Illegittimo il regolamento comunale che prevede un compenso palesemente incongruo per i legali esterni

È illegittimo il regolamento del Comune che prevede la corresponsione di un compenso palesemente incongruo (nella specie, pari alla metà dei valori minimi tariffari) agli avvocati esterni all’ente locale affidatari di incarichi professionali. È quanto stabilito dal TAR Sicilia, sezione I, con sentenza del 14 marzo 2023, n. 815.

Osserva il collegio che in materia di equo compenso spettante agli avvocati iscritti all’albo, pur successivamente al d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani) – il cui art. 2, comma 1, ha abrogato le disposizioni che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie, fisse o minime per le attività professionali e intellettuali – vige un principio volto ad assicurare anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro: è sufficiente, a tal fine, fare rinvio agli artt. 35 e 36 della Costituzione, i quali, rispettivamente, tutelano il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, e il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro.

Ne costituiscono indiretta conferma sul piano interpretativo le sopravvenienze normative, seppure non direttamente applicabili ratione temporis al caso di specie, contenute:

– nell’art. 13-bis della l. n. 247/2012, introdotto dall’art. 19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017, secondo cui il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale (comma 2);

– nel comma 3 dello stesso art. 19-quaterdecies, il quale stabilisce che “3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Tali disposizioni – non direttamente applicabili, lo si ribadisce, al caso in esame – disvelano l’esistenza nell’ordinamento di un principio volto ad assicurare anche al lavoratore autonomo un compenso proporzionato alla quantità e qualità del suo lavoro.

Sicché, seppure la p.a. nell’applicare il concetto di equo compenso possa ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità anche in ragione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, tuttavia deve contemperare tali esigenze con quella di assicurare al professionista un compenso che non sia lesivo del decoro e del prestigio della professione.

Nel caso in esame costituisce circostanza incontestata che il compenso previsto – il 20% dei valori medi – sostanzialmente si traduce nella metà dei valori minimi tariffari e, pertanto, ben al di sotto di tali minimi; e la non congruità dei compensi è confermata dalla previsione di un’ulteriore riduzione del 20%, relativamente alle fasi di giudizio espletate, “nel caso di rinuncia del mandato per giusta causa da parte del professionista incaricato”.

Pertanto, l’art. 9 del gravato regolamento deve essere annullato nella parte relativa ai criteri di calcolo, con conseguente obbligo del Comune di rideterminarsi su tale specifico aspetto tenendo conto del quadro normativo di riferimento.

 

La redazione PERK SOLUTION

La forma negoziale per gli affidamenti di incarichi legali

Il contratto per l’incarico legale può considerarsi validamente concluso solo con lo scambio contestuale di proposta ed accettazione scritte, dato il vincolo di forma ad substantiam che caratterizza i negozi con la pubblica amministrazione. È principio pacifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che il requisito della forma prescritto a pena di nullità, quale strumento di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, al fine di prevenire eventuali arbitrii e consentire l’esercizio della funzione di controllo, non può essere surrogato dalla deliberazione con cui l’organo competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico professionale. L’atto deliberativo non può essere qualificato come proposta contrattuale (suscettibile di accettazione anche per fatti concludenti), ma come provvedimento ad efficacia interna, avente quale unico destinatario l’organo legittimato a manifestare all’esterno la volontà dell’ente (Cass. 6555/2014; Cass. 24679/2013; Cass. 1167/2013).
Compete all’Ente, di propria iniziativa, conformarsi alle regole di buon andamento, sollecitando la formalizzazione di una convenzione avente i medesimi contenuti economici della delibera di incarico. È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n.22652 del 19 ottobre 2020.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION