione non è necessaria la convivenza del genitore con il figlio per cui si chiede il congedo.
Quanto alla durata, il congedo può essere richiesto per tutto o parte del periodo indicato nell’Ordinanza del Ministro della Salute con cui viene disposta l’applicazione delle misure per le c.d. zone rosse.
Per i giorni lavorativi di congedo fruiti, è riconosciuta al genitore un’indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata in base all’art. 23 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, e sono coperti da contribuzione figurativa.

2 – Congedo straordinario per genitori di figli con disabilità in situazione di gravità in caso di sospensione dell’attiva didattica in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado o chiusura di centri diurni a carattere assistenziale di cui all’art. 22 bis, comma 3.
Questo congedo potrà essere fruito soltanto da genitori lavoratori dipendenti per astenersi dal lavoro, in tutto o in parte, durante il periodo di sospensione dell’attività didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o la chiusura di centri diurni a carattere assistenziale frequentati da figli con disabilità in situazione di gravità.
Si tratta di una misura a valenza nazionale e, pertanto, fruibile indipendentemente dallo scenario di gravità e dal livello di rischio in cui è inserita la Regione dove è ubicata la scuola o il centro di assistenza per i quali venga disposta la sospensione dell’attività in presenza.
Ai fini del riconoscimento, il genitore richiedente, anche affidatario o collocatario, deve essere in possesso dei requisiti di cui ai precedenti punti a) e b) ed è, altresì, necessario che il figlio:
– sia riconosciuto disabile in situazione di gravità ai sensi dell’art. 4, comma 1, della L. n. 104/1992;
– sia iscritto a scuole di ogni ordine e grado o ospitato in centri diurni a carattere assistenziale per le quali venga disposta la sospensione dell’attività in presenza.
Anche con riferimento a questa tipologia di congedo non è necessaria la convivenza con il figlio.
In relazione alla durata, il congedo in parola può essere richiesto per tutto o parte del periodo da entrambi i genitori che possono alternarsi nella fruizione, ma mai negli stessi giorni per lo stesso figlio.
Parimenti al congedo di cui all’art. 22 bis, comma 1, per i giorni fruiti è riconosciuta al genitore un’indennità pari al 50% della retribuzione calcolata con le medesime modalità.
Da ultimo, l’Istituto chiarisce che la domanda può riguardare anche periodi di astensione antecedenti alla data di presentazione della stessa purché relativa a periodi non antecedenti al 9 novembre 2020 (data di entrata in vigore del D.L. n. 149/2020, c.d. Decreto Ristori bis) e – per il congedo di cui al comma 1 – purché anche ricompresi all’interno del periodo individuato nell’Ordinanza del Ministro della Salute.

 

Il trattamento economico durante l´aspettativa per dottorato di ricerca

Il Capo Dipartimento della Funzione Pubblica – in risposta ad un quesito in merito alle voci del trattamento economico spettante al titolare di posizione organizzativa in aspettativa per dottorato di ricerca, senza borsa di studio, che debbano essere considerate ai fini dell’applicazione della previsione di salvaguardia contenuta nell’articolo 2, comma 1, della legge 13 agosto 1984, n. 476 –  ha precisato che l’articolo 2, comma 1, della legge 13 agosto 1984, n. 476, come modificato dall’articolo 52 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 e successivamente dall’articolo 19, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, prevede che il pubblico dipendente che richiede di fruire del regime di aspettativa per la frequenza di corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o in caso di rinuncia a questa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. La norma di salvaguardia è richiamata in ambito contrattuale dall’articolo 40, comma 2, del CCNL 21 maggio 2018 – Comparto funzioni locali -, secondo cui “I dipendenti con rapporto a tempo indeterminato ammessi ai corsi di dottorato di ricerca, ai sensi della legge 13 agosto 1984, n. 476 oppure che usufruiscano delle borse di studio di cui alla legge 30 novembre 1989, n. 398 possono essere collocati, a domanda, in aspettativa per motivi di studio senza assegni per tutto il periodo di durata del corso o della borsa nel rispetto delle disposizioni legislative vigenti, fatto salvo quanto previsto dall’ art. 2 della citata legge n. 476/1984 e successive modificazioni”.  Ciò posto, al dipendente titolare  di posizione organizzativa, beneficiario dell’aspettativa in questione, occorre garantire, oltre allo stipendio tabellare, la retribuzione di posizione, per il solo fatto del conferimento della titolarità dell’incarico di posizione organizzativa. In merito alla retribuzione di risultato, il parere precisa che il regime di aspettativa del dipendente non consente l’effettivo svolgimento della prestazione e, quindi, il conseguimento degli obiettivi connessi al risultato. Ne deriva che l’emolumento in questione non possa concorrere per sua natura al trattamento economico in godimento.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Ai lavoratori autonomi in quiescenza solo incarichi gratuiti

