Aspettativa e indennità di funzione degli amministratori dipendenti a tempo determinato

Riconoscere una indennità piena al lavoratore a tempo determinato, che non può assolvere all’incarico della funzione pubblica a tempo pieno ed esclusivo, configurerebbe una disparità di trattamento ed una ingiustificata discriminazione tra l’amministratore in aspettativa non retribuita – con diritto a percepire la sola indennità di funzione – e l’amministratore/lavoratore a termine che, oltre all’indennità in misura piena, acquisirebbe il proprio trattamento stipendiale. Dunque, sebbene non sia possibile per il lavoratore a tempo determinato essere collocato in aspettativa non retribuita, quest’ultimo non potrà percepire l’indennità di funzione in misura piena. È quanto evidenziato dal Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alla quantificazione dell’indennità di funzione da corrispondere agli amministratori. In particolare, è stato chiesto se un amministratore, insegnante del comparto scuola a tempo determinato part-time, con contratto di lavoro inferiore al cinquanta per cento, non potendo fruire dell’aspettativa non retribuita e avendo un contratto minimo di lavoro, possa avere diritto a percepire l’indennità in misura piena, considerando che la retribuzione è legata all’orario di lavoro contrattualmente sottoscritto.

Il Ministero ricorda come l’art. 81 del TUEL configura un diritto potestativo degli amministratori locali, che siano lavoratori dipendenti, di essere collocati in aspettativa, funzionale all’attuazione del dettato costituzionale in tema di esercizio di funzioni pubbliche elettive. Il successivo art. 82 rubricato “Indennità”, statuisce il dimezzamento dell’indennità di funzione per i componenti degli organi esecutivi dei Comuni che, in quanto lavoratori dipendenti, non abbiano chiesto di essere collocati in aspettativa non retribuita. Secondo la Corte dei conti, detta disposizione è funzionalizzata ad indurre gli amministratori ad esercitare a tempo pieno il proprio mandato, attraverso la diminuzione forfettaria dell’indennità loro spettante, in ragione del prevedibile minore impegno dedicato all’espletamento della funzione pubblica, laddove essi decidano di optare per lo svolgimento anche di altra attività lavorativa (cfr. sez. reg. di controllo Puglia, delib. n. 19/PAR/2013). Il soggetto che decida di dedicarsi a tempo pieno all’espletamento della funzione pubblica, optando per l’aspettativa non retribuita dal proprio rapporto di lavoro, non può essere posto nella medesima condizione, in termini di corresponsione della indennità di funzione, rispetto a chi decide di continuare a svolgere attività lavorativa dedicandosi solo parzialmente alle esigenze dell’ente locale.

Il Ministero, in conformità a diverse pronunce della Corte dei Conti (Cfr. Corte dei Conti, sezioni riunite per la Regione siciliana in sede consultiva, deliberazione 26/2013/SS.RR./PAR, Corte dei Conti Puglia, deliberazione n. 75/2019/PAR e Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 109/2018/PAR), ha avuto finora occasione di evidenziare che l’indennità di funzione va riconosciuta per intero agli amministratori locali che, per legge, non possono avvalersi della facoltà di porsi in aspettativa non retribuita. Tuttavia, la magistratura contabile, in tema di rapporto di lavoro a tempo determinato, ha modificato parzialmente l’orientamento per cui il dimezzamento dell’indennità di funzione sarebbe correlato esclusivamente alla possibilità di chiedere l’aspettativa. E’ stato, infatti, recentemente precisato dalla Corte dei Conti che, pur volendo dare rilievo al fatto che il lavoratore a tempo determinato sia tenuto a proseguire nel proprio rapporto di lavoro e non possa essere collocato in aspettativa, egli, di fatto, non può assolvere all’incarico della funzione pubblica a tempo pieno ed esclusivo.

