La gestione delle farmacie comunali costituisce servizio pubblico locale di rilevanza economica

Con la deliberazione n. 336/2025, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, nel fornire riscontro alla richiesta di in un Comune, in merito alla qualificazione del servizio svolto da una società mista che gestisce la farmacia comunale, ha confermato l’orientamento per cui la gestione delle farmacie comunali costituisce servizio pubblico locale di rilevanza economica, assoggettato alle regole generali in tema di concorrenza, finanza pubblica e governance delle partecipate.

Il quesito nasce a seguito della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 10 luglio 2025 (causa C-715/23), che avrebbe, secondo l’amministrazione istante, qualificato la gestione di una farmacia come servizio sociale. L’ente locale ha chiesto se tale qualificazione incida sui criteri di sostenibilità finanziaria e programmazione economica applicabili ai piani economico-finanziari del servizio; sugli obblighi di bilancio e di controllo derivanti per il Comune socio della società mista; e, infine, sulle funzioni di controllo della Corte dei conti, in relazione agli strumenti di vigilanza e ai piani di razionalizzazione delle partecipate.

Richiamando l’art. 9 della legge n. 475 del 1968, come modificato dalla legge n. 362 del 1991, la Corte ha ricordato che le farmacie comunali possono essere gestite:

  • in economia;
  • tramite azienda speciale;
  • mediante consorzio tra comuni;
  • o attraverso società di capitali miste tra il comune e farmacisti dipendenti della farmacia comunale.

In questo contesto, è ammesso anche l’affidamento a terzi mediante gara pubblica o procedura a doppio oggetto, nel rispetto del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023). La Sezione ha chiarito che la pronuncia europea del 10 luglio 2025 non ha qualificato la gestione delle farmacie come servizio sociale, ma si è limitata a stabilire che tale attività rientra, ai fini delle concessioni, tra i “servizi sociali e altri servizi specifici” di cui all’art. 19 della direttiva 2014/23/UE.

La Corte di giustizia ha anzi ribadito che la gestione di una farmacia, consistente principalmente nella vendita retribuita di medicinali e nella consulenza professionale, non rientra tra i servizi non economici di interesse generale.

Ne deriva che il servizio farmaceutico comunale mantiene natura di servizio pubblico di rilevanza economica, come da costante giurisprudenza amministrativa e contabile, e non può essere assimilato ai servizi sociali di cui alla legge quadro n. 328/2000, che non include le farmacie tra le prestazioni sociali. Pertanto, le società, anche miste, che gestiscono farmacie comunali restano soggette alle disposizioni del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP) in materia di partecipazioni pubbliche; al d.lgs. n. 201/2022 sui servizi pubblici locali e al d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), secondo i rispettivi ambiti di competenza.

La Corte dei conti ha richiamato la propria deliberazione n. 348/2017/PAR, ribadendo che la gestione delle farmacie comunali, pur caratterizzata da una finalità sociale, non è esente dai vincoli di finanza pubblica e deve osservare le regole sulla razionalizzazione e sul controllo delle partecipate. La specificità del servizio, anche alla luce dell’art. 32 della Costituzione, non può giustificare deroghe ai principi di equilibrio economico-finanziario e di sostenibilità della gestione.

La funzione sociale del servizio, pur rilevante sul piano costituzionale, non ne muta la natura economica, né incide sugli obblighi contabili o sui poteri di controllo dell’ente locale e della magistratura contabile.

 

La redazione PERK SOLUTION

Compensi amministratori delle società pubbliche: inderogabile il limite dell’80% del costo 2013

Con la recente deliberazione n. 320/2025/PAR, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti è tornata a pronunciarsi in tema di compensi degli amministratori di società a controllo pubblico, confermando la rigidità del vincolo finanziario previsto dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP), che richiama l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95/2012.

Il parere trae origine da una richiesta di un Comune, che, in assenza dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dal comma 6 dell’art. 11 TUSP, ha chiesto se fosse possibile riconoscere all’amministratore unico della società in house Farmacia un compenso superiore all’80% di quello sostenuto nel 2013, in considerazione dell’evoluzione della società e delle accresciute responsabilità gestionali.

La Corte dei conti ha ribadito la linea interpretativa consolidata: in mancanza di una specifica norma derogatoria o del decreto ministeriale attuativo, il limite dell’80% del costo 2013 resta pienamente operativo e non può essere superato neppure in presenza di mutate condizioni organizzative, ampliamento delle attività o incremento delle responsabilità manageriali.

La Sezione ha richiamato un ampio orientamento della giurisprudenza contabile (tra le altre, Sez. reg. contr. Lombardia, n. 19/2024/PAR; Veneto, n. 160/2023/PAR; Liguria, n. 29/2020/PAR), sottolineando che qualsiasi interpretazione flessibile o “creativa” si porrebbe in contrasto con la ratio di contenimento della spesa pubblica e con i principi di coordinamento della finanza pubblica allargata.