Il Capo Dipartimento della Funzione Pubblica, in risposta ad una richiesta di parere circa la compatibilità – nell’ipotesi del conferimento dell’incarico di Presidente della costituenda Autorità (omissis) ad un libero professionista in quiescenza presso l’ente previdenziale Inarcassa – con quanto previsto dell’articolo 5, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha ribadito che le previsioni di cui all’art. 5, comma 9, del decreto legge n. 95 del 2012 si debbano applicare anche ai professionisti collocati in quiescenza presso enti privati di previdenza obbligatoria. Pertanto, non si ravvisano elementi ostativi all’ipotesi che a tali soggetti siano attribuiti incarichi di studio, consulenza, direttivi, dirigenziali, o cariche in organi di governo, ferma restando la gratuità.
L’articolo 5, comma 91, prevede il divieto per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi direttivi, dirigenziali, cariche in organi
di governo, incarichi di studio o consulenza, a pensionati, già lavoratori pubblici o privati. Tale divieto non si configura come assoluto, in quanto è fatta salva la possibilità di conferire tali incarichi o cariche a titolo gratuito e, con specifico riguardo agli incarichi direttivi e
dirigenziali, con il limite annuale. In merito, la giurisprudenza contabile si è più volte soffermata sulla definizione di “lavoratori”  contenuta nel dettato normativo, manifestando un orientamento che può dirsi ormai consolidato, in base al quale “l’uso del termine «lavoratori» e non «dipendenti» va interpretato proprio al fine di comprendere tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi, a prescindere dall’attività lavorativa svolta prima di essere collocati in quiescenza, in coerenza, peraltro, con la ratio della disposizione di conseguire risparmi di spesa”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Ferie, festività solidali, premi individuali e progressioni orizzontali, i chiarimenti dell’ARAN

Pubblichiamo gli ultimi orientamenti applicativi dell’ARAN in materia di ferie, riposi solidali, premi individuali e progressioni economiche orizzontali.

Un dipendente che usufruisce delle ferie e riposi solidali di cui all’art. 30 del CCNL Funzioni Centrali 2016-2018, durante la fruizione di queste, matura le ordinarie ferie ad esso spettanti?
L’art. 30 del CCNL Funzioni Centrali del 12/02/2018, dando attuazione all’art. 24 del D. Lgs. n. 151/2015, ha introdotto l’istituto contrattuale della cessione a titolo gratuito di riposi e ferie maturati in favore dei lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro.
La disciplina contrattuale prescrive compiutamente tale istituto con riguardo ai requisiti, condizioni e modalità di attuazione; come ad esempio, la volontarietà e gratuità della cessione, la necessità di dare assistenza ai figli minori bisognosi di costanti cure e l’idonea certificazione delle stesse; ma tace sul tema della maturazione delle ferie ordinarie durante la fruizione di quelle solidali.
Sul punto, dunque, questa Agenzia ritiene che la fruizione di ferie e riposi solidali non possa essere di ostacolo alla maturazione delle ferie annualmente spettanti al dipendente che ne usufruisce.