 

La redazione PERK SOLUTION

 

Online la consultazione sul Pna 2022-2024, possibile inviare contributi entro il 15 settembre

Rafforzare l’integrità pubblica e la programmazione di efficaci presidi di prevenzione della corruzione per evitare che i risultati attesi con l’attuazione del Pnrr siano vanificati da episodi di corruzione senza per questo incidere sullo sforzo di semplificazione e velocizzazione delle procedure amministrative. È questo l’obiettivo del Piano nazionale anticorruzione (Pna) 2022-2024 predisposto dall’Anac di fronte all’ingente flusso di denaro in arrivo dall’Europa e alle deroghe alla legislazione ordinaria introdotte durante la pandemia. Il Piano, in consultazione sul sito dell’Autorità fino al 15 settembre 2022, è stato elaborato come uno strumento di supporto alle amministrazioni pubbliche per affrontare le sfide connesse alla realizzazione degli impegni assunti dall’Italia con il Pnrr e all’attuazione della riforma introdotta dal decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 che ha previsto il Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) di cui la pianificazione della prevenzione della corruzione e della trasparenza è parte integrante. Eventuali modifiche del Pna potranno essere effettuate per adeguarne i contenuti una volta adottati il Dpr e il Dm previsti dalla citata normativa.

Il Pna è articolato in due Parti. La parte generale rappresenta un supporto ai Responsabili per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (Rpct) e contiene indicazioni per la predisposizione della sezione del Piao relativa alla prevenzione della corruzione e della trasparenza. L’Anac indica su quali processi e attività è prioritario concentrarsi nell’individuare misure di prevenzione della corruzione; fornisce indicazioni per realizzare un buon monitoraggio e semplificazioni per gli enti con meno di 50 dipendenti (la principale è la previsione, salvo casi eccezionali, di un’unica programmazione per il triennio). Occorrono, si legge nel Pna, poche e chiare misure di prevenzione, ben programmate e coordinate fra loro ma soprattutto attuate effettivamente e verificate nei risultati.

La parte generale contiene anche un approfondimento dedicato al divieto di pantouflage: l’Autorità nella propria attività di vigilanza ha rilevato che tale istituto comporta problemi per chi deve attuarlo anche a causa delle norme laconiche. Per questo Anac offre chiarimenti e soluzioni operative da inserire nei Piani, fermo restando che, per quanto riguarda l’attività di vigilanza e sanzionatoria dell’Autorità, ci sarà uno specifico regolamento.

 

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Le dimissioni dalla carica di consigliere comunale non possono essere presentate tramite PEC

In conformità al disposto di cui all’art. 38, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, la presentazione delle dimissioni del consigliere comunale tramite PEC non equivale a presentazione personale, né ad inoltro mediante persona delegata, mancando in tal caso l’autenticazione della firma sia dell’atto di dimissioni sia dell’atto di delega. Pertanto, le dimissioni dalla carica di consigliere comunale non possono essere presentate a mezzo raccomandata ovvero con posta elettronica certificata. È quanto evidenziato dal Ministero dell’Interno con parere del 12 agosto 2022.

Il legislatore ha previsto dei requisiti formali particolarmente stringenti per la presentazione delle dimissioni dei consiglieri comunali, al fine di garantirne certezza e veridicità, in considerazione delle potenziali rilevanti conseguenze delle stesse. Il particolare, l’art. 38, comma 8 TUEL dispone che le dimissioni, indirizzate al rispettivo consiglio, devono essere presentate personalmente ed assunte immediatamente al protocollo dell’ente nell’ordine temporale di presentazione. Le dimissioni non presentate personalmente devono essere autenticate ed inoltrate al protocollo per il tramite di persona delegata con atto autenticato in data non anteriore a cinque giorni. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d’atto e sono immediatamente efficaci. Ne consegue che la rassegnazione delle dimissioni – atto irrevocabile, non recettizio ed immediatamente efficace – si configuri come atto giuridico in senso stretto, i cui effetti giuridici non dipendono dalla volontà dell’agente, ma sono disposti dall’ordinamento.

