Corte dei Conti: Principio gratuità incarico a soggetti pensionati

Il principio di gratuità degli incarichi previsto dall’articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95/2012 deve essere inteso nel senso che lo stesso deve trovare applicazione nel solo caso di attribuzione dell’incarico a soggetto pensionato, e non anche nel caso in cui tale status intervenga in corso di contratto. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 14/2025, in riscontro ad una richiesta di parere da parte del Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, che ha chiesto di sapere se l’incarico di direttore legittimamente conferito ad un dipendente in aspettativa non retribuita che ha sottoscritto un contratto di diritto privato e che successivamente, in vigenza del citato contratto abbia maturato gli anni per poter beneficiare del trattamento pensionistico rientri nel divieto dell’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito nella legge n. 135 del 2012.

Ai fini della risoluzione del quesito posto dal Presidente di Regione Lombardia, la Sezione prende a riferimento i principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 127/2025, laddove è stato evidenziato che “il dato letterale del sopra riportato comma 9 è chiaro. Il divieto previsto è di “attribuire”. Situazione diversa è quella di precludere il “mantenimento” di un incarico legittimamente attribuito che configura una cessazione ope legis dell’incarico per effetto di una interpretazione estensiva. Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa ancor prima della proliferazione legislativa delle richiamate deroghe, la norma in questione limita un diritto costituzionalmente garantito “quale quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica” (cfr. C.d.S, Sez. I, parere 15 gennaio 2020, n. 309); tanto preclude della stessa una interpretazione estensiva che potrebbe determinare un’irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionaleAnche questa Corte (Cass. 7 febbraio 2023, n. 3643, punto 5.3 della motivazione) ha rilevato, ancorché con riguardo alla possibilità di estendere la disposizione agli incarichi in favore dei medici convenzionati, che, a fronte del chiaro tenore letterale della norma, non risulta percorribile un’interpretazione estensiva (né, tanto meno, analogica), trattandosi di una disposizione limitativa di una libertà e dovendosi piuttosto adottare un’interpretazione restrittiva. Alla luce dell’indicato principio, il testo, che espressamente preclude la possibilità di conferire un incarico a chi è stato collocato in quiescenza, non può essere interpretato nel senso che tale incarico cessa ope legis per effetto della sopravvenuta quiescenza”.

Tuttavia, la Corte segnala, per completezza, che conferimenti attribuiti in prossimità del diritto a conseguimento della pensione, con possibilità del mantenimento sia della retribuzione che del trattamento pensionistico, potrebbero risultare elusivi del principio della gratuità degli incarichi medesimi – v. a tal fine, Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 309/2020.

Infine, la Sezione ha evidenziato che il principio di gratuità dell’incarico ai soggetti pensionati, fatto salvo il caso di mantenimento del contratto e di tutte le altre ipotesi che consentono il cumulo dei trattamenti, non viene meno, né si pone in contraddizione con l’articolo 8 del Codice dei contratti pubblici che consente la conclusione di contratti anche gratuiti e detta principi in altro campo materiale, né con l’articolo 1, comma 489, della legge n. 147/2013, in quanto il cumulo tra trattamento pensionistico e trattamento economico derivante da incarichi pubblici (con la fissazione di un limite) non avrebbe avuto senso se l’art. 5, comma 9, del decreto-legge n. 95/2012 avesse inteso prevedere, egualmente in via generale, anche il divieto di mantenimento dell’incarico in favore del dipendente collocato in quiescenza dopo l’affidamento dello stesso e nelle altre ipotesi derogatorie previste dalla legge”.

 

La redazione PERK SOLUTION

Ricorso alla donazione modale di un bene da parte di un comune ammissibile se rispondente al miglior soddisfacimento di un interesse pubblico

Con la Deliberazione n. 131/2025 della Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei Conti, emessa il 3 giugno 2025, fornisce chiarimenti in merito al ricorso alla donazione modale da parte di un comune a favore di un soggetto privato. Nella richiesta il Comune istante premette che nel 2023 l’Amministrazione ha deliberato la cessione e poi costituito, con scrittura privata non autenticata e non trascritta nei pubblici registri, il diritto di superficie, in favore di Croce Rossa Italiana, su un’area già destinata a servizi, da adibire esclusivamente alla realizzazione di un centro di pronto intervento per il primo soccorso, nonché di protezione civile da parte dell’Ente beneficiario e che quest’ultimo ha in effetti realizzato un fabbricato attualmente accatastato in ditta al comune. In questo quadro, tenuto conto dell’intenzione delle parti di “regolarizzare la titolarità dei rispettivi diritti reali” (mediante atto pubblico che trasferisca al privato il diritto di proprietà superficiaria per 99 anni a decorrere dal 2003, fermo restando il mantenimento in capo al comune del diritto di proprietà dell’area, ai sensi dell’art. 952 c.c.), l’Ente ha chiesto di sapere se è possibile effettuare una donazione in favore di un soggetto privato che da anni svolge una funzione di interesse pubblico vincolando l’impiego del bene donato alla suddetta funzione o se tale donazione sia preclusa in quanto contrastante con il principio di valorizzazione onerosa dei beni disponibili della pubblica amministrazione.

Il Collegio non ignora la posizione della giurisprudenza contabile, la quale in più occasioni ha affermato l’incompatibilità della donazione modale e degli atti di cessione gratuiti di beni pubblici con i principi contenuti nelle norme che disciplinano la cessione e la valorizzazione del patrimonio disponibile della P.A. (così le deliberazioni Lombardia/164/2019/par; Piemonte/16/2020/par, Basilicata/59/2022/par; Basilicata/15/2023/par; Calabria/70/2024/par). E, tuttavia, da tale premessa non è fatto discendere un divieto assoluto di disporre per donazione ovvero gratuitamente, essendo sempre rimessa all’Amministrazione la valutazione della idoneità dell’atto gratuito a realizzare, nel caso concreto, la migliore e corretta gestione del patrimonio ed il soddisfacimento di un interesse pubblico.

In un’ottica in parte analoga, più recentemente, la Sezione ha precisato che “la giurisprudenza ammette specifiche eccezioni al principio di redditività del bene pubblico solo laddove venga perseguito un interesse pubblico di rango equivalente o superiore rispetto a quello che viene perseguito mediante lo sfruttamento economico dei beni” (così le deliberazioni Lombardia/251/2024/par, nonché Lombardia/234/2024/par sul bilanciamento fra principi).

Nel presupposto che non esista un divieto espresso, anche la giurisprudenza civile si è più volte pronunciata nel senso di riconoscere l’esistenza, in generale, della capacità di donare degli enti pubblici, con l’importante precisazione che per essi lo spirito di liberalità deve necessariamente avere di mira il pubblico interesse (fra le più recenti, Cass. civ., Sez. V, Sent. 6-7-2012, n. 11369), anche se lo scopo, che l’ente tende a perseguire in concreto con l’atto di liberalità, non rientri tra i suoi fini istituzionali, ma coincida con quelli cui è diretta l’attività dello Stato o di altro ente pubblico. Ne consegue che il ricorso alla donazione modale da parte di un comune non sia preclusa né in linea generale, né in concreto, ove diretta a ripristinare la piena corrispondenza dello stato di diritto a quello di fatto. Resta fermo che le ragioni sottese alla “liberalità” sono rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, la quale dovrà esplicitarle nell’ambito di un’adeguata motivazione, tenendo conto del canone di funzionalizzazione all’interesse pubblico sopra richiamato.

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte dei Conti: precisazioni sul termine per la presentazione e il deposito dei conti giudiziali degli Enti Locali

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con nota n. 1325 del 4 giugno 2025, fornisce precisazione sul termine per la presentazione e il deposito dei conti giudiziali degli enti locali alla competente Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti, tenuto conto di quanto disposto dall’art. 139 del codice di giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016) e dall’art. 233 del TUEL.

L’art. 139, comma 1 (Presentazione del conto) del codice della giustizia contabile dispone che “Gli agenti che vi sono tenuti, entro il termine di sessanta giorni, salvo il diverso termine previsto
dalla legge, dalla chiusura dell’esercizio finanziario, o comunque dalla cessazione della gestione, presentano il conto giudiziale all’amministrazione di appartenenza …”, mentre l’art. 233 del Tuel prevede che “Entro il termine di 30 giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario, l’economo, il consegnatario di beni e gli altri soggetti di cui all’articolo 93, comma 2, rendono il conto della propria gestione all’ente locale …”.

