Nuove regole per l’Elenco nazionale OIV

Sono entrate in vigore il 24 ottobre 2023 le misure previste dal DM 7 agosto 2023 che, modificando il DM 6 agosto 2020, innova parzialmente la disciplina dell’Elenco nazionale dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione (Oiv), con la sola esclusione delle modifiche di cui all’art. 1, comma 1, lettera e) del decreto relative alle fasce professionali che entrano in vigore dal 1° dicembre 2023.

Alcune delle innovazioni più significative, immediatamente in vigore, riguardano:

  • la revisione dei requisiti di competenza per l’iscrizione nell’Elenco OIV con la previsione che l’esperienza (professionale o dirigenziale) di almeno 5 anni necessaria per presentare l’istanza sia maturata nei 10 anni precedenti alla data della domanda di iscrizione (art. 1, comma 1, lettera b));
    la possibilità di procedere con il rinnovo dell’iscrizione già a partire da sei mesi prima della scadenza dell’iscrizione stessa (art.1, comma 1, lettera c), punto 2));
  • la previsione di una sospensione dell’iscrizione della durata massima di tre mesi in caso di mancata presentazione della domanda di rinnovo entro la scadenza, durante i quali sarà possibile inviare la domanda di rinnovo, ma non partecipare a bandi di selezione (art.1, comma 1, lettera c), punto 3));
    l’estensione dell’esenzione dalla maturazione dei crediti formativi ai fini del rinnovo dell’iscrizione, prevista dal DM 6 agosto 2020 per i dirigenti di ruolo, ai soggetti iscritti appartenenti alle categorie di cui all’art. 3 del d. lgs n. 165/2001 (art.1, comma 1, lettera f), punto 1));
  • l’innalzamento dei limiti al numero di incarichi OIV fino a un massimo di dodici per i professionisti, ridotti a quattro se due di questi siano svolti in amministrazioni con più di 1000 dipendenti, e a tre per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art.1, comma 1, lettera h)).

Dal primo dicembre 2023 saranno invece efficaci le modifiche allo stesso articolo previste dal DM 7 agosto 2023 che variano i requisiti per l’assegnazione della fascia professionale in relazione alle esperienze dirigenziali (art. 1, comma 1, lettera e)).

 

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Individuazione termine per la sottoscrizione della relazione di fine mandato in caso di elezioni anticipate

Nel caso in cui la data fissata per le elezioni risulti antecedente al termine di scadenza del mandato di cui all’art. 51 del TUEL, il termine per la sottoscrizione della relazione di fine mandato stabilito dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 149/2011 (non oltre il sessantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato) deve essere calcolato computandolo a ritroso dalla data fissata per le nuove elezioni. È questo il principio di diritto sancito dalla Corte dei conti, Sez. Autonomie, con deliberazione n. 15/SEZAUT/2023/QMIG.

L’art. 4 del d.lgs. n. 149/2011 detta un’articolata disciplina volta ad individuare i soggetti tenuti alla redazione della relazione ed a regolare il procedimento finalizzato a renderla pubblica. Il secondo comma prevede che la relazione di fine mandato, redatta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale, è sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco non oltre il sessantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato, di durata quinquennale. Entro i successivi quindici giorni la relazione deve essere certificata dall’organo di revisione, mentre nei successivi tre giorni deve essere trasmessa alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Inoltre, la pubblicazione sul sito istituzionale dell’ente deve avvenire nei sette giorni successivi alla data di certificazione.

Se per effetto della previsione di cui all’art. 1, comma 1, della l. n. 182/1991 (a norma del quale «le elezioni dei consigli comunali si svolgono in un turno annuale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno se il mandato scade nel primo semestre dell’anno») e la data fissata per le elezioni risultasse antecedente al termine di scadenza del mandato di cui all’art. 51 del TUEL il mandato non potrebbe, di norma, avere durata quinquennale perché la data delle elezioni è antecedente al termine quinquennale.

Ai fini degli adempimenti connessi alla redazione della relazione di fine mandato e, dunque, ai fini del rispetto della tempistica dettata dall’art. 4 del d. lgs. 149 del 2011, la possibilità che le elezioni siano fissate prima della scadenza quinquennale solleva diverse criticità in quanto può compromettere il diritto degli elettori di prendere conoscenza della relazione di fine mandato con un congruo anticipo rispetto alla data delle elezioni.

In tale fattispecie, il termine di sessanta giorni non può che calcolarsi a ritroso dalla data fissata per le nuove elezioni con decreto del Ministero dell’Interno che, in ogni caso, costituiscono per legge (art. 1, comma 2, l. n. 182/1991) la data di inizio del mandato successivo. In quest’ottica, l’unica data certa per il sindaco in scadenza è quella delle nuove elezioni.

Tale soluzione assicura la realizzazione dello scopo precipuo della norma, ma anche perché consente di rendere razionale l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione. L’applicazione di una sanzione pecuniaria all’amministratore che non abbia rispettato la rigida tempistica di approvazione della relazione appare infatti razionale solo se è rispondente alla funzione della norma, che è quella di portare a conoscenza degli elettori la relazione di fine mandato in tempo utile per l’esercizio del diritto di voto, obiettivo che non è realizzabile se la relazione di fine mandato venisse elaborata e resa pubblica in prossimità della competizione elettorale o addirittura dopo lo svolgimento della stessa.

 

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Minori Stranieri Non Accompagnati in Italia: online i dati di settembre 2023

La Direzione generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro ha pubblicato i dati aggiornati al 30 settembre 2023  dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), censiti nella banca dati istituita ai sensi dell’art. 4 del d.p.c.m. n. 535/1999.

La Direzione garantisce la riservatezza delle informazioni inerenti i minori stranieri e tratta i dati personali nel rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. n. 169/2003).

L’accesso ai dati è assicurato nel rispetto dei limiti e delle condizioni sancite dall’art. 4, comma 3 del d.p.c.m. n. 535/1999.

  • Vai alla Dashbord con i dati aggiornati al mese di settembre 2023 relativi alle presenze, agli ingressi e alle uscite di competenza dei MSNA.

 

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Siti web e social di amministrazioni pubbliche devono restare sotto il controllo pubblico

I siti web e i social di un’amministrazione pubblica devono restare in capo all’ente al termine del contratto di gestione. Gli enti devono metter in chiaro nel contratto di gestione che il dominio e i relativi profili social curati dalla società di comunicazione, e i loro contenuti, devono essere restituiti alla fine del contratto e restare come patrimonio dell’ente pubblico. Quindi, al termine del contratto vanno restituite le “chiavi d’accesso” all’amministrazione, altrimenti l’ente diventa di fatto “prigioniero” del fornitore.

E’ quanto chiarito da Anac, con la delibera n. 452 del 3 ottobre 2023, intervenendo su una gara indetta da un importantissimo comune turistico della Romagna. L’affidamento riguardava la gestione dei servizi di informazione, accoglienza turistica, promozione, promo commercializzazione e destination marketing per il triennio successivo per un valore a base d’asta di due milioni e centomila euro, che diventerebbero 4.850.000 con l’opzione di rinnovo per ulteriori tre anni. Solo che, in base al fatto che l’operatore uscente risultava proprietario del dominio di promozione turistica del Comune e dei relativi account social, alla gara si è presentata solo un operatore: quello uscente. L’unico che disponeva dei mezzi di comunicazione turistica del Comune. Questo perché, nel bando precedente del 2018, l’amministrazione romagnola non aveva messo nero su bianco che l’aggiudicatario doveva impegnarsi a consegnare al Comune le “chiavi d’accesso” per il loro utilizzo.

Nel caso specifico, l’operatore economico uscente nell’esecuzione del contratto d’appalto ha acquisito un “posizionamento digitale” ed un bagaglio informativo – in merito alle peculiarità della proposta turistica – di tale rilevanza da porlo in una situazione soggettiva di apprezzabile vantaggio rispetto ai competitor”. Il Comune ha creato in capo al fornitore uscente un vantaggio economico e competitivo ingiustificato, che altera i principi comunitari di libera concorrenza, par condicio e massima partecipazione.

 

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Corte di Cassazione: Niente sanzione in caso di mancato aggiornamento del Piano anticorruzione

Il mancato aggiornamento del Piano triennale di prevenzione della corruzione e del programma triennale di trasparenza non costituisce ipotesi sanzionatoria prevista dalla norma di legge. L’art. 19, comma 5 lett. b) del D.L. 90 del 2014 prevede una specifica sanzione amministrativa “nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l’adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento”. La disposizione delinea la condotta sanzionata in modo specifico nella mancata adozione dei piani in essa menzionati. La considerazione che la norma sanzionatoria faccia riferimento ad una condotta che descrive in modo netto, preciso e puntuale è assorbente ai fini della questione sollevata e non permette, rispetto ad essa, di sollevare dubbi o incertezze in ordine all’applicazione, nel caso di specie, dei principi di tassatività e determinatezza degli illeciti amministrativi.
L’interpretazione letterale della norma è univoca e porta a ritenere che essa sanzioni la condotta omissiva della mancata adozione dei piani e che non contenga alcun riferimento ad altre condotte ipotizzabili in relazione all’inadempimento di altri obblighi che la legge in materia di anticorruzione pone a carico degli enti pubblici.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 28344 del 10 ottobre 2023, che ha respinto il ricorso presentato dall’ANAC contro gli amministratori e Segretario di un Comune avverso la sentenza della Corte di appello che ha accolto, invece, l’opposizione di quest’ultimi avverso la delibera di ANAC che aveva loro applicato una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’art. 19, comma 5 lett. b), d.l. 24. 6. 2014, n. 90, convertito con la I. n. 11. 8. 2014, n. 114, per avere, nelle loro rispettive qualità, omesso di provvedere all’aggiornamento del piano triennale di prevenzione della corruzione e del programma triennale di trasparenza e dei codici di comportamento del comune.