La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta; tale modalità di trasmissione non è idonea a soddisfare quanto richiesto dall’art. 38, comma 8. L’inosservanza, quindi, delle formalità prescritte dalla legge rende prive di efficacia le dimissioni e, conseguentemente, inidonee a produrre effetti, sia sotto il profilo dello scioglimento, sia sotto quello di una eventuale surrogazione dei consiglieri dimissionari.

 

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Conflitto d´interessi del dirigente per affidamenti alla ditta con cui collabora

Una dirigente comunale, nonché segretario generale del Comune, responsabile di affidamenti a una ditta presso cui collabora e da cui riceve compensi, nel momento in cui assegna in via diretta incarichi alla stessa società si trova in una situazione di conflitto d’interessi non dichiarato. E’ quanto afferma Anac con la nota a firma del Presidente per chiedere chiarimenti al riguardo, a seguito di un procedimento di vigilanza condotto dall’Autorità.

Secondo Anac, la dirigente avrebbe dovuto segnalare il legame con la ditta presso cui collabora, dichiarandolo al sindaco preventivamente, al fine di consentire al Comune di assumere le adeguate precauzioni. Invece, la dirigente non solo non ha comunicato i rapporti che intercorrevano con la ditta assegnataria di affidamenti da parte del Comune, e da lei gestiti, ma non ha rilasciato nemmeno una dichiarazione di insussistenza di conflitti di interessi.

La questione riguarda l’assegnazione di un progetto di formazione, affidato ad una ditta, di cui la dirigente risulta docente di alcuni corsi. La giurisprudenza afferma che il conflitto d’interesse non consiste solo nel comportamento dannoso per l’interesse generale, ma è una condizione giuridica che scaturisce anche nel caso di rischio di siffatti comportamenti. Pertanto un funzionario è tenuto sempre a dichiarare se si trova in una situazione di conflitto d’interessi rispetto ad una procedura di gara. La dichiarazione, infatti, riguarda ogni situazione potenzialmente idonea a porre in dubbio la sua imparzialità e indipendenza.

Nella nota viene sottolineato che “un particolare rigore nella applicazione delle regole sul conflitto di interessi sarebbe stato auspicabile anche in ragione della numerosità dei contratti sottoscritti con la medesima società, e delle modalità di affidamento, avvenuto in via diretta”. Inoltre, è emerso che nel Nucleo di valutazione del Comune è stato nominato membro un dipendente e socio della stessa ditta, il cui compenso è stato versato direttamente alla ditta, costituendo un ulteriore legame di collegamento, che avrebbe dovuto richiamare il Comune a maggiore prudenza e vigilanza. Nel frattempo, a seguito dell’avvio del procedimento di vigilanza di Anac, la dirigente si è dimessa dall’incarico.

 

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Inconferibile il ruolo di sindaco e presidente del Consorzio pubblico di smaltimento rifiuti

L’incarico di Presidente del Cda di un Consorzio obbligatorio di smaltimento rifiuti, formato da tutti i comuni di una Provincia, non può essere conferito a uno dei sindaci, che controllano lo stesso consorzio. È quanto ha evidenziato ANAC con delibera n. 346 del 20 luglio 2022, dichiarando la nullità dell’atto di conferimento e il relativo contratto.

L’istruttoria dell’Autorità ha dimostrato che il ruolo di Presidente del Consorzio aveva una rappresentanza e una rilevanza esterna fondamentale, compreso quello di firma di bandi pubblici di concorso. Inoltre aveva potere di firma, dando esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea, deliberando assunzioni o incarichi di consulenza, stipulando contratti o accordi. Pertanto, nonostante la presenza di un direttore generale, l’incarico di Presidente “è da ritenersi riconducibile tra quelli di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico, anche in considerazione del potere di firma”.

