Fondo Garanzia Debiti Commerciali: la Corte dei conti Marche solleva la questione di massima

Nell’ambito dell’esame delle risultanze e degli equilibri di bilancio di un Comune – esercizio 2023 – la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti Marche ha disposto la rimessione al Presidente della Corte dei conti di ogni valutazione in ordine all’opportunità ed alla sussistenza dei presupposti per il deferimento alla Sezione delle autonomie (art. 6, comma 4, D.L. 174/2012) o alle Sezioni riunite in sede di controllo (art. 17, comma 31, D.L. 78/2009) della Corte dei conti della soluzione della seguente questione di massima di interesse generale: “se, ai sensi dell’art. 1, comma 863, L. n. 145/2018, il FGDC, accantonato nel corso degli esercizi precedenti, possa o meno essere liberato anche in sede di predisposizione del rendiconto dell’esercizio in cui è stato riscontrato il rispetto dei limiti legislativi fissati in materia di riduzione dell’indebitamento commerciale pregresso e di tempestività dei pagamenti”.

Nell’ambito dell’esame delle risultanze e degli equilibri di bilancio e dalle informazioni raccolte nel corso dell’istruttoria è emerso che, avendo registrato  al 31.12.2021 indicatori di pagamento non rispettosi di quanto stabilito dal legislatore (art. 1, commi 859 e ss. L. n. 145/2018 e s.m.i.), il Comune ha accantonato, nel bilancio di previsione dell’esercizio 2022, un fondo di garanzia debiti commerciali (FGDC) di importo pari ad euro 2.907,57. Tali condizioni non sono risultate rispettate neanche al 31.12.2022, sicché, nel bilancio di previsione dell’esercizio 2023, è stato disposto l’accantonamento al FGDC di euro 4.124,32, mentre, nel corso dell’esercizio 2023, in sede di rendiconto dell’esercizio 2022, veniva accantonato al FGDC l’importo di euro 2.907,57, esattamente corrispondente a quanto accantonato nel precedente bilancio di previsione del medesimo esercizio. Viceversa, al 31.12.2023, il medesimo Comune è risultato invece rispettoso dei limiti fissati dal legislatore e, perciò, non ha disposto accantonamenti di risorse al FGDC nel bilancio di previsione dell’esercizio 2024 e, nel corso dell’esercizio 2024, in sede di rendiconto dell’esercizio 2023, per un’ipotizzata “errata interpretazione” del dato normativo, non avrebbe accantonato l’importo di euro 4.124,32 ed avrebbe eliminato il precedente accantonamento di euro 2.907,57. Al 31.12.2024 l’Ente sarebbe tornato a registrare il mancato rispetto dei limiti fissati dalla legge in tema di pagamento dei debiti commerciali e, pertanto, avrebbe disposto, nel bilancio di previsione dell’esercizio 2025, un accantonamento ad FGDC per euro 17.710,55, mentre, nel corso dell’esercizio 2025, in sede di rendiconto dell’esercizio 2024, non avrebbe accantonato alcun importo ad FGDC, in quanto, per l’anno 2024, non era stato previsto alcun FGDC, dato che, al 31.12.2023, risultavano rispettate le condizioni fissate dal legislatore.

Le risultanze istruttorie hanno consentito di appurare che l’accantonamento al FGDC di euro 2.907,57 disposto nel bilancio di previsione e nel rendiconto dell’esercizio 2022 è stato poi (secondo l’Ente erroneamente) liberato nel corso del 2024, in sede di predisposizione del rendiconto dell’esercizio 2023, anziché attendere il rendiconto dell’esercizio 2024, ossia dell’esercizio successivo a quello (il 2023) in cui sono risultati rispettati i limiti legislativi in materia di riduzione dell’indebitamento commerciale e di tempestività dei pagamenti, come richiesto dall’art. 1, comma 863, L. n. 145/2018. Tale ipotizzata anomalia sarebbe stata oggetto di segnalazione automatica anche da parte della piattaforma BDAP in data 24.12.2024.

Il comma 863 prevede che “Nel corso dell’esercizio l’accantonamento al Fondo di garanzia debiti commerciali di cui al comma 862 è adeguato alle variazioni di bilancio relative agli stanziamenti della spesa per acquisto di beni e servizi e non riguarda gli stanziamenti di spesa che utilizzano risorse con specifico vincolo di destinazione. Il Fondo di garanzia debiti commerciali accantonato nel risultato di amministrazione è liberato nell’esercizio successivo a quello in cui sono rispettate le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 859”.

In sostanza, le risorse accantonate al FGDC nell’esercizio T, eventualmente sommate a quelle già accantonate nel corso degli esercizi precedenti, potranno essere liberate solo nell’esercizio T+1, a condizione che, al 31 dicembre dell’anno T, siano stati rispettati i requisiti relativi ai tempi di pagamento e alla riduzione dello stock di debito commerciale. La previsione per cui l’accantonamento può essere liberato nell’esercizio successivo a quello in cui si sono verificate le condizioni previste dalla norma, è motivata dalla circostanza che “solo a fine anno, con la chiusura dell’esercizio, l’Ente dispone di dati certi e definitivi per il calcolo dell’indicatore di ritardo annuale di pagamento relativo alle fatture scadute nell’anno.

