L’inosservanza dei tempi di deposito della relazione dell’organo di revisione rende illegittima la deliberazione di approvazione del rendiconto

Il ritardo nella messa a disposizione dei consiglieri della relazione dell’organo di revisione al rendiconto di gestione determina un vulnus alle prerogative consigliari, impedendo una deliberazione consapevole, dovendosi escludere che si tratti di una violazione meramente procedimentale ovvero di una forma di irregolarità inidonea a determinare l’invalidità della delibera di approvazione, integrando, per contro, un vizio sostanziale che determina l’illegittimità della delibera consiliare. È quanto ribadito dal TAR Lazio, Sez. Seconda Bis, con sentenza n. 11588 del 09/11/2020, conformemente a quanto già espresso dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3813 del 2018. Non soccorre, al fine di addivenire a differenti conclusioni, la circostanza che il regolamento comunale abbia previsto per il deposito della relazione un più ridotto termine di dieci giorni antecedenti alla seduta consiliare avente ad oggetto l’approvazione del rendiconto di gestione, tenuto conto dell’applicazione dei generali principi sulla gerarchia delle fonti.
Al riguardo, giova ricordare che l’art. 227, TUEL dispone che:
a) il rendiconto è deliberato dall’organo consiliare entro il 30 aprile dell’anno successivo, tenuto motivatamente conto della relazione dell’organo di revisione;
b) la proposta è messa a disposizione dei componenti dell’organo consiliare prima dell’inizio della sessione consiliare in cui viene esaminato il rendiconto entro un termine non inferiore a venti giorni, stabilito dal regolamento di contabilità.
La norma prevede, dunque, un termine dilatorio fra il deposito degli atti e la votazione, per consentire lo studio della documentazione sui quali interverrà il voto, affinché la discussione possa svolgersi in modo informato e consapevole da parte dei consiglieri comunali.
Del pari, secondo i giudici amministrativi, neppure è possibile riconnettere positivo apprezzamento alla ricezione della notificazione della diffida prefettizia, giacché, in disparte ulteriori considerazioni, l’amministrazione era nelle condizioni di assicurare il rispetto sia del termine sopra indicato sia di quello assegnato dal Prefetto, non emergendo in atti una indifferibilità correlata all’ottemperanza della diffida in argomento, tanto più che, come chiarito anche di recente dal Giudice d’Appello, l’art. 141, comma 2, del TUEL – applicabile in virtù del richiamo di cui al successivo art. 227, comma 2 bis ed ai sensi del quale “… quando il Consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla Giunta, l’organo regionale di controllo assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio” – ha introdotto un termine acceleratorio, che non è “assistito da alcuna qualificazione di perentorietà”, potendo derivare la grave misura dello scioglimento dell’organo non già dalla mera inosservanza del termine suddetto bensì dalla constatata inadempienza ad una intimazione puntuale e ultimativa dell’organo competente, che attesta l’impossibilità, o la volontà del Consiglio di non addivenire all’approvazione (Cons. St., sez. III, n. 4288 del 2020, con la quale sono state condivise le statuizioni recate nella sentenza del Tar Campania, sezione staccata di Salerno, sez. II, n. 97 del 17 gennaio 2020).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION