Il debito fuori bilancio da sentenza esecutiva non si estende alle spese legali sostenute per la propria difesa

Il riconoscimento di legittimità del debito fuori bilancio, derivante da sentenza esecutiva, per le spese legali che il comune condannato deve rifondere alla controparte vittoriosa in primo grado, già correttamente e doverosamente riconosciuto con deliberazione consiliare, secondo l’articolo 194, comma 1, lettera a), del TUEL, non può estendersi alla diversa fattispecie di debito derivante dall’acquisizione del servizio legale di difesa in giudizio del comune rimasto soccombente. È quanto stabilito dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 99/2020. Nel caso di specie, il commissario per la provvisoria gestione del comune ha presentato richiesta di parere in merito alla possibilità di estendere il riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio, oltre che alle spese liquidate dal giudice in sentenza a carico del comune e a favore dei ricorrenti vittoriosi in primo grado, anche alle spese legali sostenute dall’ente locale resistente per la propria difesa, rimaste a carico del comune, in forza del principio di diritto processuale per cui le spese seguono la soccombenza. Dalla stessa prospettazione della richiesta di parere è desumibile che l’ente non abbia seguito le regole ordinarie per l’assunzione degli impegni di spesa previste dall’articolo 191 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al fine di garantire la copertura finanziaria delle spese di difesa in giudizio dell’amministrazione locale. Data la diversità delle due fattispecie, non è possibile, sotto il profilo logico, prima ancora che giuridico, prospettare una pretesa “estensione” alla seconda fattispecie del riconoscimento operato in relazione alla prima. Spetterà al comune, nell’esercizio della propria discrezionalità, valutare se – e a quale titolo – riconoscere con la procedura prevista dall’articolo 194, comma 1, lett. e) del TUEL, anche le spese legali sostenute dall’Ente per la resistenza in giudizio.
A tal riguardo, si rammenta che secondo l’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale la fattispecie di debito fuori bilancio derivante da sentenze esecutive (art. 194, c. 1, lett. a) si distingue nettamente dalle altre per il fatto che l’ente, indipendentemente da qualsivoglia manifestazione di volontà, è tenuto a saldare il debito in forza della natura del provvedimento giurisdizionale che obbliga chiunque e, quindi, anche l’ente pubblico ad osservarlo ed eseguirlo (art. 2909 cod. civ.). In questo caso l’ente locale non ha alcun margine discrezionale per decidere se attivare la procedura di riconoscimento o meno del debito perché è comunque tenuto a pagare, posto che in caso contrario il creditore può ricorrere a misure esecutive per recuperare il suo credito, con un pregiudizio ancora maggiore per l’ente territoriale. Il riconoscimento del debito fuori bilancio, ascrivibile, invece, alla lett. e) del comma 1 dell’art. 194 del TUEL comporta l’accertamento della sussistenza non solo dell’elemento dell’utilità pubblica, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza, ma anche quello dell’arricchimento senza giusta causa, puntualmente dedotti e dimostrati.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Correttezza e tempestività dei flussi informativi che confluiscono nella BDAP

La previsione di una banca dati uniforme, in materia finanziaria, per tutti gli enti del comparto pubblico, trova fondamento normativo nell’articolo 13, comma 1, della legge n. 196/2009, a mente del quale “Al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché per acquisire gli elementi informativi necessari alla ricognizione di cui all’articolo 1, comma 3, e per dare attuazione e stabilità al federalismo fiscale, le amministrazioni pubbliche provvedono a inserire in una banca dati unitaria istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze, accessibile all’ISTAT e alle stesse amministrazioni pubbliche secondo modalità da stabilire con appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze…i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali, nonché tutte le informazioni necessarie all’attuazione della presente legge”. Inoltre, ai sensi dell’articolo 4, commi 6 e 7 del d.lgs. n. 118 del 2011, le regioni, gli enti locali e i loro organismi ed enti strumentali trasmettono, tra le altre cose, le risultanze del consuntivo, aggregate secondo la struttura del piano dei conti, alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui al menzionato articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, sulla base di schemi, tempi e modalità definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, effettivamente emanato come D.M. MEF del 12 maggio 2016, il quale agli articoli 1, 2 e 3 ha individuato tassativamente gli atti da trasmettere alla BDAP, ovverosia:

  • il bilancio di previsione e le relative variazioni,
  • il rendiconto della gestione,
  • il bilancio consolidato, compresi tutti i relativi allegati,
  • il piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio;
  • i dati di previsione e di rendiconto secondo la struttura del piano dei conti integrato.