La Sezione chiarisce che entrambi i termini sono da considerarsi ordinatori. La divergenza temporale tra le due norme si risolve tenendo conto del fatto che il comma 1 dell’art. 139 del Codice della giustizia contabile fa espressamente salvo ogni diverso termine previsto dalla legge. Pertanto, per gli enti locali, prevale il termine di 30 giorni previsto dall’art. 233 TUEL.

Per quanto riguarda il deposito dei conti giudiziali presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, la Sezione ricorda che l’art. 139, comma 2 del codice di giustizia contabile, introduce la figura del responsabile del procedimento, che, una volta conclusa la fase di verifica o controllo amministrativo, ha l’obbligo di depositare il conto entro 30 giorni dall’approvazione, previa parificazione. Questo termine non è collegato all’approvazione del rendiconto generale dell’ente, ma si applica anche quando il conto sia approvato separatamente, ad esempio con provvedimento dirigenziale, in caso di subentro di un nuovo agente contabile o di cessazione anticipata della gestione (previsione di cui al co. 1 dello stesso articolo art. 139 c.g.c, “…o comunque dalla cessazione della gestione”). In questi casi, sebbene non sia previsto un termine per l’avvio della procedura di parificazione e approvazione del conto, una volta conclusa tale fase il responsabile del procedimento non può trattenere il conto oltre i 30 giorni.

Il rispetto di tale termine è rafforzato dalla previsione sanzionatoria di cui all’art. 141, comma 7, del Codice della giustizia contabile, secondo cui: “…Se risulta che l’agente contabile ha presentato il conto alla propria amministrazione e quest’ultima non lo ha trasmesso e depositato presso la sezione giurisdizionale, il conto è acquisito d’ufficio dal giudice monocratico, che commina la sanzione pecuniaria di cui al comma 6 al responsabile del procedimento individuato ai sensi dell’articolo 139, comma 2.”. In ogni caso, i conti giudiziali devono confluire nel rendiconto finale, al fine di garantire una corretta e completa ricostruzione contabile che includa tutti gli strumenti contabili o di registrazione finanziaria dell’ente.

 

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Accantonamento prudenziale a FCDE per i crediti verso altre amministrazioni pubbliche

La Corte dei conti, Sez. Piemonte, con deliberazione n. 67/2025, ha evidenziato che il principio contabile di riferimento (Allegato 4/2 al D.Lgs. n.118/2011, punto 3.3) elenca tassativamente i crediti che, in ragione della loro natura, possono considerarsi di sicura realizzazione e che, come tali, non sono soggetti all’obbligo di svalutazione, e cioè i crediti da altre amministrazioni pubbliche, i crediti assistiti da fideiussione e le entrate tributarie che, sulla base dei principi contabili, sono accertate per cassa. Nulla vieta, però all’ente, di prevedere comunque un accantonamento prudenziale laddove si riscontrino ritardi nella riscossione di entrate derivanti da altre pubbliche amministrazioni.

La Sezione ricorda come l’operazione di riaccertamento ordinario dei residui si sostanzia in una verifica delle ragioni del mantenimento delle poste attive (e passive) del bilancio, attraverso atti di ricognizione e di aggiornamento delle ragioni del credito, è attività propedeutica alla corretta determinazione del FCDE; tale accantonamento, infatti, è destinato a “sterilizzare” il rischio di dubbia esigibilità delle entrate e quindi ad evitare che le spese impegnate non abbiano idonea copertura finanziaria.

L’iscrizione di residui dovuti da pubbliche amministrazioni che, seppur non soggetti a svalutazione, costituiscono una criticità qualora risalgano a oltre due esercizi addietro, in quanto sintomo di rapporti dare-avere disfunzionali tra enti pubblici. La corretta stima del FCDE determina, infatti, la veridicità del risultato di amministrazione e preserva l’ente da disavanzi occulti e da potenziali squilibri di competenza e di cassa, allorché sia utilizzato l’avanzo di amministrazione libero, in realtà non disponibile.

 

 

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Corte dei conti: Utilizzo cassa vincolata anche per il pagamento delle spese di investimento

La Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con deliberazione n. 95/2025, affronta la gestione della cassa vincolata da parte degli enti locali, con particolare riferimento all’utilizzo delle risorse per spese in conto capitale, evidenziando che l’utilizzo della cassa vincolata, erogata per una destinazione determinata, è ammesso, in presenza di obbligazioni esigibili e in mancanza di cassa libera, anche per pagare altre spese di investimento. Tale utilizzazione deve essere limitata temporalmente e si accompagna all’obbligo di ricostituzione della cassa vincolata entro il 31 dicembre, ovvero entro il più breve termine qualora debbano essere pagate obbligazioni relative all’intervento per il quale sono state erogate le somme confluite nella cassa vincolata.

La gestione della cassa vincolata ha subito significative modifiche a seguito della deliberazione n. 17/SEZAUT/2023/QMIG della Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti. In essa si affermava che il vincolo di destinazione specifico, rilevante sia per la gestione di competenza che per quella di cassa, si concretizza con l’approvazione degli strumenti di programmazione che operano la scelta tra destinazioni eterogenee o alternative.

Tuttavia, questa interpretazione ha generato difficoltà operative per gli enti locali, portando il legislatore a intervenire con il Decreto-Legge n. 60/2024, convertito con modificazioni dalla Legge n. 95 del 4 luglio 2024. In particolare, l’articolo 6, comma 6-octies, ha stabilito che il vincolo di cassa deve essere applicato solo alle entrate derivanti da mutui, prestiti e contributi/trasferimenti aventi una specifica destinazione, eliminando il vincolo di cassa per le entrate che presentano un vincolo di competenza indicato dalla legge.

Per le spese di investimento, l’utilizzo della cassa vincolata non incontra particolari limiti e nell’eventualità, non infrequente, di ritardi nel trasferimento dei finanziamenti annuali o ultrannuali per spese di investimento, l’ente, anche al fine di rispettare la normativa sulla tempestività dei pagamenti, potrà utilizzare l’avanzo libero, se disponibile, e, nell’ipotesi di insufficienza di fondi liberi, la cassa vincolata. Per la Sezione, le norme in materia non prescrivono che il mandato debba essere riferito alla specifica spesa di investimento oggetto di vincolo; sarebbe, del resto, irragionevole – una vera e propria eterogenesi dei fini – se per pagare spese di investimento autorizzate e finanziate, a fronte di ritardi nei trasferimenti, l’ente locale, pur in presenza di fondi vincolati disponibili, dovesse ricorrere all’anticipazione di tesoreria pagando i relativi interessi per non incorrere in ritardi nei pagamenti, con probabile contenzioso e corresponsione di interessi moratori.

I vincoli di cassa sono preordinati a garantire il certo e puntuale adempimento delle obbligazioni da parte dell’ente e non possono essere intesi come un vincolo immanente, rigidamente correlato ad una specifica spesa di investimento; una simile limitazione dell’uso della liquidità finirebbe per snaturarne la funzione di garanzia del regolare e tempestivo adempimento delle obbligazioni per siffatta tipologia di spesa. Pertanto, l’ente per evitare il pagamento di interessi passivi, potrà utilizzare la cassa vincolata per pagare obbligazioni esigibili relative a spese di investimento.

Tale utilizzazione deve essere limitata temporalmente e si accompagna all’obbligo di ricostituzione della cassa vincolata entro il 31 dicembre ovvero entro il più breve termine qualora debbano essere pagate obbligazioni per l’intervento anticipatamente riscosso confluito nella cassa vincolata. Ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 195 TUEL, infatti, l’utilizzo di entrate vincolate presuppone l’adozione della deliberazione della giunta relativa all’anticipazione di tesoreria e vincola una quota corrispondente dell’anticipazione stessa.

 

La redazione PERK SOLUTION

 

 

Sono debiti fuori bilancio le spese per la registrazione delle sentenze

La Corte dei conti, Sez. Abruzzo, con deliberazione n. 71/2025, in riscontro ad una richiesta di parere in merito al trattamento contabile delle spese per la registrazione delle sentenze o, in generale, dei provvedimenti giudiziali, ha evidenziato come le stesse rientrino nella previsione di cui all’art. 194, lettera a), del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), ancorché l’ente sia risultato vittorioso e, dunque, non sia stato condannato al pagamento delle spese legali, ma sia destinatario della notifica di avviso di pagamento da parte dell’Agenzia delle entrate per omessa
registrazione del provvedimento da parte della controparte soccombente.

La lettera a) del comma 1 dell’art. 194, nel prevedere la riconoscibilità dei debiti fuori bilancio derivanti da “sentenze esecutive”, include, secondo prevalente orientamento giurisprudenziale, tutte le spese del giudizio comprese quelle relative alla registrazione dei provvedimenti in tal sede adottati (cfr. Sezione regionale di controllo per la Sardegna deliberazione n. 2/2009/PAR; Sezione regionale di controllo per la Liguria
deliberazione n. 77/2019/PAR).

Il fatto che la notifica dell’avviso di pagamento per le spese di registrazione da parte dell’Agenzia delle entrate sia dovuta all’inottemperanza della controparte soccombente non muta, in quanto trattasi di obbligazione solidale passiva, quanto rappresentato (articolo 57, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).

 

La redazione PERK SOLUTION

Il fondo rischi contenzioso esige un controllo minuzioso e puntuale da effettuarsi con cadenza periodica e costante

L’accantonamento a titolo di fondo rischi contenzioso, secondo quanto previsto dalla vigente normativa, costituisce adempimento obbligatorio da affettuarsi in misura congrua rispetto al contenzioso pendente, o in fieri. La corretta determinazione del fondo rischi contenzioso è, dunque, da considerarsi essenziale per garantire, in ossequio ai principi di sana e prudente gestione, la regolare dinamica degli equilibri di bilancio, con conseguente necessità di “procedere ad una costante ricognizione e all’aggiornamento del contenzioso formatosi per attestare la congruità degli accantonamenti, che deve essere verificata dall’organo di revisione”. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Basilicata, con la deliberazione n. 42/2025.

Nell’ambito dell’analisi dei dati e delle informazioni contenute nel questionario al rendiconto 2022, è emerso che il Comune – in assenza di comunicazioni da parte dei legali – abbia provveduto ad accantonare un fondo contezioso in maniera prudenziale, e quindi in via meramente forfettaria, nulla riferendo circa la prodromica ricognizione delle controversie in essere.

La Sezione ricorda che “La quantificazione del fondo per il contenzioso richiede un attento e costante monitoraggio sulle liti, per le quali occorre procedere quanto meno annualmente alla stima del rischio di soccombenza e alla verifica del loro andamento” e che, a tale riguardo, occorre dotarsi “di un’apposita banca dati o, comunque, di un sistema di analisi e di stima delle controversie”(Sez. Contr. Sicilia, deliberazione n. 6/2019/SS.RR./PARI). Deve ritenersi esclusa una quantificazione meramente forfettaria e prudenziale del rischio di soccombenza; al contrario la quantificazione del fondo rischi richiede inderogabilmente un’analisi specifica delle singole poste e partite.

Secondo la giurisprudenza contabile, in assenza di parametri normativamente determinati (il richiamato principio contabile 5.2., lettera h) non indica, infatti, i criteri per valutare “le significative probabilità di soccombere”), possono a tal fine soccorrere gli standard internazionali in tema di contabilità (IAS 37 e OIC 31), con conseguente classificazione delle passività potenziali da contenzioso secondo i gradi del certo, del probabile, del possibile, e del remoto:
– il debito certo (indice di rischio 100%) è l’evento che si è concretizzato in una sentenza esecutiva, ma momentaneamente sospesa ex lege;
– la passività “probabile” (indice di rischio superiore al 51%) è quella in cui rientrano i casi di provvedimenti giurisdizionali non esecutivi, nonché i giudizi non ancora esitati in decisione, per cui sia stato formulato un giudizio di soccombenza di grande rilevanza, ed impone un ammontare di accantonamento che sia pari almeno alla suddetta percentuale (cfr. documento OIC n. 31 e la definizione dello IAS 37, in base al quale l’evento è probabile quando si ritiene sia più verosimile che il fatto si verifichi piuttosto che il contrario);
– la passività “possibile” (indice di rischio tra il 10% ed il 49%) è quella in relazione alla quale il fatto che l’evento si verifichi è inferiore al probabile (cfr. documento OIC n. 31, nonché dello IAS 37);
– la passività da evento “remoto” (indice di rischio inferiore al 10%), non prevede, infine, alcun accantonamento.

In proposito è stato precisato che “In base alle prassi aziendalistiche affermatesi in materia, ove l’amministrazione giudichi come “remoto” il rischio di soccombenza, non sorge l’obbligo di effettuare alcun accantonamento; ove invece il rischio di perdita della lite sia valutato come tecnicamente “possibile”, all’ente è rimessa la costituzione del fondo in misura oscillante tra il 10% e il 50% del valore della domanda giudiziale e relativi accessori di legge; infine laddove l’accoglimento dell’avversa domanda appaia, ex ante e allo stato dell’arte, “probabile”, la prudenza richiede di accantonare una somma anche maggiore del 50% del valore della causa e, in caso di ammontare particolarmente elevato, il principio contabile consente lo stanziamento delle relative risorse su un orizzonte temporale di tre anni al massimo” (sez. reg. di contr. Piemonte, delibere nn. 16/2022/SRCPIE/PRSE e 134/2022/SRCPIE/PRSE).

Nelle ipotesi di contenzioso rilevante, ai fini della corretta stima del rischio di soccombenza, si è evidenziato, inoltre, che “… si dovrà tener conto di tutte le voci che compongono la domanda giudiziale (danno emergente e lucro cessante ex art. 1223 c.c., danno curricolare, interessi, rivalutazione, etc.) così da effettuare un’analisi quanto più possibile accurata per assicurare un accantonamento corrispondente alle reali esigenze dell’ente” (cfr. Sez. Contr. Lombardia, deliberazione n. 95/2022/PAR).

La Sezione sottolinea al riguardo la centralità del ruolo dell’Organo di revisione in ordine alla corretta determinazione del fondo anzidetto. È lo stesso legislatore, infatti, a richiedere al Collegio dei revisori una approfondita e analitica “verifica”, che non si limiti all’ espressione di un mero giudizio. La “verifica” espressamente richiesta dal principio contabile, infatti, “consiste nell’accertamento della conformità al “diritto” della rappresentazione e del calcolo come sopra effettuato e riscontrato” (Sez. contr. Campania, del. n. 217/2019). Con riferimento alle specifiche verifiche intestate all’Organo di revisione sul fondo rischi contenzioso, è, inoltre, d’uopo rimarcare che nella deliberazione n. 61/2024/VSG, depositata il 25/11/2022, la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna ha evidenziato come le stesse riguardino “… l’entità delle quote accantonate al fondo rischi, la cui indiscutibile esigenza di determinazione matematica non può risolversi nell’enunciazione di un mero giudizio valutativo, ma richiede al contrario un procedimento di apprendimento, frutto cioè di una ricognizione puntuale del contenzioso (secondo quanto indicato dal principio contabile e dalla deliberazione n. 14/2017/INPR della Sezione Autonomie), che si risolve nella formulazione di una vera e propria attestazione con valore di certezza”.

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti: Adozione piano di razionalizzazione anche per le aziende speciali

La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con deliberazione n. 43/2025, affronta la questione sottoposta da un Comune in merito all’obbligo di adottare provvedimenti di razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione, per le aziende speciali.

La Sezione evidenzia come i presupposti per la razionalizzazione delle partecipazioni societarie di cui all’elenco ex art. 20, c. 2, T.U.S.P. assurgono a parametro di legalità finanziaria per le gestioni di enti pubblici strumentali che, per conformazione organizzativa e gestione finanziaria, siano idonei ad influire sugli equilibri finanziari dell’ente locale. Pertanto, il provvedimento di ricognizione che sarà adottato dall’ente locale, intanto, deve tener conto della presenza dell’azienda speciale. Successivamente, la decisione di razionalizzazione che sarà assunta dall’ente medesimo nella sua piena discrezionalità, dovrà essere adeguatamente motivata, sia che ci si orienti alla conservazione dell’assetto delle partecipazioni (e quindi dell’azienda speciale), sia che si proceda verso un riassetto della “organizzazione” gestionale.

In ragione del principio di legalità finanziaria e per esigenze generali di tutela dell’equilibrio del bilancio dell’ente locale, anche con riguardo (genericamente) all’azienda speciale, la sussistenza di una o più condizioni previste dal c. 2 dell’art. 20 del D. Lgs. n. 175/2016 comporta l’obbligo di adottare un piano di riassetto per la razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione dell’Ente strumentale, anche tenendo conto delle condizioni di mercato e della coerenza dei criteri concorrenziali che devono essere correlati all’affidamento del servizio.

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti: Linee guida e questionari al bilancio 2025-2027 e al rendiconto 2024

La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, nell’adunanza del 27 febbraio 2025, ha approvato – in attuazione dell’art. 1 co. 166 e seguenti della legge 23 dicembre 2005 n.  266 – con deliberazioni n. 7/SEZAUT/2025/INPR e n. 8/SEZAUT/2025/INPR  ha approvato le “Linee guida” e l’annesso “Questionario” per la relazione dell’organo di revisione degli enti locali rispettivamente sul bilancio di previsione 2025-2027 e sul rendiconto 2024.

La tempestiva approvazione del questionario sul bilancio di previsione può consentire di effettuare le verifiche e suggerire azioni correttive per intervenire in sede di assestamento. L’aggiornamento, volto a semplificare gli oneri informativi, si concentra sugli aspetti critici della gestione economico-finanziaria degli enti. Tra le novità, si evidenziano: la verifica del corretto stanziamento del nuovo contributo alla finanza pubblica richiesto agli enti locali dalla legge di bilancio 2025; l’aggiornamento della sezione sulla “Spesa per il personale” per monitorare le assunzioni, i limiti di spesa e le azioni di riduzione e una nuova sezione sulla gestione di cassa, mirata a verificare l’attendibilità del Piano annuale dei flussi di cassa e la coerenza con le previsioni di cassa del bilancio.

Nel questionario al rendiconto 2024, restano cruciali i temi del rispetto dei vincoli di finanza pubblica e della salvaguardia degli equilibri di bilancio. Particolare attenzione è dedicata alla gestione della cassa, al rispetto dei tempi di pagamento dei debiti commerciali e al fondo pluriennale vincolato, a cui è riservata una sezione specifica.

Si segnala, tra le novità, che non è stata riproposta la griglia di rilevazione per l’avanzamento finanziario, procedurale e fisico dei progetti PNRR e PNC gestiti dagli enti territoriali e che è stata introdotta una sezione per la “Spesa per il personale” al fine di verificare il rispetto delle facoltà assunzionali, il superamento delle soglie di spesa, le azioni di riduzione e la congruità degli stanziamenti rispetto ai piani di rientro.

La Corte comunicherà, successivamente, la data dalla quale sarà resa disponibile agli utenti la versione on-line.

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti: necessario un sistema di controlli sui fondi del PNRR anche se di importi esigui

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 35/2025/PRSE, nell’esaminare la documentazione relativa al bilancio di previsione 2022/2024 e al rendiconto dell’esercizio 2022, ha rilevato la mancanza di un sistema di controlli sui fondi del PNRR. In particolare, emergeva che l’Organo di revisione non aveva rilevato l’implementazione da parte dell’Ente di un sistema interno di audit, eventualmente anche attraverso un adeguamento del sistema dei controlli interni e non aveva verificato se il sistema dei controlli interni dell’Ente risultasse adeguato ad individuare criticità, anche per frodi, nella gestione dei fondi collegati all’attuazione degli interventi a valere sul PNRR e, pertanto, veniva esperita apposita attività istruttoria in merito.

Ai rilievi suesposti l’Ente ha risposto che: “Con riferimento alle osservazioni mosse a riguardo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si rileva l’esiguità dei progetti comunali finanziati con il PNRR, elemento questo che ha indotto l’Organo di revisione a non ritenere necessario alcun rilievo attinente l’implementazione da parte dell’Ente di un seppur elementare sistema interno di audit. La scarsità di risorse, sia economiche che umane, messe a disposizione del Comune, di fatto azzera la percentuale di rischio connesso alla gestione dei fondi, ed ha altresì indotto il Responsabile dell’Anticorruzione a non indugiare su una verifica che avrebbe dato risultati scontati, per lo più rallentando l’attività amministrativa ordinaria e finendo per sacrificare l’erogazione dei servizi minimi offerti”.

La Sezione osserva che i chiarimenti forniti dall’Ente confermano la criticità. Nonostante l’esiguità dei progetti, dichiarata dal Comune di Arzergrande, la totale assenza di forme di controllo non pare trovare giustificazione.

A tal proposito, la Sezione ha raccomandato un costante monitoraggio dei progetti finanziati con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e con il Piano Nazionale Complementare e l’espletamento senza indugio di tutti i necessari controlli previsti dall’art. 8, co. 2, del d.m. 11 ottobre 2021 del Ministero dell’economia e delle finanze, in base al quale: “Le amministrazioni responsabili dei singoli interventi del PNRR provvedono a rimuovere/correggere eventuali irregolarità e/o non conformità rilevate nella fase di realizzazione dell’intervento, ovvero in esito ad audit, suscettibili di compromettere il raggiungimento degli obiettivi target e milestone intermedi e/o finali ed il rimborso delle spese da parte della Commissione europea”.

 

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