Equo indennizzo e rimborso delle spese di degenza per cause di servizio personale Polizia Locale

Con la Circolare DAIT n. 5/2025, la Direzione Centrale della Finanza Locale fornisce le istruzioni in merito ai criteri e modalità di rimborso delle spese sostenute dai Comuni per la corresponsione al personale della polizia municipale dell’equo indennizzo e del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio.

Sono legittimati alla presentazione della richiesta di rimborsi solo i comuni e solo per gli eventi verificatisi esclusivamente dal 22 aprile 2017. L’invio del certificato pertanto è obbligatorio solo se si intende chiedere il contributo. Le richieste da parte dei comuni, modello “A” allegato al citato decreto interministeriale del 4 settembre 2017, devono essere inviate con modalità esclusivamente telematica, tramite il Sistema certificazioni enti locali (Area Certificati TBEL, altri certificati), accessibile dal sito internet della Direzione Centrale, entro le ore 24,00 del 31 marzo 2025, a pena di decadenza, con riferimento alle spese sostenute nell’anno precedente. È comunque data facoltà ai comuni che avessero necessità di rettificare il dato già trasmesso, di formulare, sempre telematicamente entro e non oltre il termine del 31 marzo 2025 una nuova richiesta che annulla e sostituisce la precedente.

Il Ministero effettuerà un’attività di monitoraggio della spesa ed eseguirà, anche a campione, verifiche della documentazione relativa alla liquidazione delle
istanze accolte per i comuni che presenteranno un andamento della spesa particolarmente elevato, anche avvalendosi, mediante apposite convenzioni, dei servizi ispettivi di finanza pubblica dell’Ispettorato generale di finanza del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Ove dal monitoraggio si rilevassero spese non ammissibili al rimborso, si provvederà al recupero delle suddette somme a valere sui trasferimenti a qualsiasi titolo dovuti al comune interessato.

 

La redazione PERK SOLUTION

Compensi professionali dell’Avvocatura: Sul regolamento non occorre il parere preventivo dell’Organo di revisione

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 17/2025, in riscontro ad una richiesta di parere afferente al tema dei compensi professionali dell’Avvocatura Comunale, ha evidenziato che ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 90/2014, convertito nella l. n. 114/2014, non occorra acquisire sulla proposta di regolamento riguardante l’avvocatura comunale il parere preventivo del collegio di revisione contabile dell’ente locale, analogamente a quanto accade per il contratto decentrato integrativo su base annua, trattandosi di fonti di regolazione diverse, ciascuna con il proprio tracciato normativo di formazione della fattispecie.

L’Avvocatura va considerata come un ufficio del comune in senso tecnico, con un organico che esercita la professione sulla base di un rapporto di lavoro subordinato con l’Amministrazione e, pertanto, l’adozione del regolamento atto rientra nella sfera di auto-regolamentazione dell’organo esecutivo dell’ente. Esso assurge a espressione del generale potere di macro-organizzazione degli uffici in applicazione dell’art. 48, comma 3 TUEL, disposizione che ha rimesso alla competenza della giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi comunali. Inoltre, non si rinviene una norma che preveda il preventivo parere del collegio dei revisori sulla proposta di delibera di giunta volta all’approvazione del regolamento in commento; ciò diversamente dalle ipotesi tipizzate in cui il legislatore statuisce in termini di obbligatorietà del parere sulle proposte di deliberazione, espressione per lo più, in tali casi, della volontà collegiale del consiglio comunale, titolare del potere di indirizzo politico e di controllo dell’ente.

Nulla vieta all’ente locale di licenziare una previsione regolamentare che, recependo i contenuti della regola negoziale, richieda ai fini della corresponsione dei compensi la previa sottoscrizione di un contratto decentrato (con doveroso intervento preventivo dell’organo di revisione, come richiesto dall’art. 40-bis Tupi), posto che siffatto impianto normativo non contrasta con le previsioni primarie di riferimento (art. 9 del d.l. n. 90/2014, citato) che rimandano alla regolamentazione e alla contrattazione.