L’invio dei dati alla BDAP assolve all’obbligo previsto dall’articolo 227, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 di trasmissione telematica alla Corte dei conti (articolo 1, comma 6, decreto Mef citato). Come recentemente rimarcato dalla Sezione delle autonomie con deliberazione 9/2020/INPR del 19 maggio 2020, tali flussi informativi non costituiscono meri adempimenti statistici, ma rappresentano indispensabili strumenti di monitoraggio e controllo ai fini del coordinamento della finanza pubblica atteso che le informazioni ivi presenti sono alla base delle decisioni di politica finanziaria. Ciò posto, con riguardo alle discrasie di dati inseriti nei prospetti estratti dalla BDAP si rende necessario che l’Ente operi senza ritardo ogni rettifica utile ad assicurare la conformità dei dati inseriti nella BDAP rispetto ai dati contenuti nei documenti di bilancio approvati dall’Organo consiliare. Tale soluzione si impone non certo alla luce di un’opinione dell’organo di controllo, quanto di un preciso obbligo normativo sulla base delle disposizioni sopra citate. È quanto stabilito dalla Corte dei conti, Sez. Piemonte, con deliberazione n. 88/2020/PRSE, a seguito dell’esame della relazione redatta, dall’organo di revisione dei conti del Comune, in riferimento al Rendiconto 2018.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Conti pubblici, firmato protocollo d’intesa Corte dei conti -CNDCEC

La Corte dei conti e il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili hanno sottoscritto un protocollo d’intesa volto a “porre in essere azioni mirate alla migliore utilizzazione delle risorse pubbliche attraverso la formazione dei soggetti che operano nei settori finanziari ed economici nell’ottica della trasparente rappresentazione contabile dei risultati della gestione”.
A firmare l’accordo sono stati il Presidente dell’Istituto Angelo Buscema e il Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili Massimo Miani.
Secondo quanto previsto dal protocollo, numerosi sono gli ambiti di comune interesse, come il controllo sugli enti pubblici e sugli enti territoriali e locali, la giustizia tributaria e il controllo sull’uso dei fondi europei.
L’accordo rimarrà in vigore fino alla scadenza del mandato dell’attuale Consiglio nazionale dei commercialisti (14 febbraio 2021).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Obblighi legali di rinegoziazione e/o ristrutturazione del pregresso indebitamento

La Corte dei conti, Sez. Campania, con deliberazione n. 96/2020, fornisce il proprio parere in merito ai limiti costituzionali e legali alla rinegoziazione (ovvero la ristrutturazione) di debiti finanziari originariamente contratti per spese non qualificabili come di investimento, e tuttavia stipulati sulla base di apposite leggi, regionali e statali, che tali operazioni hanno legittimato disciplinandole con apposite norme. Il quesito della Regione Campania viene posto in relazione agli obblighi/facoltà legali di rinegoziazione introdotti da varie leggi:
– l’art. 1, commi 71-77, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005);
– l’art. 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002);
– l’art. 45 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66.
Le suddette norme passate consentono di attivare una procedura di rinegoziazione/ristrutturazione del pregresso indebitamento, in ragione di condizioni di mercato più favorevoli rispetto al momento della stipula. La Regione osserva che tali norme pongono, in capo alla stessa, un vero e proprio obbligo di attivarsi per la rinegoziazione, in presenza di una concreta possibilità di riduzione della passività finanziaria complessiva, al lordo degli oneri comunque denominati. All’uopo chiede alla Sezione di precisare se e quando l’operazione di rinegoziazione/ristrutturazione costituisca “indebitamento” e quando realizzi spesa diversa da “investimento”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, commi 17, 18 e 19 della L. n. 350/2003 e dell’art. 119, comma 6 Cost. Allo stesso tempo chiede di sapere se e quando la “rinegoziazione/ristrutturazione” sia impedita, nel caso che la spesa originariamente finanziata non sia di investimento, eppure autorizzata da apposita norma di legge ordinaria. Partendo dall’assunto che la “rinegoziazione” si inquadra nel più generale fenomeno della “revisione” dei contratti,
Nel merito, la Sezione statuisce che:

