Il consigliere comunale deve giustificare la propria assenza alle sedute dell’assemblea

In tema di decadenza dei consiglieri comunali per mancata partecipazione alle sedute dell’assemblea, ex art. 43, comma 4, del TUEL, il consigliere ha l’onere di giustificare la propria assenza, ma non anche di dimostrarne la riconducibilità a un impedimento assoluto. Le ragioni a tal fine addotte non sono sindacabili dal Consiglio comunale, a meno che esse siano palesemente infondate. È quanto stabilito dal Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 19 gennaio 2021, n. 573. Le norme sulla decadenza dalla carica di consigliere comunale non prevedono che, oltre alla giustificazione dell’assenza, il consigliere sia onerato della dimostrazione di un impedimento assoluto a presenziare alle sedute del Consiglio. Non si può attribuire al Consiglio comunale un potere di natura discrezionale, che troverebbe fondamento nel fatto che la norma non ricollega la decadenza per assenze ingiustificate a eventi tipizzati, per cui spetterebbe all’organo consiliare, cui è attribuito il potere di dichiarare la decadenza del consigliere, la «valutazione discrezionale delle giustificazioni prodotte dall’interessato in merito agli impedimenti dallo stesso addotti, in esito ad un procedimento finalizzato alla tutela del corretto funzionamento degli organi rappresentativi, suscettibile di essere compromesso dal comportamento di disinteresse per la carica manifestato da uno dei suoi componenti. Le circostanze che giustificano l’esercizio del potere di decadenza vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che la decadenza comporta all’esercizio di un munus publicum e per la possibilità di un uso distorto del potere da parte del Consiglio comunale, per ragioni di scontro politico (ferma restando, occorre aggiungere, la possibilità del Consiglio comunale di sindacare i casi in cui le ragioni addotte dal consigliere siano ictu oculi prive di qualsiasi spiegazione logica ovvero non siano supportate da alcuna documentazione o dimostrazione dei fatti affermati).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

L’esercizio della potestà certificativa del segretario comunale consente l’efficacia del verbale di consiglio

L’esercizio della potestà certificativa del segretario comunale, attestando l’impedimento temporaneo alla firma del sindaco/presidente, consente l’efficacia del verbale, il quale potrà essere soggetto ad approvazione del consiglio comunale dopo l’apposizione della firma da parte dello stesso sindaco. È la risposta fornita dal Ministero dell’Interno in merito alle “indicazioni operative” per la validità delle delibere di consiglio comunale adottate in una seduta di consiglio, attesa l’impossibilità della sottoscrizione dei verbali da parte del sindaco/presidente a causa di un impedimento temporaneo. Al riguardo, si osserva che l’articolo 38 del decreto legislativo n.267/00 al comma 2 dispone che “il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento”, mentre il successivo comma 3 prevede che “i consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa”. Nessuna particolare indicazione è contenuta nel citato decreto legislativo in ordine alla sottoscrizione delle deliberazioni e dei verbali, essendo invece prevista, all’art. 124 la sola obbligatorietà della pubblicazione delle deliberazioni all’albo pretorio. Occorre, pertanto, rinviare alle disposizioni interne di cui l’ente si è dotato, in virtù proprio del rinvio di cui all’art.38, nonché alle disposizioni di carattere generale. Nel caso di specie, l’articolo 34 del regolamento consiliare, al comma 7, stabilisce che “il verbale delle adunanze è firmato dal Presidente delle adunanze e dal Segretario comunale”. Come ritenuto dal T.A.R. Lazio-Sez.I con sentenza 10 ottobre 1991 n.1703, “il verbale, … non attiene al procedimento deliberativo, che si esaurisce e si perfeziona con la proclamazione del risultato della votazione, ma assolve ad una funzione di mera certificazione dell’attività dell’organo deliberante”. Tale strumento “ha l’onere di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, non avendo al riguardo alcuna rilevanza l’eventuale difetto di una minuziosa descrizione delle singole attività compiute o delle singole opinioni espresse. D’altra parte deve aggiungersi che il verbale della seduta di un organo collegiale, quale il consiglio comunale, costituisce atto pubblico che fa fede fino a querela di falso dei fatti in esso attestati” (conforme Consiglio di Stato, Sez.IV, 25/07/2001, n.4074). Si ricorda, altresì, che la deliberazione consiliare ha una autonomia rispetto al verbale di seduta e che la “cura della verbalizzazione” delle sedute del consiglio e della giunta sono riservate, ai sensi dell’art.97, comma 4, del citato decreto legislativo n.267/00, direttamente al segretario comunale. La manifestazione di volontà del consiglio comunale, infatti, necessita, ad substantiam, di una esternazione costituita dal processo verbale, redatto dal segretario dell’ente, il quale pone in essere, mediante la verbalizzazione, un’attività strumentale di documentazione dell’atto (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 settembre 1984, n.278). Il punto dell’approvazione dei verbali delle sedute precedenti è inserito, per prassi costante, tra i primi argomenti posti all’ordine del giorno delle sedute del consiglio comunale ed è, come già detto, finalizzato unicamente all’attestazione che gli stessi verbali riportino fedelmente quanto già deliberato dal consiglio. Secondo la giurisprudenza, non è richiesta la redazione del verbale durante la seduta, essendo sufficiente che avvenga in un tempo successivo e non sia protratta a tempo indefinito (cfr. Consiglio di Stato, sez.IV, 28 gennaio 1975, n.60). Del resto, l’eventuale omissione di tale adempimento non è impeditiva dell’efficacia ovvero della stessa esistenza della delibera consiliare e, conseguentemente, proprio la potestà certificativa del segretario comunale – anche mediante l’attestazione dell’impedimento temporaneo del sindaco/presidente – consentirebbe l’efficacia del verbale in parola, il quale potrà essere soggetto ad approvazione del Consiglio comunale dopo l’apposizione della firma da parte dello stesso sindaco.

Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR): sollecito al subentro per i comuni ritardatari

Con la Circolare n. 1/2021 il Ministero dell’Interno, Direzione centrale per i Servizi Demografici, in vista della piena attuazione del processo di trasformazione digitale del Paese sollecita i Comuni, inadempimenti agli obblighi previsti dall’art. 62 del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), di procedere con le operazioni per il subentro completo in ANPR, l’anagrafe nazionale della popolazione residente. In tale contesto, anche le Prefetture sono chiamate a svolgere ogni attività di impulso e di monitoraggio circa lo stato di avanzamento delle operazioni di subentro, comunicando entro il 22 febbraio 2021 le risultanze e le eventuali criticità riscontrate per l’adozione di interventi mirati. La completa implementazione dell’ANPR, oltre a determinare una semplificazione delle procedure anagrafiche (consentendo di richiedere certificati presso tutti i comuni e non solo in quello di residenza e di effettuare un cambio di residenza in maniera più semplice e immediata), promuove l’efficientamento delle pubbliche amministrazioni (che potranno disporre dei dati necessari per le proprie finalità istituzionali accedendo ad un’unica banca dati) ed il miglioramento dei servizi al cittadino.

All.1 – Elenco comuni subentranti
All.2 – Istruzioni operative

 

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Al via il sistema Integrato del Territorio per la consultazione delle banche dati catastali

A decorrere dal 1° febbraio 2021 sarà attivato progressivamente sull’intero territorio nazionale, ad eccezione dei territori nei quali il catasto è gestito, per delega dello Stato, dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano, il sistema tecnologico denominato Sistema Integrato del Territorio (SIT), per lo svolgimento delle funzioni di competenza dell’Agenzia delle Entrate relative al catasto e ai servizi geotopocartografici, nonché in materia di anagrafe immobiliare integrata. È quanto previsto nel provvedimento del 25 gennaio 2021 adottato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Gli atti catastali, gli elaborati planimetrici e i documenti tecnici d’ausilio alla predisposizione degli atti di aggiornamento geometrico sono visionabili da chiunque, per via telematica o presso l’ufficio. Le visure per via telematica sono effettuate tramite i servizi messi a disposizione dall’Agenzia, salvo il pagamento dei tributi speciali catastali. consultazione delle planimetrie delle unità immobiliari urbane è consentita, in conformità a quanto previsto dalle disposizioni vigenti, a richiesta del proprietario, del possessore, di chi ha diritti reali di godimento sull’unità immobiliare ovvero di chi possa dimostrare di agire per conto di questi. L’accesso alle planimetrie catastali è in ogni caso consentito per l’esercizio delle funzioni di ordine e sicurezza pubblica, di difesa e sicurezza nazionale, di polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria, nonché di gestione delle emergenze e delle funzioni in ambito di protezione civile. La consultazione è inoltre consentita ai Comuni per i controlli urbanistici e la gestione della fiscalità immobiliare locale e alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 per motivate esigenze, connesse ai propri compiti istituzionali, fondate su idonea base giuridica. Per accedere alla base dei dati catastali, le pubbliche amministrazioni utilizzano i SMIDT, aderendo alle specifiche condizioni di servizio disponibili nel sito internet dell’Agenzia. Le tipologie dei servizi resi disponibili ai sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni sono pubblicate sul sito dell’Agenzia. La pubblica amministrazione, all’atto dell’adesione ai SMIDT, attesta che la fruizione della base dei dati catastali è necessaria per lo svolgimento, diretto o per il tramite dei soggetti dalla stessa delegati, dei propri compiti istituzionali. Le pubbliche amministrazioni possono utilizzare i dati acquisiti all’interno dei propri sistemi informativi, per lo svolgimento, anche in forma associata, di compiti istituzionali, nonché integrarli, sotto la propria responsabilità, all’interno di servizi attinenti i medesimi compiti. La base dei dati catastali è resa disponibile ai Comuni, alle Comunità Montane e isolane e alle Unioni di Comuni attraverso gli appositi servizi telematici dell’Agenzia di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio 6 dicembre 2006. Resta ferma la trasmissione ai Comuni da parte dell’Agenzia: dei file relativi alle dichiarazioni di variazione e di nuova costruzione; dei tipi mappali e di frazionamento presentati con modello unico informatico catastale.
I servizi telematici inaugurati dal richiamato provvedimento del direttore dell’allora Agenzia del territorio, saranno presto accessibili anche alle altre Pa.

 

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Garante privacy, sanzione al Comune per la violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali

Il Garante della protezione dei dati persoli, con ordinanza-ingiunzione del 15 gennaio scorso, ha comminato una sanzione amministrativa pecuniaria, pari ad euro 10.000,00, per violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali. Nel caso di specie, è emerso che sul sito web istituzionale del Comune, nella sezione dedicata all’Albo pretorio, era visibile e liberamente scaricabile la determinazione dirigenziale con la quale veniva disposta la liquidazione delle spese legali per un procedimento giudiziario in cui era stato parte il Comune medesimo; nello stesso atto risultavano riportati anche dati e informazioni personali del reclamante, con dettagliati riferimenti alle relative infermità per cause di servizio, come l’indicazione che lo stesso aveva «diritto all’equo indennizzo per XX». Dalle verifiche compiute sulla base degli elementi acquisiti, anche attraverso la documentazione inviata dal Comune, e dei fatti emersi a seguito dell’attività istruttoria, nonché delle successive valutazioni, l’Ufficio del Garante ha accertato che il Comune con la pubblicazione integrale sito web istituzionale della suddetta determinazione, nella sezione dedicata all’Albo pretorio, abbia effettuato un trattamento non conforme alla disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali.

 

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Incarico di revisore dei conti a dipendente pubblico

La valutazione dei presupposti ai fini dell’autorizzazione all’incarico di revisore ad un dipendente pubblico è rimessa all’ente locale – datore di lavoro, ove non vi sia conflitto di interessi con l’ente presso il quale si è dipendente ed al di fuori dell’orario di servizio. È questa, in sintesi, la risposta fornita dal Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di un dipendente pubblico di svolgere l’incarico di revisore dei conti presso altra amministrazione pubblica. Il Ministero ricorda che l’art. 53, del D.Lgs. n. 165/2001, tenuto conto dei principi costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 della Cost., disciplina la materia delle incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi secondo cui, in generale, i lavoratori dipendenti delle PA con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato non possono intrattenere altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo o esercitare attività imprenditoriali. Accanto al regime dell’incompatibilità assoluta opera il regime dell’autorizzazione, quando si verificano le ipotesi, in presenza delle quali la legge ammette lo svolgimento contestuale di attività lavorative, che si accompagnano a quella alle dipendenze di un’amministrazione pubblica. Non si può, dunque, affermare che esista un diritto del dipendente pubblico ad assumere incarichi esterni conferiti da altri soggetti, pubblici o privati che siano. Al contrario, esiste una volontà generale del legislatore di escludere la sussistenza di un tale diritto. È per questa ragione che è necessaria l’autorizzazione preventiva allo svolgimento di attività a beneficio di terzi. Tali disposizioni normative, inoltre, vanno lette in combinato disposto con l’art. 236 del TUEL, il quale disciplina i casi di incompatibilità e ineleggibilità all’incarico di revisore dei conti. Le ipotesi di incompatibilità sono tipiche e nominate dal legislatore e, pertanto, non possono essere derogate né estese per analogia ad altri casi che non siano quelli espressamente previsti dal legislatore medesimo. Ne consegue che un esame di eventuali ipotesi di cui trattasi deve essere effettuato in chiave di stretta interpretazione. In definitiva, con riferimento al caso di specie, risulta fondamentale l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, per la valutazione delle incompatibilità ex legis e per eventuali conflitti di interesse del caso concreto, ai sensi della legge n.190 del 2012 e con il decreto legislativo n. 39 del 2013. Per ulteriori chiarimenti, il Ministero dell’interno rimanda al Dipartimento della Funzione Pubblica l’eventuale approfondimento sul tema.

 

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Le modalità di affidamento dell’incarico professionale non mutano in ragione dell’importo

Con riferimento alle procedure di conferimento degli incarichi e alle forme di pubblicità non risulta conforme al dettato normativo la previsione del regolamento comunale, volta ad individuare due procedure differenziate a seconda dell’importo dell’incarico. A differenza di quanto avviene per gli appalti pubblici, infatti, le modalità di affidamento dell’incarico professionale non mutano in ragione dell’importo dell’incarico da conferire, ma devono essere sempre conformi alle regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico. Ne deriva che qualunque incarico, a prescindere dal suo importo, può essere conferito solo dopo una procedura pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e pubblicità e, dunque, instaurata a seguito di un’adeguata pubblicizzazione dell’avviso relativo. Per tali ragioni è da escludere che, con riferimento agli incarichi di importo più contenuto, il comune possa limitarsi, in assenza di alcun riferimento alla doverosa pubblicizzazione della selezione ed alla garanzia della parità di accesso degli interessati, a ricorrere ad “apposita selezione comparativa”. Sono alcuni dei rilievi mossi dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, Deliberazione n. 3 del 21.01.2021, nell’espletamento delle funzioni di controllo sul Regolamento per la disciplina degli incarichi ad esperti esterni di un Comune.
La Sezione rammenta che, ai sensi del comma 6 dell’art. del D.Lgs. 165/2001, i presupposti necessari per poter conferire incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo da parte delle PA riguardano:
a) l’oggetto della prestazione, che deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;
b) l’impossibilità oggettiva, preliminarmente accertata, di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione;
c) la natura temporanea e altamente qualificata della prestazione (è possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria solo nei casi espressamente previsti dalla normativa); l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico;
d) la preventiva determinazione della durata, dell’oggetto e del compenso della collaborazione;
e) il ricorso a procedure comparative, adeguatamente pubblicizzate;
f) la valutazione dell’organo di revisione per gli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.
Le deroghe al principio concorsuale hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale.
Quanto agli adempimenti relativi alla pubblicità degli incarichi esterni, la Sezione, nel richiamare quanto previsto dall’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013 in merito alla individuazione delle informazioni che devono essere pubblicate e costantemente aggiornate, evidenzia la necessità del rispetto della tempistica prevista dall’art. 15, comma 4, del d.lgs. 33/2013, secondo cui “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui ai commi 1 e 2 entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dell’incarico”.

 

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Province, Riparto del contributo di 180 milioni di euro per l’esercizio delle funzioni fondamentali

Con comunicato del 25 gennaio, il Ministero dell’Interno informa che è in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, in data 25 gennaio 2021, che prevede il riparto a favore delle province delle regioni a statuto ordinario del contributo di 180 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2021, per l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, previsto dall’articolo 1, comma 838, della legge di bilancio 2018, legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018). I dati relativi ai contributi attribuiti a ciascuna provincia sono indicati nell’Allegato 1.

7.246 i Comuni che hanno richiesto di accedere al Fondo per l’innovazione

Il Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, con apposito comunicato, informa che sono 7.246 i Comuni che hanno richiesto di accedere al Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione. Si tratta di un numero rilevante che rappresenta il 92% del totale dei Comuni che sono 7.904. I Comuni italiani si avviano quindi verso la digitalizzazione, come prevede il decreto legge su “Semplificazione e innovazione digitale”, adottando l’identità digitale Spid e la Carta d’identità elettronica per consentire l’accesso ai servizi, integrando la piattaforma pagoPa per i pagamenti elettronici e avviando la migrazione dei servizi nell’applicazione IO, per favorirne l’utilizzo anche da smartphone.
Le risorse messe a disposizione degli Enti ammontano a 43 milioni su un totale di 50 milioni dell’intero Fondo, che con l’ultima legge di bilancio è diventato strutturale. Le quote, assegnate ai Comuni in base alla popolazione residente, verranno erogare in due tranche, dopo la verifica dello stato di avanzamento dei processi di digitalizzazione: la prima, pari al 20%, per le attività concluse entro il 28 febbraio 2021; la seconda, per il restante 80%, entro il 31 dicembre 2021 a verifica delle attività avvenute.
La maggioranza dei Comuni, esattamente 5.560, ha richiesto di accedere al Fondo aderendo all’Avviso Pubblico promosso dal Dipartimento per la Trasformazione digitale il 15 dicembre 2020 e gestito da PagoPa S.p.A, in convenzione con l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (Ipzs). Gli altri 1.686 Comuni hanno accesso al Fondo avendo aderito a specifici accordi regionali per la messa in atto dei processi. Le Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Puglia, Veneto e la Provincia Autonoma di Trento si sono fatte promotrici di iniziative per agevolare le amministrazioni comunali dei loro territori ad adottare ed integrare le piattaforme abilitanti Spid, pagoPa e AppIO.

 

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Linee guida sul Sistema nazionale di certificazione delle competenze

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 13 del 18 gennaio 2021 il Decreto 5 gennaio 2021 di adozione delle Linee guida che rendono operativo il Sistema nazionale di certificazione delle competenze.
Le Linee guida hanno una valenza strategica in quanto rappresentano il provvedimento che rende operativo il Sistema nazionale di certificazione delle competenze, di cui all’articolo 4, comma 58, della Legge 28 giugno 2012, n. 92 e al citato Decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, inserendosi nell’ambito del più ampio processo nazionale per il diritto individuale all’apprendimento permanente. In tale contesto il riconoscimento e la certificazione delle competenze, acquisite dall’individuo in contesti formali, non formali e informali, insieme alla realizzazione di reti territoriali e alla realizzazione della dorsale informativa unica mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti, sono determinanti per favorire e sostenere un concreto incremento della partecipazione delle persone alla formazione, nonché una spendibilità delle competenze acquisite anche in contesti informali e non formali all’interno del mercato del lavoro.
La messa a regime dei servizi di individuazione e validazione e certificazione delle competenze, negli ordinamenti e nelle politiche, costituisce una leva strategica essenziale per l’innalzamento dei livelli di qualificazione e occupabilità, per la competitività e produttività delle imprese e delle professioni e per l’ammodernamento e l’efficacia dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro.
I servizi di individuazione e validazione e certificazione delle competenze saranno anche un importante fattore di innovazione dei sistemi educativi e formativi, favorendo la personalizzazione degli apprendimenti in contrasto all’insuccesso e alla dispersione e facilitando le transizioni dallo studio al lavoro attraverso una progettazione dell’offerta educativa e formativa arricchita e integrata dall’apporto di una più vasta compagine di soggetti, quali ad esempio le imprese e le associazioni professionali, gli enti espressione della bilateralità o le organizzazioni del volontariato e del terzo settore (Fonte Ministero Lavoro).