Anac, pertanto, ha documentato che si tratta non di incompatibilità, ma di inconferibilità. Quindi la nomina è viziata fin dall’origine, costringendo l’amministratore comunale a dimettersi da Presidente del Consorzio. Inoltre, l’amministratore deve restituire gli eventuali compensi percepiti da Presidente del Cda. E chi ha conferito l’incarico “inconferibile” viene sanzionato con il divieto di poter conferire incarichi per tre mesi dalla data di comunicazione.

 

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Rendicontazione spese per referendum ed elezioni amministrative del 12 giugno 2022

Il Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali, con la circolare DAIT n. 80/2022, fornisce indicazioni operative alle Prefetture per la rendicontazione delle spese per referendum ed elezioni amministrative del 12 giugno 2022. I comuni dovranno redigere il rendiconto delle spese sostenute ed inviarlo alle Prefetture entro e non oltre il termine perentorio di quattro mesi dalla data
delle consultazioni, e cioè entro il giorno 12 ottobre 2022, (articolo 15, comma 3, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, e successive modificazioni e integrazioni).

La tardiva presentazione del rendiconto oltre tale termine comporterà la decadenza dal diritto ad ottenere il saldo, se dovuto, mentre la mancanza del rendiconto, dopo opportuno sollecito, determinerà da parte della Direzione Centrale l’adozione del
provvedimento coattivo di recupero dell’intero importo attribuito. Gli onorari maggiorati del 50 per cento, spettanti ai componenti delle  sezioni ospedaliere Covid e dei seggi speciali Covid ai sensi dell’articolo 3, comma 7, decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2022, n. 84, sono a totale carico dello Stato, anche in caso di abbinamento con le elezioni amministrative e NON rientrano nelle somme assegnate e già comunicate. Pertanto, tali spese, se non distintamente indicate, andranno estrapolate dai rendiconti ricevuti ed inserite nella distinta funzione presente nell’applicativo.
Analogamente, le spese sostenute dai Comuni per le cartoline avviso per i residenti all’estero sono a totale carico dello Stato e, parimenti, andranno inserite a parte, all’interno della specifica sezione del medesimo applicativo.

Per quanto riguarda il contributo destinato a interventi di sanificazione dei locali sedi di seggio elettorale in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2022, la circolare precisa che lo stesso non è compreso nelle somme assegnate e già
comunicate, e analogamente alle voci di spesa sopra citate, se non distintamente indicato nel rendiconto, dovrà essere estrapolato ed inserito nell’apposita funzione presente dell’applicativo a disposizione delle Prefetture.

In ultimo, viene precisato che, per un mero errore di configurazione del programma di gestione delle spese elettorali, ove sia stato inserito lo scrutatore aggiuntivo (il cosiddetto seggio volante), non sono state calcolate le maggiorazioni ad esso spettanti per la pluralità delle consultazioni. Di conseguenza, le predette maggiorazioni saranno aggiunte successivamente, in sede di pagamento. Nel caso l’ente abbia rendicontato spese complessive al di sotto del budget assegnato, sarà ammesso al rimborso l’importo comprensivo di tali maggiorazioni. Nell’opposto caso in cui l’ente abbia rendicontato spese complessive pari o al di sopra del budget assegnato, sarà corrisposta in aggiunta solamente la parte relativa alle predette mancate maggiorazioni per lo scrutatore aggiuntivo, da comunicarsi a cura di codeste Prefetture alla PEC della Direzione Centrale finanzalocale.prot@pec.interno.it.

 

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Garante Privacy: Le PA devono fare attenzione quando pubblicano i dati on line

Quando pubblicano atti e documenti on line, le Pubbliche amministrazioni devono porre la massima attenzione a non diffondere dati che non siano pertinenti rispetto alle finalità di trasparenza perseguite. Lo ha ribadito il Garante privacy nel comminare una sanzione di 10 mila euro a un Comune.