In relazione all’istituto delle ferie e riposi solidali di cui all’art. 30 del CCNL Funzioni Centrali 2016-2018, esiste un termine di durata massima dell’assenza del dipendente fruitore?
Preliminarmente, si fa presente che la cessione a titolo gratuito di riposi e ferie maturati in favore dei lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro è stata introdotta dall’art. 24 del D. Lgs. n. 151/2015, che espressamente prevede che vi si possa dare attuazione “…nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro”. Tale previsione ha dunque trovato realizzazione, per il personale del comparto delle Funzioni Centrali, con l’entrata in vigore dell’art. 30 del CCNL Funzioni Centrali del 12/02/2018, il quale disciplina compiutamente l’istituto dei riposi e delle ferie solidali con riguardo ai requisiti, condizioni e modalità di attuazione; come ad esempio, la volontarietà e gratuità della cessione, la necessità di dare assistenza ai figli minori bisognosi di costanti cure e l’idonea certificazione delle stesse.
E tuttavia, l’articolo in parola non indica alcun termine massimo di assenza del dipendente che usufruisce di detti riposi e ferie solidali, bensì si limita a prescrivere che il dipendente può “presentare specifica istanza all’Amministrazione, reiterabile, di utilizzo di ferie e giornate di riposo per una misura massima di 30 giorni per ciascuna domanda, …” (art. 30, comma 2 del CCNL citato). Gli unici obblighi presenti nel Contratto Collettivo, invero, sono la preventiva fruizione delle ordinarie ferie e riposi del dipendente (comma 7) e, il ritorno in disponibilità di quelle solidali allorquando cessino, prima della loro fruizione totale o parziale, le necessarie condizioni legittimanti delle stesse (comma 9).

Ai fini della corretta applicazione dell’art. 69 del CCNL del 21 maggio 2018 può considerarsi coerente con la ratio della norma la previsione, in sede di contrattazione integrativa, di un premio individuale differenziato attribuibile ai dipendenti che abbiano conseguito una valutazione pari o superiore al 95%? In caso affermativo, se nessun dipendente raggiunge la soglia richiesta, il complessivo importo destinato alla maggiorazione può essere distribuito a tutto il personale?
Con riferimento alla questione in oggetto, in merito alla corretta applicazione dell’istituto relativo alla differenziazione del premio individuale si ritiene opportuno osservare quanto segue.
L’art. 69 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, come noto, in materia di differenziazione del premio individuale, al comma 2, dispone che: “La misura di detta maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1” ed al comma 3 che “La contrattazione integrativa definisce altresì, preventivamente, una limitata quota massima di personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita”.
Pertanto, la ricordata disciplina contrattuale demanda alla contrattazione di secondo livello, oltre alla misura della maggiorazione nel rispetto del valore minimo previsto dal CCNL, la definizione di una limitata quota massima di personale al quale, per aver conseguito la valutazione più elevata, potrà essere attribuita la maggiorazione del premio individuale scorrendo la graduatoria risultante dal sistema di valutazione adottato dall’ente fino a saturazione della quota predetta.
Si ritiene opportuno al riguardo precisare altresì che la disciplina contrattuale collettiva nazionale in parola non ha dato alla contrattazione integrativa alcuna delega negoziale per l’individuazione di una soglia valutativa cui collegare il riconoscimento della maggiorazione del premio individuale atteso che un simile meccanismo, come si evince dalla problematica dedotta con il secondo quesito, potrebbe oggettivamente prestarsi ad una applicazione elusiva della disciplina stessa.
Per agevolare la corretta applicazione della disciplina contrattuale collettiva in esame si ritiene opportuno suggerire il seguente percorso:
a) determinare preventivamente, nell’ambito delle risorse destinate a tale finalità, l’ammontare medio pro-capite del premio collegato alla performance individuale da riconoscere al personale valutato positivamente;
b) successivamente, in sede di contrattazione integrativa, definire il valore della maggiorazione del premio individuale, da riconoscere ai dipendenti che abbiano conseguito le valutazioni più elevate, in misura comunque non inferiore al 30% del valore medio dei premi come determinati alla lett. a)
c) determinare, sempre in sede di contrattazione integrativa, una limitata quota massima di personale valutato cui dovrà essere riconosciuta la maggiorazione di premio individuale, nell’importo di cui alla lett. b);
dalle complessive risorse destinate ai premi individuali, di cui alla lett. a), prelevare quelle destinate alla corresponsione della maggiorazione, calcolandole sulla base del valore della stessa, ai sensi della lett. b), e della limitata quota di personale di cui alla lett. c).

Ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali, le disposizioni dell’art. 16, comma 3, del CCNL 21.05.2018 possono essere interpretate nel senso che la valutazione di performance individuale triennale ivi richiesta può concernere due anni di valutazione relativi alla categoria per la quale è attivata la procedura di selezione (cat. D) ed un anno di valutazione nella categoria inferiore (cat. C5), oppure la valutazione triennale deve essere interamente riferita alla categoria per la quale è attivata la procedura (cat. D)?
Con riferimento alla questione in oggetto, si rileva che la disciplina dell’art. 16, comma 3 del CCNL 21.05.2018 prevede che le progressioni economiche possano essere attribuite sulla base della valutazione della performance individuale del personale relativa al triennio che precede l’anno in cui è adottata la decisione di attivare l’istituto senza distinguere, a questi fini, se la valutazione triennale si riferisce ad anni di attività lavorativa prestata in categorie differenti.
La disciplina contrattuale prevede, altresì, che ai fini della valutazione gli enti possono tenere conto anche, tra gli altri criteri, dell’esperienza maturata negli ambiti professionali di riferimento nonché delle competenze acquisite e certificate a seguito di processi formativi.
Si ritiene opportuno sottolineare che il triennio indicato nella richiamata norma non rappresenta un requisito di partecipazione, ma l’inderogabile arco temporale di riferimento relativo agli esiti della valutazione della performance individuale da considerare, in base al nuovo sistema, ai fini dell’attribuzione della progressione economica orizzontale.
Al riguardo, in forza della locuzione “performance individuale del personale”, si ritiene che, ai fini in parola, la valutazione della performance individuale del triennio non possa che avere riguardo, rispetto a ciascun candidato, alle risultanze dell’attività lavorativa dallo stesso effettivamente svolta nelle tre annualità di riferimento sulla base del proprio inquadramento giuridico ed economico.
Ove, pertanto, in una fattispecie come quella descritta, nel triennio 2017- 2019, un dipendente nel 2017 risulti ancora inquadrato nella categoria C e dal 2018 abbia acquisito un inquadramento in categoria D, fermo restando il possesso del requisito di 24 mesi di cui all’art. 16, comma 6, le risultanze della valutazione non potranno che fare riferimento alle prestazioni ed ai risultati effettivamente conseguiti dal dipendente nelle tre annualità di riferimento (un anno con inquadramento in categoria C e due anni con inquadramento in categoria D).

Se un Ente ha definito l’Ipotesi di contratto integrativo triennale (2019-2021), finanziando le progressioni organizzative per il 2019 e contabilizzando le relative risorse entro tale anno, ma la sottoscrizione definitiva del contratto integrativo è intervenuta solo a luglio del 2020, è possibile in forza dell’Ipotesi definita nel 2019 e della copertura finanziaria dalla stessa prevista attribuire le progressioni economiche orizzontali dall’1.1.2019?
Con riferimento alla questione in oggetto, appare preliminarmente necessario chiarire quale sia il momento genetico del contratto collettivo, sia nazionale che integrativo, nel sistema della contrattazione collettiva propria del lavoro pubblico privatizzato.
Al riguardo mette conto anzitutto osservare che non soccorre pienamente, nella fattispecie, il disposto dell’art.1326 cod. civ., che costituisce il paradigma normativo della conclusione del contratto nell’ordinamento civilistico e che in tale ordinamento è riferibile anche ai contratti collettivi di lavoro, giusta il quale “il contratto e’ concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte…”.
Infatti, nel caso della contrattazione collettiva di lavoro disciplinata dal dlgs 165/2001 e smi, in ragione dei suoi profili di specialità, prima che la parte pubblica risulti giuridicamente nella condizione di sottoscrivere il contratto collettivo quale fonte delle obbligazioni da esso scaturenti è necessario che sia stato positivamente esperito l’iter autorizzatorio previsto dallo stesso dlgs. 165/2001 e smi (e per il contratto integrativo eventualmente anche dal CCNL) del quale l’ipotesi di contratto sottoscritta dalle parti costituisce il presupposto ma che, ai fini dell’applicazione al personale del suo contenuto, non ha alcuna efficacia giuridica non essendo il contratto ancora venuto ad esistenza.
Ad ulteriore conferma di tale ricostruzione della disciplina sul momento genetico del contratto collettivo di lavoro e sul valore giuridico dell’ipotesi di contratto nel regime del dlgs. 165/2001 e smi, l’art. 40, comma 4 del medesimo testualmente recita: “Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”, così esplicitamente confermando nella “sottoscrizione definitiva” il momento genetico del contratto stesso.
In tale prospettiva ermeneutica deve essere correttamente interpretata la clausola dell’art. 16, comma 7 del CCNL 21.05.2018 la quale testualmente recita: “L’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la previsione delle necessarie risorse finanziarie”.
Poiché la sopra ricordata disciplina contrattuale non consente interpretazioni contra litteram non si ritiene possibile la decorrenza retroattiva al 1° gennaio 2019.
Al riguardo si ritiene opportuno far presente che la prassi del tardivo avvio in corso d’anno delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo e la sua sottoscrizione definitiva nell’anno successivo, oltre a non risultare rispondente al sistema negoziale configurato dalla disciplina legislativa e contrattuale, non consente neppure, intervenendo ad esercizio concluso, di attuare una corretta programmazione e gestione delle risorse finanziarie e umane.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Aran: Rinvio rilevazione deleghe per le ritenute del contributo sindacale