  • la rinegoziazione/revisione, in presenza di norme di legge che in tal senso facoltizzano le pubbliche amministrazioni debitrici, è un obbligo per gli istituti finanziatori, tanto più se si tratta di pubbliche amministrazioni, in quanto a ciò esse sono tenute in virtù del generale principio di leale cooperazione;
  • le operazioni di revisione/rinegoziazione non sempre costituiscono indebitamento, ma lo sono solo in caso di espansione del valore finanziario complessivo della restituzione;
  • in ogni caso, non può costituire ostacolo alla rinegoziazione/revisione l’eventuale originario contrasto dell’operazione di indebitamento con l’art. 119 comma 6 Cost., quando essa è stata conclusa sotto l’impulso e l’egida di una legge ordinaria che espressamente la consentiva per una finalità diversa.

In tale caso e sotto tale profilo, ferma restando la necessità di verificare la validità del negozio in relazione agli altri limiti, la doglianza di illegittimità non può essere diretta al negozio, ma alla legge che si interpone tra negozio e Costituzione, rendendo valido e legittimo l’indebitamento (e la correlata operazione tramite cui è stato) contratto sotto il profilo della finalità.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, costituisce danno erariale la revoca di un contributo

Costituisce danno erariale la revoca di un contributo destinato a ristorare una spesa sostenuta per l’esecuzione di lavori di competenza del comune e dallo stesso sopportata, in considerazione dell’esistenza di una perdita ormai irrevocabilmente verificatasi per l’ente comunale. È quanto ha stabilito la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Toscana, con la Sentenza n. 186 depositata il 18 giugno 2020, nel giudizio di responsabilità promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti, che ha condannato il Responsabile unico di procedimento (RUP) nonché dirigente comunale del settore competente.

I fatti
In data 22 febbraio 2011 era stata stipulata una convenzione tra la Fondazione Pisa e il Comune di Pisa, con cui la prima aveva assunto l’impegno di finanziare un intervento di restauro. Il termine per l’ultimazione dei relativi interventi era stato fissato al 31 dicembre 2011, salva eventuale protrazione dei lavori (in effetti verificatasi) che, ai sensi della convenzione, doveva comunque essere tempestivamente comunicata all’ente erogatore del finanziamento. Con note in data 16 e 17 febbraio 2017 il Segretario generale del Comune di Pisa aveva chiesto alla Fondazione l’erogazione del contributo concordato, allegando il rendiconto relativo alle spese effettuate (i lavori, conclusisi in ritardo rispetto al termine originariamente programmato, risultavano infatti essere stati terminati tra il marzo 2012 e il marzo 2015). Con nota in data 7 marzo 2017, tuttavia, la fondazione aveva preso atto della mancanza di una comunicazione relativa alla protrazione dei lavori oltre il termine originariamente convenuto, disponendo la revoca del finanziamento. Proprio l’ammontare relativo al contributo revocato è stato qualificato dalla Procura come danno erariale.

La decisione
Nel giudizio è emerso con sufficiente chiarezza che il convenuto si è reso inottemperante alle funzioni di responsabile del procedimento (che, in base all’articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono attribuite al dirigente competente, salvo delega ad altro funzionario, che nel caso di specie non è stata effettuata). In particolare, ai sensi dell’articolo 10 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, vigente all’epoca dei fatti, grava(va) sul responsabile unico del procedimento il complesso dei compiti relativi alla correttezza dell’iter della procedura di affidamento, nel caso di specie, di lavori, in sintonia peraltro con gli obblighi della più generale figura del responsabile del procedimento amministrativo. In tale ambito si collocano anche le attività finalizzate a garantire la persistenza della copertura finanziaria dei lavori, in origine programmata. Il convenuto rivestiva, al contempo, la qualifica di dirigente del settore competente, con il conseguente obbligo, ai sensi dell’articolo 107, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n 267, di curare anche l’adozione degli atti finanziariamente onerosi e la loro copertura. Pertanto, secondo i giudici, non può che trovare applicazione il principio giurisprudenziale (Corte dei conti, sezione III Appello, 17 giugno 2019, n. 117) secondo cui in tema di erogazione di benefici pubblici “È corretta l’attribuzione al dirigente della colpa per l’intero illecito costituito dall’emissione di una illegittima e dannosa determina dirigenziale, nel caso in cui manchi del tutto l’evidenza della partecipazione alla fase istruttoria del responsabile del procedimento”: considerazione che, nel caso di specie, è rafforzata dalla circostanza che le due figure addirittura coincidevano. Acclarata la grave negligenza del convenuto, resta indiscusso anche il nesso causale rispetto al danno prodotto, in quanto la convenzione stipulata con il comune prevedeva espressamente la possibilità di revoca del contributo nel caso, tra l’altro, di mancata comunicazione degli elementi essenziali del progetto tra cui il termine di ultimazione, successivamente in effetti intervenuta, e tale omissione è come detto attribuibile al responsabile del procedimento.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Si allo scavalco condiviso anche per gli enti che approvano in ritardo i documenti di bilancio

Con deliberazione n. 10/2020 del 29/05/2020, la Corte dei conti, Sezione Autonomie –  chiamata a pronunciarsi su una questione di massima sollevata dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana in merito alla riconducibilità, o meno, nell’ambito delle assunzioni vietate dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l. n. 113/2016, della peculiare fattispecie di utilizzo a tempo parziale, e nei limiti dell’orario d’obbligo, del personale dipendente di altra amministrazione, secondo il modulo organizzativo introdotto dal CCNL del 22 gennaio 2004 (art. 14), attualmente, disciplinato dall’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 – ha enunciato il principio di diritto per il quale il divieto contenuto nell’art. 9, comma 1-quinquies, del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, non si applica all’istituto dello “scavalco condiviso” disciplinato dall’art. 14 del CCNL del comparto Regioni – Enti locali del 22 gennaio 2004 e dall’art. 1, comma 124, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, anche nel caso comporti oneri finanziari a carico dell’ente utilizzatore.

Secondo i giudici “la ratio di quest’ultimo istituto è quella di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse. L’art. 1, comma 124, della legge n. 145/2018 dispone, infatti, che, a tali fini “gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004”. E’ stato, condivisibilmente, affermato (cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n.414/2013/PAR) che nella fattispecie di avvalimento parziale del dipendente in servizio presso un altro ente non si è al cospetto di una prestazione lavorativa totalmente trasferita, come nell’ipotesi del “comando” (fattispecie esaminata, in concreto, nella deliberazione n. 103/2017/PAR della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo), ma di fronte ad una più duttile utilizzazione convenzionale. Ed invero, il legislatore prescrive che, in sede di convenzione, debba essere definito “il quomodo di ripartizione del carico finanziario, in estrema ipotesi anche insussistente ex latere accipientis”. Nello “scavalco condiviso”, infatti, il lavoratore mantiene il rapporto d’impiego con l’amministrazione originaria, rivolgendo solo parzialmente le proprie prestazioni in favore di un altro ente, nell’ambito dell’unico rapporto alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, quand’anche la convenzione sottoscritta fra le amministrazioni preveda una ripartizione del carico finanziario della spesa complessiva, già in essere per il dipendente, attribuendone una quota parte in capo all’ente utilizzatore, la fattispecie in esame non può mai integrare la costituzione di un nuovo rapporto di impiego per la mancanza di un vincolo contrattuale diretto tra l’ente che si avvale delle prestazioni “a scavalco” ed il lavoratore, trattandosi di un modulo organizzativo di condivisione del personale fra amministrazioni pubbliche. Mancano, dunque, nella peculiare fattispecie all’esame, i presupposti ritenuti essenziali ed ineludibili dal Legislatore per l’operatività del divieto previsto dall’art. 9, comma 1-quinquies, del d.l n. 113/2016, né la norma può essere applicata dall’interprete in via analogica a casi non espressamente previsti dalla disposizione. In particolare, non appare consentita un’interpretazione “additiva” che introduca ulteriori limitazioni all’autonomia organizzativa degli enti territoriali con riguardo ad un istituto, quale quello dello “scavalco condiviso”, che presenta un’ontologica diversità strutturale rispetto alla fattispecie di “assunzioni” colpite dal divieto. Si osserva che la finalità ordinamentale dell’istituto, ben delineata dall’art. 1, comma 124, della l. n. 145/2018, unitamente alla stessa temporaneità dell’utilizzo congiunto del personale, conducono ad escludere che il ricorso a tale modulo organizzativo possa 10 costituire una elusione al divieto di assunzioni. Ipotesi, questa, che la disposizione di cui all’art. 9 citato riferisce al solo caso dei contratti di servizio con soggetti privati. Da ultimo, va rilevato come l’indirizzo espresso si ponga in linea di continuità con l’interpretazione enunciata da questa Sezione nella precedente deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG (resa con riferimento alla diversa disciplina vincolistica di cui all’art. 9, comma 28, d.l. n. 78/2010), in cui si è affermato che l’istituto previsto dall’art. 14 del CCNL del 22 gennaio 2004 individua una modalità di utilizzo del dipendente pubblico da parte di più enti, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, senza che si possa configurare un autonomo rapporto di lavoro a tempo parziale, o un’assunzione. La soluzione ermeneutica appena illustrata non esime, tuttavia, dal mettere in luce come il ricorso al ricordato strumento organizzativo – di per sé legittimo ed ammissibile – debba avvenire in modo coerente con la relativa funzione ordinamentale, nel rispetto della concreta necessità di assicurare il regolare svolgimento di un servizio per l’effettivo fabbisogno dell’Ente e nell’ambito dei limiti di legge”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Le memorie della Corte dei conti sulle misure del DL Rilancio

La Corte dei conti ha trasmesso alla V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei deputati la propria Memoria sul decreto-legge n. 34/2020 recante misure urgenti in materia di salute e di sostegno al lavoro e all’economia (A.C. 2500).
“Come già osservato in occasione della manovra finanziaria dello scorso marzo, in un contesto di emergenza sanitaria quale quello che stiamo attraversando, la politica di bilancio è chiamata a giocare un ruolo indispensabile” osserva la magistratura contabile, aggiungendo che “La necessità di prevedere un lungo periodo di convivenza con il virus (in attesa degli sviluppi attesi sul fronte delle cure e del vaccino) richiede, innanzitutto, di rafforzare il sistema sanitario adeguandolo ad una emergenza particolare, consentendo in tal modo di corrispondere alle attese di cura dei cittadini. Di qui non si può che condividere lo sforzo operato nel decreto di incidere sull’assistenza territoriale, prevedendo misure che, pur concepite nell’emergenza, sembrano destinate a estendere la loro validità anche oltre tale limite”.
Il documento, richiesto nell’ambito del ciclo di audizioni sul d.l 34/2020, dopo aver esaminato il contesto macroeconomico in cui si colloca l’intervento e il quadro complessivo della manovra, si sofferma sulle singole misure, per la sanità, per i lavoratori, di sostegno a imprese e famiglie, fiscali e per gli enti territoriali.
Nelle conclusioni, la Corte ribadisce la necessità di erogare rapidamente agli aventi diritto i fondi stanziati, riducendo al minimo quei passaggi amministrativi non indispensabili che possono determinare un rallentamento e, quindi, una riduzione nell’efficacia delle misure assunte”.

 

La redazione: PERK SOLUTION

Corte dei conti, emanate le linee guida e relativi questionari sul bilancio di previsione 2020-2022 e sul rendiconto 2019

La Corte dei conti, Sez. Autonomie, con deliberazioni nn. 8 e 9 del 28 maggio 2020 ha approvato le linee guida e i relativi questionari rispettivamente al bilancio di previsione 2020-2022 e al rendiconto della gestione 2019.