L’Autorità è intervenuta su richiesta di un reclamante che lamentava la diffusione di dati personali contenuti all’interno di un curriculum vitae pubblicato sul sito web istituzionale di un Comune, con cui da tempo aveva cessato l’attività lavorativa. Con il reclamo l’interessato aveva anche fatto presente la peculiare condizione personale, in ragione della quale la diffusione dei dati avrebbe potuto comportare dei rischi per sé e per la famiglia.

Nel corso dell’istruttoria il Garante ha accertato che il curriculum era rimasto disponibile online oltre l’arco temporale previsto dalla disciplina di settore e che la circostanza aveva comportato la diffusione dei dati in assenza di base giuridica. Il Comune non aveva neanche operato un’attenta selezione dei dati in esso contenuti (indirizzo di residenza, numero di cellulare e indirizzo di posta elettronica personali).

Quanto alla tesi difensiva avanzata dal Comune, secondo la quale la pubblicazione del curriculum del reclamante sarebbe dipesa dalla condotta negligente del fornitore cui era stata affidata all’epoca la gestione della pagina “Amministrazione Trasparente” del sito, il Garante ha ricordato che spetta al titolare del trattamento, quindi nel caso in esame al Comune, impartire adeguate indicazioni ai fini della corretta gestione del ciclo di vita dei dati a chi li tratta per suo conto. Indicazioni che l’Ente aveva mancato di dare alla società affidataria del servizio informatico.

La diffusione dei dati personali del reclamante era pertanto avvenuta in maniera non conforme ai principi di “liceità, correttezza e trasparenza” e “minimizzazione dei dati”. Tra le altre violazioni riscontrate dall’Autorità, anche la mancata risposta da parte del Comune alla richiesta di esercizio dei diritti dell’interessato.

Nel determinare l’ammontare della sanzione il Garante privacy ha tenuto favorevolmente in considerazione che la violazione non ha riguardato categorie particolari di dati personali e ha coinvolto un solo interessato. Il titolare ha inoltre fornito assicurazioni in merito alle modalità con cui in futuro provvederà a pubblicare atti e documenti contenenti dati personali sul proprio sito web istituzionale.

 

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Convocazione Consiglio comunale, i chiarimenti ministeriali

Il presidente del consiglio comunale non deve ritenersi vincolato a convocarlo esclusivamente quando le richieste vertano su un oggetto manifestamente estraneo alle competenze del collegio oppure su un oggetto illecito od impossibile. Sarà poi il consiglio nella sua totalità, come emerge dalla giurisprudenza sopra citata, a decidere l’ammissibilità delle questioni da trattare. È questa la risposta fornita dal Ministero dell’Interno, in riscontro ad un quesito in ordine alla convocazione del consiglio a norma degli artt. 43, comma 1, e 39, comma 2, del TUEL, sottoscritta da un quinto dei consiglieri, avente ad oggetto l’esame di una interrogazione parlamentare e relativa risposta del governo sui fatti accaduti durante una seduta del consiglio.

Il ministero osserva che, a norma dell’art. 39, il presidente del consiglio comunale è tenuto a riunire lo stesso, “in un termine non superiore ai venti giorni”, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, inserendo all’ordine del giorno gli argomenti richiesti. Le uniche ipotesi per le quali l’organo che presiede il consiglio comunale può omettere la convocazione dell’assemblea sono la carenza del prescritto numero di consiglieri oppure la verificata illiceità, impossibilità o manifesta estraneità dell’oggetto alle competenze del consiglio. Nello stabilire se una determinata questione sia o meno di competenza del consiglio comunale occorre aver riguardo non solo agli atti fondamentali espressamente elencati dal comma 2 dell’art.42 del citato testo unico, ma anche alle funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo di cui al comma 1 del medesimo art.42, con la possibilità, quindi, che la trattazione da parte del collegio non debba necessariamente sfociare nell’adozione di un provvedimento finale.