L’ARAN comunica che, ai sensi dell’art. 31-quinquies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, per come convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, la rilevazione delle deleghe per le ritenute del contributo sindacale – che avrebbe dovuto operarsi con riferimento alla data del 31 dicembre ultimo scorso – sarà effettuata alla data del 31 dicembre 2021.
Lo stesso articolo – che riproduce l’originaria formulazione dell’art. 15 del decreto legge 30 novembre 2020, n. 157 – proroga il mandato delle RSU in scadenza nella prossima primavera, in attesa che si registrino le condizioni per la tenuta delle elezioni per il loro rinnovo, che dovrà avvenire entro il termine stabilito del 15 aprile 2022.
Sono dunque sospesi, allo stato, le attività e gli adempimenti legati alla rilevazione delle deleghe e alle procedure elettorali RSU nonché i relativi censimenti dei dati, operati a regime da A.Ra.N. attraverso la propria piattaforma dedicata.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Incentivi per funzioni tecniche in caso di adesione a convenzione quadro stipulata da soggetto aggregatore

Gli incentivi per funzioni tecniche disciplinati dall’art. 113 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 possono essere riconosciuti al personale dipendente dell’Amministrazione che abbia svolto funzioni tecniche nella fase di esecuzione di un appalto di servizi concluso mediante adesione a convenzione quadro stipulata da un soggetto aggregatore, laddove sia stato nominato il direttore dell’esecuzione e purché ricorra quella particolare complessità che deve caratterizzare l’attività incentivabile, la cui occorrenza in concreto va verificata dall’Amministrazione. È quanto chiarito dalla Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, deliberazione n. 120/2020. La Sezione ricorda preliminarmente che il fatto che l’Ente proceda mediante un soggetto aggregatore non può dirsi di per sé preclusivo al riconoscimento di incentivi per funzioni tecniche, come è possibile evincere dalla norma contenuta nel secondo comma dell’art. 113, per la quale “Gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di committenza possono destinare il fondo o parte di esso ai dipendenti di tale centrale”. Il che, dunque, non esclude la possibilità per l’Ente di stanziare e destinare una quota percentuale del fondo ai dipendenti interni che operino nell’ambito della centrale di committenza. L’elencazione delle funzioni incentivabili (di cui al secondo comma dell’art. 113 del Codice) è riferita a particolari attività il cui espletamento è richiesto dalla complessità del procedimento cui esse attengono. Una volta ammesso il ricorso a tali forme d’incentivazione a tutte le tipologie di appalto, ciò che rileva, ai fini della riconduzione o meno della fattispecie entro lo spazio di applicabilità della norma, non è l’utilizzo di determinati meccanismi di approvvigionamento, quanto l’effettiva occorrenza di una delle attività incentivabili. Duplice presupposto per il riconoscimento degli incentivi è rappresentato dal fatto che vi sia a monte una “gara” (poiché in mancanza non può esservi l’accantonamento delle risorse nel fondo) e una particolare complessità che in concreto deve caratterizzare attività da incentivare. Nel merito, spetterà all’ente la valutazione dell’occorrenza di attività effettivamente incentivabili svolte in relazione ad un appalto concluso mediante adesione a convenzione quadro stipulata da un soggetto aggregatore, rappresentando, la stessa, comunque, ipotesi eccezionale, la cui legittimità dipende dall’accertamento della particolare complessità che deve connotare l’attività svolta (tale da necessitare di uno sforzo supplementare che consenta di derogare al principio di onnicomprensività della retribuzione). Rimane altresì fermo che l’applicabilità degli incentivi, nell’ambito dei contratti di affidamento di servizi e forniture, è, peraltro, contemplata soltanto “nel caso in cui sia nominato il direttore dell’esecuzione”, inteso quale soggetto autonomo e diverso dal RUP. Tale figura interviene soltanto negli appalti di forniture o servizi di importo superiore a 500.000 euro.
Con la medesima deliberazione la Sezione ha altresì evidenziato che le funzioni tecniche svolte nella fase di esecuzione di un appalto di servizi, concluso mediante adesione a convenzione quadro stipulata da un soggetto aggregatore, non sono incentivabili qualora la pubblicazione del bando di gara da parte del soggetto aggregatore sia avvenuta antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016. Nell’ipotesi di pubblicazione del bando di gara da parte del soggetto aggregatore avvenuta antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 deve pertanto applicarsi, anche per quanto riguarda gli incentivi per funzioni tecniche, la disciplina previgente, la quale va individuata nel previgente decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come modificato dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114. In base a tale normativa non erano incentivabili le funzioni relative alla esecuzione degli appalti di servizi.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Scavalco condiviso e scavalco d’eccedenza, tetto all’utilizzazione del personale