L’interpretazione dell’art. 1, comma 863, L. n. 145/2018 è stata oggetto di orientamenti contrastanti, non essendo chiaro se l’inciso “nell’esercizio successivo” sia da intendere in senso strettamente cronologico, vale a dire nel senso che l’importo accantonato al FGDC può essere liberato “nel corso dell’esercizio successivo” a quello in cui sono state rispettate le tempistiche di pagamento e, quindi, anche in sede di predisposizione del rendiconto dell’esercizio precedente, materialmente redatto nel corso dell’esercizio successivo, ovvero in senso prettamente contabilistico, vale a dire nelle scritture contabili relative all’esercizio successivo, ossia, nel caso in questione, nel rendiconto dell’esercizio successivo (il 2024) a quello (il 2023) in relazione al quale è stato riscontrato il ripristinato rispetto delle tempistiche di pagamento e di riduzione dell’indebitamento commerciale.

La Sezione, dopo aver rilevato l’esistenza di orientamenti contrastanti, e considerata la rilevanza generale della questione, sospende la propria decisione, riconoscendo la questione come di massima rilevanza generale, trasmettendo la questione (deferimento) al Presidente della Corte dei conti, per valutare se sottoporla alla Sezione delle autonomie (art. 6, comma 4, D.L. 174/2012) o, in caso di rilevanza eccezionale, alle Sezioni riunite in sede di controllo (art. 17, comma 31, D.L. 78/2009).

 

La redazione PERK SOLUTION

Cessione della capacità assunzionale e deroga ai limiti di spesa del personale nelle Unioni di Comuni

Con la Deliberazione n. 143/2025/PAR della Sezione regionale di controllo per il Veneto, nell’affrontare il coordinamento tra la disciplina della capacità assunzionale introdotta dal D.L. 34/2019 (e dal D.M. 17 marzo 2020) per i Comuni “virtuosi” e il regime speciale delle Unioni di Comuni, ha evidenziato che l’Unione può assumere autonomamente, applicando la regola del 100% turnover ex L. 208/2015 (spazi propri), ovvero con spazi ceduti dai Comuni “virtuosi” (art. 32, comma 5, TUEL). In tale ipotesi, all’Unione si trasferiscono anche i corollari del regime comunale: a) deroga ai commi 557-quater e 562 (art. 7, co. 1, D.M. 17/3/2020); b) adeguamento del tetto del trattamento accessorio (art. 33, co. 2, D.L. 34/2019, ult. periodo). Tale ultima interpretazione risulta, infatti, coerente con il senso sotteso all’art. 5, comma 3, dello stesso D.M. che – come già specificato – concede addirittura spazi in più ai piccoli comuni (ovvero con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti), affinché siano utilizzati per l’Unione alla quale aderiscono (ma attraverso l’istituto del «comando»).

La Sezione precisa che anche le assunzioni attraverso cessione di spazi assunzionali potranno avvenire soltanto a condizione che i comuni ne tengano conto come se si trattasse di maggiore spesa propria ai fini dell’art. 33, comma 2, del D.L. 34/2019, oltre che delle disposizioni generali sul contenimento della spesa di personale.

Del resto, una lettura in tal senso orientata si porrebbe anche a salvaguardia del principio di necessario coordinamento della finanza pubblica, sotteso alla finalità, evidenziata dalla Sezione delle Autonomie con la pronuncia n. 4/2021/QMIG – attraverso il rinvio alla sentenza n. 22/2014 della Corte Costituzionale – finora perseguita dal legislatore, di incentivare le Unioni di comuni “orientate ad un contenimento della spesa pubblica, creando un sistema tendenzialmente virtuoso di gestione associata di funzioni (e, soprattutto, di quelle fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa sia sul piano dell’organizzazione amministrativa, sia su quello dell’organizzazione politica”.

A sua volta, la Sezione di controllo della Toscana, con la citata deliberazione n. 158/2023, ha ribadito che “laddove la cessione abbia luogo a beneficio di Unioni di Comuni, come previsto dal ridetto art.32 Tuel, il Comune, in virtù dell’art.7, comma 1, D.M. 17 marzo 2020, non debba includere i relativi importi nel computo del limite di spesa di cui all’art. 1, commi 557-quater e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dal momento che per il Comune la cessione della capacità assunzionale equivale, quoad effectum, alla avvenuta utilizzazione della stessa mediante assunzione diretta, tenuto conto che una volta ceduta la capacità assunzionale non può più essere utilizzata dal Comune cedente”.

 

La redazione PERK SOLUTION

Inedificabilità sopravvenuta e rimborso ICI e IMU

Ai fini dell’ICI e dell’IMU, un’area deve considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base ad uno strumento urbanistico generale, anche se mancano strumenti attuativi o l’approvazione regionale.
La giurisprudenza, ormai consolidata, distingue infatti tra ius aedificandi (diritto a edificare, di natura urbanistica) e ius valutandi (criterio di tassazione, di natura fiscale): presupposti distinti, che non possono essere confusi.

In tale ottica, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana (sent. n. 688/2025) ha parzialmente accolto l’appello di un Comune contro la decisione di primo grado che lo aveva condannato a rimborsare ICI e IMU su un terreno inizialmente edificabile e poi dichiarato inedificabile.

Secondo i giudici toscani:

  • la caducazione dello strumento urbanistico non fa automaticamente venir meno il presupposto impositivo, poiché ai fini fiscali rileva anche la cosiddetta “edificabilità di fatto”;
  • resta quindi imponibile il suolo che, pur in assenza di strumenti urbanistici efficaci, presenti indici obiettivi di vocazione edificatoria.

Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha riconosciuto comunque il diritto al rimborso limitatamente alle annualità ICI, poiché il regolamento comunale vigente all’epoca prevedeva espressamente tale possibilità in caso di sopravvenuta inedificabilità.

La redazione PERK SOLUTION