In definitiva, il presidente del consiglio comunale non deve ritenersi vincolato a convocare il Consiglio esclusivamente nelle ipotesi in cui le richieste stesse vertano o su un oggetto che per legge è manifestamente estraneo alle competenze del collegio, oppure su un oggetto illecito o impossibile. Sarà il consiglio nella sua totalità, come emerge dalla giurisprudenza sopra citata, a decidere l’ammissibilità delle questioni da trattare.

 

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Presidente di società pubblica di gestione dei rifiuti inconferibile con l’incarico amministratore di altra società di gestione rifiuti

L’Autorità Anticorruzione ha dichiarato l’inconferibilità dell’incarico di Presidente del Cda di un’azienda a partecipazione totalmente pubblica che gestisce la raccolta e gestione dei rifiuti con l’incarico di amministratore delegato di un’altra società pubblica, che svolge il medesimo compito. Pertanto il Presidente è immediatamente decaduto dall’incarico.
Il caso riguarda un importante raggruppamento di Comuni dell’Alta Toscana. Pur contestando l’ente in questione che l’incarico del presidente sarebbe stato conferito “senza deleghe gestionali”, l’Autorità ha fatto presente che i poteri attribuiti al presidente riguardavano invece poteri interpretabili come deleghe operative di grande rilevanza: acquisti, permute, transazioni, alienazioni mobiliari e immobiliari, ed altri poteri di amministrazione e gestione. Pertanto va considerato amministratore di ente privato in controllo pubblico. E la legge stabilisce l’inconferibilità di tale incarico se la medesima persona è già amministratore delegato di altra società pubblica, partecipata da altri comuni, per svolgere lo stesso ruolo. Considerando anche il fatto, che entrambi i due consorzi di raccolta e gestione dei rifiuti operano in un’area di prossimità, all’interno dello stesso territorio e della stessa regione.

Delibera n. 296 del 21 giugno 2022

 

La redazione PERK SOLUTION

In caso di sospensione del sindaco e del vicesindaco si nomina un commissario prefettizio

In presenza di provvedimento sospensivo emesso nei confronti del sindaco e del vicesindaco, entrambi interdetti alle relative funzioni, la prefettura dovrà provvedere alla nomina di un commissario prefettizio ai sensi dell’art.19 del r. d. n.383/1934, al quale conferire i poteri di sindaco e giunta comunale. È questo il chiarimento fornito dal Ministero dell’Interno nel parere del 4 luglio scorso.
La sospensione ex art. 11, comma 1, D. Lgs. n.235/2012 non è assimilabile ad un mero e occasionale impedimento di fatto, ma costituisce una interdizione giuridica (sia pure a titolo di sospensione) ad esercitare le funzioni sindacali, le quali per tutto il periodo di ostatività sono rimesse alla competenza del vicesindaco, come prevede espressamente l’art. 53, comma 2, del D. Lgs. n.267/2000. Tale norma presuppone dunque la permanenza in carica del vicesindaco, essendo rimessa esclusivamente a tale figura l’espletamento delle funzioni vicarie in caso di sospensione del primo cittadino.
La sostituzione per assenza o impedimento è una supplenza caratterizzata dalla durata temporanea, presumibilmente breve in considerazione della prossima riassunzione delle funzioni da parte del titolare, mentre nel caso di sospensione ex art.11 comma 1 d.lgs.235/2012 la sostituzione potrebbe protrarsi per 18 mesi o più.
Pertanto, nel caso in cui lo statuto comunale regolamenti le sole ipotesi di assenza e impedimento e non anche di sospensione dall’esercizio delle funzioni del sindaco e del vice sindaco, la Prefettura dovrà provvedere alla nomina di un commissario prefettizio ai sensi dell’art.19 del R.D. n.383/1934, al quale conferire i poteri di sindaco e giunta comunale.

 

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