Per i giudici di Cassazione sono condivisibili le argomentazioni e la soluzione dei giudici della Corte di appello ritenendo che il fatto contestato fosse diverso da quello previsto dalla norma di legge citata, in forza della considerazione che mancata adozione e mancato aggiornamento dei piani siano condotte diverse, di distinta gravità, e che la norma sanzionatoria colpisca la prima ma non anche la seconda, richiamando a sostegno della propria conclusione il principio di tipicità e tassatività degli illeciti amministrativi dettato dall’art. 1, comma 2, I. n. 689 del 1981, il quale stabilisce che ” Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati “.

Secondo i giudici, la questione posta dalla Autorità ricorrente circa la riconducibilità del fatto contestato alla fattispecie normativa va risolta in senso negativo, in quanto la mancata adozione dei piani ivi previsti costituisce una condotta materiale diversa da quella del loro mancato aggiornamento. La prima si risolve nel fatto che l’ente non ha adottato alcuna misura per fronteggiare le possibili criticità, sotto lo speciale profilo considerato dalla legge in materia, della propria organizzazione ed attività, la seconda nel mancato adeguamento, rispetto alla
realtà esistente, delle misure già a tal fine predisposte. La diversità materiale delle due condotte è evidente e comporta che una loro assimilazione o equiparazione presupporrebbe invero che la legge abbia voluto, senza dirlo, sanzionare condotte diverse ed ulteriore rispetto a quella prevista, dando luogo da parte dell’interprete ad un intervento integrativo del precetto normativo ovvero al ricorso all’analogia legis, operazioni che non sono consentite in materia di illeciti amministrativi, retta dai principi di tipicità e tassatività (Cass. 13336 del 2022; Cass. n. 1105 del 2012; Cass. n. 22510 de 2016).

La normativa di settore, in particolare l’art. 10 d.lgs. n. 33 del 2013, prevede l’obbligo a carico dei soggetti tenuti all’adozione dei piani in questione, che hanno durata di tre anni, del loro aggiornamento annuale; trattasi di un obbligo chiaramente distinto dalla loro adozione e la cui sussistenza non comporta di per sé che la sua inosservanza ricada nella previsione sanzionatoria prevista dall’art. 19.

 

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Consiglio di Stato: Scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto

La scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto costituisce espressione tipica della discrezionalità amministrativa e, impingendo nel merito dell’azione della pubblica amministrazione, è sottratta al sindacato del giudice amministrativo, salvo che, in relazione alla natura e all’oggetto del contratto, non sia manifestamente illogica o basata su travisamento di fatti (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7259).

Le stazioni appaltanti, in sostanza, scelgono tra i due criteri quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto, in quanto la specificazione del tipo di prestazione richiesta e delle sue caratteristiche peculiari consente di determinare correttamente ed efficacemente il criterio più idoneo all’individuazione della migliore offerta.

Il criterio del prezzo più basso, in cui assume rilievo la sola componente prezzo, può presentarsi adeguato quando l’oggetto del contratto abbia connotati di ordinarietà e sia caratterizzato da elevata standardizzazione in relazione alla diffusa presenza sul mercato di operatori in grado di offrire in condizioni analoghe il prodotto richiesto.

Ne deriva che potrà essere adeguato al perseguimento delle esigenze dell’Amministrazione il criterio del minor prezzo quando l’oggetto del contratto non sia caratterizzato da un particolare valore tecnologico o si svolga secondo procedure largamente standardizzate. In questo caso, qualora la stazione appaltante sia in grado di predeterminare in modo sufficientemente preciso l’oggetto del contratto, potrà non avere interesse a valorizzare gli aspetti qualitativi dell’offerta, in quanto l’esecuzione del contratto secondo i mezzi, le modalità ed i tempi previsti nella documentazione di gara è già di per sè in grado di soddisfare nel modo migliore possibile l’esigenza dell’Amministrazione. L’elemento quantitativo del prezzo rimane, quindi, l’unico criterio di aggiudicazione.

Al contrario, la scelta del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa verrà in considerazione quando le caratteristiche oggettive dell’appalto inducano a ritenere rilevanti, ai fini dell’aggiudicazione, uno o più aspetti qualitativi. In questo caso l’Amministrazione potrà ritenere che l’offerta più vantaggiosa per la specifica esigenza sia quella che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo; la stazione appaltante dovrà valutare se uno o più degli aspetti qualitativi dell’offerta concorrano, insieme al prezzo, all’individuazione della soluzione più idonea a soddisfare l’interesse sotteso all’indizione della gara.

È quanto evidenziato dal Consiglio di Stato, nella sentenza 08706/2023.

 

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Termine per la risposta ad interrogazione consiliare

Il termine di 30 giorni entro il quale dev’essere fornita risposta alle interrogazioni consiliari costituisce il termine massimo, ma per quelle urgenti la risposta può essere anche immediata qualora il sindaco sia in possesso degli elementi necessari. È questa, in sintesi, la risposta del Ministero dell’Interno, in riscontro ad una richiesta di parere, da parte dei consiglieri comunali, concernente la corretta interpretazione dell’articolo 35, comma 5, del regolamento del consiglio comunale che disciplina le interrogazioni consiliari.

Secondo il ministero, le prerogative dei consiglieri sono disciplinate dall’articolo 43 del TUEL, il quale al comma 3 dispone che il sindaco o gli assessori da esso delegati rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri. Allo statuto ed al regolamento consiliare è demandata la disciplina delle modalità di presentazione di tali atti e delle relative risposte. Nel caso di specie, lo statuto del comune in questione non contiene alcuna previsione in ordine alle interrogazioni urgenti; l’articolo 8, comma 3 del regolamento comunale, nello stabilire che la presentazione delle interrogazioni è effettuata nelle forme previste dal regolamento sul funzionamento del consiglio, puntualizza che la risposta è obbligatoria nel termine di trenta giorni e, qualora sia richiesta risposta orale, questa viene data nel corso della prima seduta utile del consiglio nei termini previsti dall’apposito regolamento.

Il regolamento disciplina la materia delle interrogazioni all’articolo 35, il quale, al comma 3, dispone che la risposta alle interrogazioni deve essere data entro trenta giorni e, di norma, nella prima adunanza del consiglio che deve tenersi entro il suddetto termine. Qualora non si tengano adunanze nel termine prescritto, la risposta deve essere data per iscritto. Quanto alle interrogazioni avente carattere urgente, il comma 5, del predetto articolo 35, prevede espressamente che le stesse possono essere effettuate anche durante l’adunanza, subito dopo la trattazione di quelle presentate nei termini ordinari. Il testo dell’interrogazione è rimesso al presidente che ne dà lettura al consiglio e chiede al sindaco di dare risposta immediata qualora disponga degli elementi necessari. In caso contrario, il sindaco può riservarsi di dare risposta scritta entro trenta giorni dalla presentazione.

Dalle norme statali e regolamentari sopracitate emerge che il termine di 30 giorni, entro i quali deve essere fornita la risposta, costituisce chiaramente il termine massimo, ma per le interrogazioni urgenti la risposta può essere anche immediata se il sindaco è in possesso degli elementi necessari. Il ministero rappresenta, comunque, che soltanto il consiglio comunale, nella sua autonomia e in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui conformarsi in tale materia, è abilitato a fornire un’interpretazione delle norme regolamentari di cui lo stesso si è dotato.

 

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Appalti: Revisione prezzo e pagamento diretto al subappaltatore

Com’è noto il nuovo Codice dei contratti approvato con D.lgs. 36/2023 ha recepito, a regime, la disciplina introdotta dalla normativa emergenziale con l’art. 29 del d.l. 4/2022 prevedendo, all’art. 60, che nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento sia obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi, da attivarsi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo ed operanti nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire.

Ai fini della determinazione della variazione dei costi e dei prezzi di cui al comma 1, ha prescritto doversi utilizzare i seguenti indici sintetici elaborati dall’ISTAT: a) con riguardo ai contratti di lavori, gli indici sintetici di costo di costruzione; b) con riguardo ai contratti di servizi e forniture, gli indici dei prezzi al consumo, dei prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi e gli indici delle retribuzioni contrattuali orarie.

Accade di frequente che l’operatore economico aggiudicatario si avvalga per l’esecuzione di alcune prestazioni
dell’appalto di subappaltatori. Secondo l’art. 119 comma 11 del D.lgs. 36/2023 “La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore ed ai titolari di sub-contratti non costituenti subappalto ai sensi del quinto periodo del comma 2 l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi: a)
quando il subcontraente è una microimpresa o piccola impresa; b) in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore; c) su richiesta del subcontraente e se la natura del contratto lo consente.

Dalla normativa risulta che la revisione dei prezzi vada determinata in relazione alle prestazioni da eseguire, con la conseguenza che – ove si tratti di prestazioni facenti capo al subappaltatore e ai titolari di subcontratti, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 119, co. 11, d.lgs. 36/2023 – la stazione appaltante procederà al pagamento diretto in favore di questi ultimi anche del maggior importo rideterminato in applicazione della revisione prezzi. Con l’ulteriore indicazione che le stazioni appaltanti potranno disciplinare, nei documenti di gara, tale situazione.

 

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Legittima la revoca dell’assessore per «divergenze inconciliabili» col sindaco

È legittimo il provvedimento del sindaco che dispone, ex art. 46, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 la revoca di un assessore comunale a motivo dell’esistenza di «divergenze inconciliabili» fra i due soggetti. È quanto stabilito dal TAR Friuli-Venezia Giulia, 19 settembre 2023, n. 271.

Il TAR ricorda che per costante giurisprudenza (vedi ex multis, C.d.S., Sez. V, 10 luglio 2012, n. 4057) la revoca dell’assessore da parte del sindaco è atto ampiamente discrezionale, la cui motivazione può validamente basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa.

Nel caso di specie, peraltro, il fondamento logico-giuridico delle determinazioni risulta diffusamente esposto nel contenuto di tali atti, ove si rappresenta l’emersione di “divergenze inconciliabili” tra il sindaco e gli assessori, relativamente a tematiche in materia di politica ambientale (specificamente indicate nel “sistema di raccolta dei rifiuti urbani”), con compromissione di quella coesione necessaria a perseguire il programma di mandato. Detta motivazione risulta congrua e del tutto idonea a sostenere l’interruzione di un rapporto che ha carattere prettamente fiduciario (alla luce della natura fiduciaria dell’incarico (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 15 luglio 2021, n. 743) e la cui permanenza in vita può ben essere condizionata da valutazioni di natura politica (T.A.R. Liguria, Sez. II, 30 settembre 2016, n. 964).

 

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ANAC, inconferibilità e incompatibilità: La legge nazionale prevale su norme regionali e a Statuto speciale

I decreti attuativi della legge Severino, come il n. 39/2013 che disciplina le inconferibilità e le incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, enti pubblici ed enti privati in controllo pubblico, sono prevalenti rispetto a legge regionali, anche speciali, o delle Province autonome. E’ quanto ha chiarito l’Autorità Nazionale Anticorruzione con Atto del Presidente del 13 settembre 2023. La richiesta di parere era giunta da Comune di Palermo, intenzionato ad applicare le disposizioni proprie regionali in materia di nomine e designazioni di rappresentanti negli organi di amministrazione e controllo degli organismi partecipati, invece della normativa nazionale disposta dai decreti Severino.

Le disposizioni contenute nel d.lgs. 39/2013 – scrive Anac – non sono suscettibili di interpretazione estensiva, in quanto costituiscono l’espressione della scelta discrezionale del legislatore, il quale con esse ha individuato a priori, e indipendentemente dalla concreta realizzazione di un danno per la pubblica amministrazione, fattispecie nelle quali sussiste un potenziale conflitto di interesse e/o nelle quali l’azione del funzionario può mettere a rischio l’immagine di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione stessa.

Gli incarichi e le cariche cui si riferisce il decreto n. 39/2013 sono gli incarichi amministrativi di vertice, gli incarichi dirigenziali interni ed esterni, le cariche di presidente ed amministratore delegato in enti in controllo pubblico, ovvero in enti regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni, gli incarichi di direttore generale, amministrativo e sanitario nelle aziende sanitarie. Le disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi (d.lgs. n. 39/2013) non si applicano, invece, ai componenti di un organo collegiale di vigilanza e controllo interno sull’attività di un ente, in quanto le suddette disposizioni attengono ad incarichi di livello o di funzione dirigenziale (caso relativo al collegio sindacale di un’azienda sanitaria locale). Infatti, lo svolgimento di funzioni dirigenziali o gestorie costituiscono uno dei presupposti di applicabilità delle fattispecie di inconferibilità/incompatibilità previste dal decreto. Disciplina quest’ultima che non trova dunque applicazione con riferimento ad esempio all’incarico di revisore dei conti.

 

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