La Corte dei conti, Sez. Umbria, con deliberazione n. 129/2000, ha ribadito che non è possibile ai Comuni che non hanno una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti di altre Amministrazioni locali oltre l’ambito delle 36 ore settimanali, che concretizza l’ipotesi del c.d. scavalco d’eccedenza ai sensi dell’art. 1, comma 557 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. È invece consentito a tutti gli Enti locali, ai sensi dell’art. 1, comma 124 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, utilizzare personale assegnato ad altri Enti per periodi predeterminati e per una parte delle 36 ore settimanali – che costituiscono il tempo di lavoro d’obbligo – mediante convenzione volta a definire, tra l’altro, la ripartizione degli oneri finanziari (c.d. scavalco condiviso). In tale ultima circostanza non si applica il limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, del D.L. n. 78/2010, purché in assenza di oneri aggiuntivi per la spesa complessiva del personale delle due Amministrazioni interessate. Ciò comporta il fatto che “la minore spesa dell’ente titolare del rapporto di lavoro a tempo pieno non può generare spazi da impiegare per spese aggiuntive di personale o nuove assunzioni” (deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG in relazione al citato art.1, comma 557). La Sezione, riprendendo anche qui quanto affermato dalla Sezione delle Autonomie per l’art. 1, comma 557, ricorda che “le spese sostenute pro quota dall’Ente di destinazione per la prestazione lavorativa [ai sensi dell’art. 1, comma 124 della L. n. 145/2018] saranno da computarsi, in ogni caso, nella spesa per il personale ai sensi dell’art. 1, commi 557 o 562, della legge n. 296/2006 e, conseguentemente, saranno soggette alle relative limitazioni.”

Autore: La redazione PERK SOLUTION

In G.U. il decreto che proroga al 31 gennaio 2021 le misure sul lavoro agile nelle PA

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 323 del 31/12/2020 il decreto del 23 dicembre 2020 concernente la proroga delle disposizioni di cui al decreto 19 ottobre 2020, recante «Misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale».
Fino al 31 gennaio 2021 per accedere al lavoro agile non è richiesto l’accordo individuale di cui all’articolo 19 della legge 22 maggio 2017, n. 81. Il lavoro agile può avere ad oggetto sia le attività ordinariamente svolte in presenza dal dipendente, sia, in aggiunta o in alternativa e comunque senza aggravio dell’ordinario carico di lavoro, attività progettuali specificamente individuate tenuto conto della possibilità del loro svolgimento da remoto, anche in relazione alla strumentazione necessaria. Le pubbliche amministrazioni assicurano in ogni caso le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato. Al fine di agevolare il personale dipendente nei trasferimenti necessari al raggiungimento della sede di servizio e – in presenza di realtà dimensionalmente significative – allo scopo di evitare di concentrare l’accesso al luogo di lavoro dei lavoratori in presenza nella stessa fascia oraria, l’amministrazione, ferma restando la necessità di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, individua fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita ulteriori rispetto a quelle adottate, nel rispetto del sistema di relazioni sindacali definito dai contratti collettivi nazionali. Nei casi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile. Nei casi in cui ciò non sia possibile in relazione alla natura della prestazione, è comunque tenuto a svolgere le attività assegnate dal dirigente. L’assenza dal servizio del lavoratore, necessaria per lo svolgimento degli accertamenti sanitari propri, o dei figli minorenni, disposti dall’autorità sanitaria competente per il Covid-19, è equiparata al servizio effettivamente prestato. Il lavoro agile si svolge ordinariamente in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro. In ragione della natura delle attività svolte dal dipendente o di puntuali esigenze organizzative individuate dal dirigente, il lavoro agile può essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità. Nei casi di prestazione lavorativa in modalità agile, svolta senza l’individuazione di fasce di contattabilità, al lavoratore sono garantiti i tempi di riposo e la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Capacità assunzionali, al lordo le voci da considerare nel rapporto tra spese di personale ed entrate correnti

La Corte dei conti, Sez. Campania, con deliberazione n. 131/2020, fornisce chiarimenti in merito alla corretta determinazione delle grandezze finanziarie da considerare ai fini del rapporto tra spese di personale ed entrate correnti da confrontare con i valori soglia indicati nelle tabelle allegate al D.M. 17 marzo 2020. La Sezione, nel ricostruire il quadro normativo e giurisprudenziale in materia ribadisce come, ai fini della determinazione della capacità assunzionale dei Comuni, assumano fondamentale rilevanza le voci di spesa e di entrata che contribuiscono a determinare il rapporto, laddove il nuovo sistema delineato è coerente con il modello di governo delle assunzioni da parte dei Comuni che stabilisce una modalità di calcolo dello spazio assunzionale dell’ente, facendo riferimento ad un parametro finanziario, di flusso, a carattere flessibile che, però, va considerato al lordo, come indicato dal legislatore e dal decreto attuativo.
L’art. 2 del DM individua le voci da inserire al numeratore e al denominatore nel rapporto spesa di personale/entrate correnti. In tal senso, al numeratore andranno inseriti gli impegni di competenza per spesa complessiva per tutto il personale dipendente a tempo indeterminato e determinato. Mentre al denominatore vengono poste le entrate correnti quale media degli accertamenti di competenza riferiti ai primi tre titoli delle entrate, relativi agli ultimi tre rendiconti approvati, considerati al netto del FCDE stanziato nel bilancio di previsione relativo all’ultima annualità considerata, da intendersi rispetto alle tre annualità che concorrono alla media.
La norma non opera alcuna distinzione con riferimento alla tipologia di entrate correnti e non vi è ragione per escludere, dalle entrate correnti rilevanti per la definizione dei limiti assunzionali, i trasferimenti di parte corrente percepiti dai Comuni utilizzatori del personale convenzionato, ovvero altre ipotesi di entrate. Se la norma intende “premiare” i Comuni maggiormente virtuosi nella riscossione delle entrate correnti queste vanno individuate al lordo “nettizzandole” solo ed esclusivamente in relazione al FCDE. Analogamente, la spesa di personale va considerata al lordo degli oneri riflessi, includendo voci di spesa ( che comunque a ben vedere avrebbero effetti neutri ai fini della sostenibilità finanziaria) quali: la spesa di personale etero-finanziato, con finanziamenti comunitari o privati; il rimborso al Comune capofila in caso di convenzione di segreteria; la spesa per lavoro straordinario e altri oneri di personale direttamente connessi all’attività elettorale con rimborso dal Ministero dell’interno; le spese sostenute per il personale comandato presso altre amministrazioni per le quali è previsto il rimborso dalle amministrazioni utilizzatrici; le spese finanziate con quote di proventi per violazioni al codice della strada; la spesa per gli oneri per i rinnovi contrattuali.

Autore: La redazione PERK SOLUTION