 

La redazione PERK SOLUTION

No all’intervento finanziario pubblico in favore di una società partecipata in concordato liquidatorio

La Corte dei conti, Sez. Abruzzo, con deliberazione n. 19/2025, si pronuncia su una richiesta di parere da parte di un Comune in merito alla possibilità di un intervento finanziario per poter rendere accessibile alla Società, interamente partecipata dall’Ente, la procedura di Concordato Liquidatorio ai sensi della nuova formulazione dell’art. 84 del Codice della crisi di impresa (D.Lgs. n. 14/2019), derogando al divieto di soccorso finanziario previsto, invece, dal Testo unico delle società partecipate (D.lgs. n. 175/2016, c.d. TUSP).

Secondo la Sezione, un intervento finanziario pubblico in favore di una società partecipata in concordato liquidatorio è contrario ai principi di buona gestione della finanza pubblica. Il concordato liquidatorio rientra tra gli strumenti negoziali di gestione della crisi di impresa previsti dall’ordinamento giuridico al fine di prevenire e/o evitare che la definizione del complesso delle relazioni tra parte debitrice e parte (o parti) creditrice sia rimessa all’esito della procedura di liquidazione giudiziale. L’istituto si caratterizza per essere un accordo stragiudiziale tra debitore e creditori di un’azienda in condizione di difficoltà economica diretto alla vendita e alla “liquidazione” di tutti gli asset aziendali al fine di ottenere le risorse finanziarie necessarie e utili al pagamento dei debiti garantendo la soddisfazione delle classi creditorie. In quanto tale, il concordato liquidatorio rappresenta una modalità di realizzazione della regola generale della responsabilità patrimoniale posta all’art. 2740 c.c. Affinché lo strumento produca i suoi effetti, è necessario che alla domanda di ammissione, proposta dal debitore, faccia seguito un piano, dallo stesso predisposto, nel quale si esplichino le modalità di composizione della crisi.

Il concordato liquidatorio differisce nelle finalità dalla figura del concordato preventivo avente, invece, l’obiettivo di raggiungere il risanamento dell’impresa preservando la continuità aziendale. In questo ultimo caso, a maggior ragione, è data la possibilità di accedere a strumenti preventivi di gestione della crisi che permettono di conservare i valori aziendali.

L’art. 14, comma 5 del TUSP prevede il c.d. “divieto di soccorso finanziario” che limita fortemente per le amministrazioni pubbliche (dunque anche per gli enti locali) l’ammissibilità di interventi a sostegno di organismi partecipati. La norma impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi” di strutture e organismi partecipati che versano in situazione di crisi. La questione è stata più volte affrontata dalla Magistratura contabile la quale è giunta al consolidato orientamento secondo cui “non sussiste a carico del socio pubblico, anche se unico socio, alcun obbligo di procedere al ripianamento delle perdite né all’assunzione diretta dei debiti di una società partecipata” (cfr. Sez. regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 64/2021/PAR).
Dunque, laddove non risultino riscontrabili condizioni di pacifica ed evidente straordinarietà, il “soccorso finanziario” non è ammesso.

Eccezioni al divieto di soccorso finanziario sono ammesse solo “a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma […] purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento”, nella prospettiva, quindi, della prosecuzione dell’attività sociale, in presenza di una documentata e motivata prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione che dimostri lo specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali, evidenziando in particolare le ragioni economico-giuridiche.

Il divieto di cui all’art. 14, comma 5, TUSP vale a maggior ragione rispetto a società poste in liquidazione, essendo in tal caso di per sé esclusa qualsiasi prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione 9 maggio 2022, n. 24/2022/PAR), a meno che l’ente pubblico sia in grado di dimostrare la sussistenza di un prevalente interesse pubblico tale da giustificare l’operazione. Ipotesi, quest’ultima, eccezionalmente ravvisata dalle stesse sezioni regionali di controllo «solo con riferimento a poche situazioni concrete, in
particolare nell’ipotesi della necessità di recuperare al patrimonio comunale beni societari indispensabili per la prosecuzione dell’erogazione di servizi pubblici fondamentali, o nel caso di pregresso rilascio di garanzia dell’Ente per l’adempimento delle obbligazioni della società.

 

 

La redazione PERK SOLUTION