DOCUMENTI DI RIFERIMENTO:

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Deficit di cassa è uno dei principali indicatori di squilibrio finanziario

La Corte dei conti, Sez. Calabria, con deliberazione n. 98/2020, nell’esporre le risultanze dell’analisi condotta sui rendiconti degli esercizi 2015, 2016 e 2017 di un Comune, ha ribadito come l’analisi dei flussi di cassa si riveli, per più aspetti, elemento essenziale nell’ambito dei controlli di legalità finanziaria intestati alla Corte dei conti. Una situazione di deficit di cassa è uno dei principali indicatori di squilibrio finanziario di cui devono essere analizzate le cause, e al quale devono essere trovati gli opportuni rimedi, così da ripristinare regolari flussi che consentano all’ente di far fronte agli obblighi di pagamento con tempestività e nel rispetto della normativa europea. L’equilibrio di cassa è, del resto, riconosciuto come condizione necessaria alla salute finanziaria degli enti locali dall’art. 162, comma 6, D.lgs. 267 del 2000 (T.U.E.L.), Inoltre, l’art. 183, comma 8 T.U.E.L., pur senza adottare un “bilancio di cassa”, impone che, al momento dell’assunzione di un impegno di spesa, sia accertata la compatibilità dei conseguenti pagamenti con gli stanziamenti di bilancio, a pena di responsabilità amministrativo-contabile e disciplinare. La Corte ricorda che le linee guida dettate dalla Sezione delle Autonomie nell’analisi dei “questionari” sui rendiconti finanziari, a partire dal 2016, attribuiscono estrema importanza alla verifica degli equilibri di cassa, all’analisi della composizione quali-quantitativa della cassa degli enti locali, all’utilizzo delle anticipazioni di liquidità e delle entrate vincolate. Questi dati sono di regola studiati osservandone il trend evolutivo in un orizzonte triennale (cfr. deliberazioni n. 6/2017/INPR e 16/2018/INPR). La cassa riflette le risorse che l’Ente può immediatamente spendere, per dare corso ai pagamenti dovuti. È composta da fondi liberi e fondi vincolati, questi ultimi alimentati da entrate che hanno un vincolo specifico correlativo ad una determinata spesa stabilito per legge, per trasferimenti o per prestiti (indebitamento). La vera disponibilità di cassa – quella che esprime il surplus di risorse utilizzabili dall’Ente per la propria spesa – è data dai fondi liberi; infatti, i fondi vincolati possono essere utilizzati, in termini di cassa, per affrontare spese correnti per un importo non superiore all’anticipazione di tesoreria disponibile ai sensi dell’articolo 222 T.U.E.L. il ricorso a fondi vincolati per sostenere spese correnti, quanto l’utilizzo di anticipazioni di tesoreria deve essere limitato ad esigenze di liquidità temporanee, tese a “porre rimedio ad eccessi diacronici tra i flussi di entrata e quelli di spesa” (C. Cost. n. 188/2014). L’utilizzo continuativo di tali istituti, oltre a essere sintomo di una crisi di liquidità strutturale che può celare gravi problemi di equilibrio finanziario, finisce per costituire una forma di indebitamento di fatto, come tale contraria all’art. 119, ultimo comma, Cost..
La corretta gestione del fondo cassa è imprescindibile ai fini dell’attendibilità delle scritture contabili dell’Ente: disallineamenti fra le varie fonti (SIOPE, scritture contabili, Conti di gestione, verifiche dell’organo di revisione, ecc.) indicano un’opacità nella contabilità dell’Ente che si riverbera sulla veridicità delle scritture contabili.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Copertura della spesa relativa al contributo erogato per il pagamento di canoni di locazione