Pur riconoscendo l’anacronismo di un parametro fermo al 2013 e la conseguente perdita di proporzionalità rispetto all’attuale configurazione delle società partecipate, la Corte ha rimarcato che solo un intervento del legislatore o l’adozione del decreto ministeriale previsto dal TUSP potranno adeguare il quadro normativo alla realtà economico–organizzativa odierna.

La pronuncia si inserisce in un contesto di crescente attenzione per la coerenza dei limiti retributivi pubblici, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 135/2025, che ha dichiarato l’illegittimità del tetto di 240.000 euro per i dipendenti pubblici, originariamente introdotto a fini emergenziali.
Tuttavia, osserva la Corte dei conti, tale evoluzione non può essere anticipata in via interpretativa, permanendo – sino a nuova disciplina – l’obbligo di rispettare il limite storico dell’80%.

 

La redazione PERK SOLUTION

TARI e attività agrituristiche: legittima l’assimilazione agli esercizi alberghieri se basata sulla capacità di produrre rifiuti

Con la sentenza n. 7614 del 2025, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, ha accolto l’appello del Comune di Ercolano, riformando la decisione del TAR Campania (Sez. VI, n. 171/2025) che aveva annullato la delibera comunale n. 33/2021 nella parte in cui equiparava l’attività agrituristica a quella alberghiera ai fini della TARI.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto illegittima tale assimilazione, valorizzando la diversità strutturale e funzionale tra agriturismo e impresa alberghiera, nonché la natura accessoria dell’attività ricettiva rispetto a quella agricola.

Il Consiglio di Stato, ribaltando tale impostazione, ha chiarito che il criterio determinante per la classificazione tariffaria non risiede nella natura giuridica o nella disciplina di settore delle attività, bensì nella loro effettiva capacità di produrre rifiuti urbani. La TARI, infatti, trova il proprio presupposto impositivo nella potenzialità di generare rifiuti delle superfici tassabili, come stabilito dai commi 641 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 147/2013.

Di conseguenza, l’assimilazione tra agriturismi e strutture alberghiere risulta legittima se fondata su criteri oggettivi di produttività dei rifiuti, coerenti con i principi di proporzionalità e ragionevolezza che governano la tariffazione del servizio. Resta fermo che, in sede applicativa, il soggetto passivo dovrà distinguere le superfici destinate ad attività agricola da quelle destinate a ospitalità, applicando a ciascuna la tariffa corrispondente.

La decisione, oltre a ribadire l’ampia discrezionalità dei comuni nella determinazione delle categorie tariffarie, riafferma una lettura funzionale della TARI, ancorata alla reale capacità inquinante e non alla qualificazione formale dell’attività economica.

 

La redazione PERK SOLUTION

Aggiornamento delle regole per la differenziazione delle aliquote IMU

È stato approvato dalla Conferenza Stato-città il nuovo schema di decreto del Vice-Ministro dell’economia e delle finanze che aggiorna le condizioni in base alle quali i Comuni potranno differenziare le aliquote IMU.
Le novità, che decorrono dall’anno di imposta 2026, tengono conto delle esigenze emerse nel corso dell’anno d’imposta 2025.

Si ricorda che con con il decreto del Vice Ministro dell’economia e delle finanze del 7 luglio 2023 sono state individuate le fattispecie dell’imposta municipale propria (IMU) che consentono ai comuni di differenziare le aliquote previste dall’art. 1, commi da 748 a 755, della legge 27 dicembre 2019, n. 160. Il medesimo decreto ha inoltre definito le modalità di elaborazione e trasmissione al Dipartimento delle finanze del “Prospetto IMU” di cui al comma 757 del citato articolo.

L’art. 7 del decreto 7 luglio 2023 aveva previsto che l’obbligo di predisporre la delibera di approvazione delle aliquote tramite l’applicazione informatica del Portale del federalismo fiscale decorresse dall’anno d’imposta 2024. Tuttavia, l’art. 6-ter, comma 1, del D.L. 29 settembre 2023, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 27 novembre 2023, n. 170, ha prorogato tale termine all’anno d’imposta 2025, a seguito delle criticità riscontrate dai comuni nella fase di sperimentazione.

All’esito di tale fase, è stato emanato il decreto 6 settembre 2024, che ha integrato e riapprovato l’Allegato A al decreto 7 luglio 2023. In considerazione delle ulteriori esigenze emerse nel primo anno di applicazione obbligatoria del Prospetto (2025), il nuovo decreto ministeriale provvede a riapprovare l’Allegato A, sostituendolo integralmente e introducendo ulteriori condizioni che consentono ai comuni di differenziare le aliquote nell’ambito delle fattispecie individuate.

 

La redazione PERK SOLUTION