Con deliberazione n. 37/2020, la Sezione Piemonte della Corte dei conti, ha fornito il proprio parere alla richiesta avanzata da un Comune volto a verificare la possibilità di avvalersi della previsione dell’art. 3, comma 4 bis, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 135, per poter integrare la differenza di quanto dovuto dal Ministero dell’Interno ad un soggetto privato a titolo di canone di locazione per un immobile adibito a Caserma per l’Arma dei Carabinieri per un periodo pregresso, nel corso del quale l’immobile è stato dapprima occupato sine titulo, per poi addivenire alla determinazione di un canone anche a titolo di indennità di occupazione extra-contrattuale; per tale periodo il predetto Ministero è risultato soccombente in un giudizio instaurato dal locatore per il mancato pagamento delle indennità di occupazione per diverse annualità, con intimazione al rilascio dell’immobile. In tale contesto, l’Ente, al fine di mantenere la Caserma dei Carabinieri sul proprio territorio, vorrebbe corrispondere in un’unica soluzione una determinata somma per “integrare la differenza tra il canone di locazione dell’immobile concordato all’inizio dell’occupazione tra proprietà privata e Ministro dell’Interno e il canone ridefinito con applicazione della riduzione 15% (art. 3 c. 4 L. 135/12) avvalendosi della previsione dell’art. 3 c. 4 bis Legge 135/2012.
I giudici contabili ricordano che per le caserme delle Forze dell’ordine e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ospitate presso proprietà private, i comuni appartenenti al territorio di competenza delle stesse possono contribuire al pagamento del canone di locazione come determinato dall’Agenzia delle entrate.
L’art. 3, comma 4 bis, del D.L. n. 95 del 2012 deve essere interpretato in base al principio secondo cui la finalità di potenziamento della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza trova pieno riconoscimento nell’ambito dell’autonomia degli enti, che sono chiamati a valutare la necessità della collettività amministrata in termini di priorità e ci compatibilità finanziarie e gestionali e, sulla scorta di tali valutazioni, ad avviare le eventuali concertazioni interistituzionali, volte all’adozione di specifici protocolli d’intesa che individuino obiettivi e risorse”. L’agire amministrativo degli enti locali in materia di sicurezza, pertanto, può esplicarsi avvalendosi degli strumenti di concertazione interistituzionale previsti dalla legge, ovvero sulla base di specifiche norme di legge che consentono l’intervento dell’ente locale per contribuire al dispiegamento dei dispositivi di sicurezza sul proprio territorio. Tali norme, sulla base dei predetti principi espressi dalla Sezione delle autonomie, assumono carattere eccezionale e non possono essere oggetto di interpretazioni analogiche o estensive.
Di tale norma non può essere data una lettura estensiva, ricomprendendovi anche forme di contribuzione relative a rapporti locativi pregressi per cui l’intervento dell’ente servirebbe nella sostanza a comporre controversie tra il Ministero dell’interno ed il locatore per canoni o indennità non corrisposte. Sebbene la contribuzione una tantum servirebbe a pagare canoni di locazione non corrisposti relativi ad un immobile adibito ad uso caserma, in linea astratta, si tratterebbe di un rapporto contrattuale ormai concluso (e come tale non più in essere). L’importo ancora dovuto dal locatario, peraltro, non sarebbe riconducibile ad un canone originariamente determinato dall’Agenzia delle entrate, fermo restando che il contributo in parola servirebbe a comporre una controversia riguardante un consistente lasso temporale ormai trascorso, in cui l’immobile è stato occupato sine titulo per cui, quanto dovuto dal locatario, assumerebbe anche la natura di indennità di occupazione extra-contrattuale. Fattispecie ben diversa da quella prevista dall’art. 3, comma 4 bis, del D.L. n. 95 del 2012.
Il contributo erogato ai sensi dell’art. 3, comma 4 bis, del D.L. n. 95 del 2012, qualora sussistano le condizioni per il ricorso alla possibilità ivi prevista di contribuire al pagamento dei canoni di locazione di un immobile privato adibito ad uso caserma, si configurerebbe come una spesa ricorrente e non certo come un contributo una tantum, con la conseguente necessità di trovare copertura a tale spesa con le entrate correnti degli esercizi di competenza dei rispettivi canoni da corrispondere per la durata del contratto; tipologia di spesa non ricompresa tra quelle per cui vi è possibilità di utilizzo dell’avanzo di amministrazione ai sensi del richiamato art. 187 del TUEL.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION