Corte dei conti: presupposti per l’utilizzo di immobile comunale a titolo gratuito

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 109/2022, fornisce le coordinate ermeneutiche che regolano l’attività di gestione dei beni del patrimonio disponibile degli enti pubblici, secondo le quali la concessione in uso gratuito di un immobile pubblico costituisce, in via generale, un utilizzo non coerente con le finalità del bene, poiché non reca alcuna entrata all’Ente. Inoltre, posto che l’Ente è tenuto ad improntare la gestione del proprio patrimonio a criteri di economicità ed efficienza, l’uso gratuito, in assenza dei presupposti di legge, concretizzerebbe una ipotesi di depauperamento delle ricchezze della collettività amministrata in violazione del principio di buona amministrazione. Ad analoghe considerazioni si perviene in relazione alla eventuale gratuità anche delle utenze relative al bene concesso.

La Sezione ribadisce come il patrimonio sia uno strumento strategico della gestione finanziaria in quanto espone un complesso di risorse che l’Ente è tenuto ad utilizzare in maniera ottimale, ed a valorizzare, in vista del migliore e più proficuo perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Pertanto, la scelta di concessione in uso gratuito di immobili comunali, ivi compresa la mancata richiesta dei rimborsi per le utenze, oltre a rispettare il principio
del buon andamento ex art. 97 Cost. e art. 1 della Legge n. 241/1990, e la pari condizione di tutti gli interessati, può legittimamente esercitarsi solo nei limiti stabiliti dalla legge; conseguentemente, come anche precisato dalla richiamata giurisprudenza contabile, è ammissibile solo nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico, ovvero nei casi in cui non
sia rinvenibile alcuno scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni, unitamente alla compatibilità finanziaria dell’intera operazione posta in essere.

La concessione in uso gratuito, quale “forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse strumentali alla realizzazione delle proprie finalità a vantaggio dei cittadini”, comporta, tuttavia, la necessità, da parte dell’amministrazione, di un’attenta valutazione comparativa tra gli interessi in gioco; valutazione che dovrà emergere nella motivazione del provvedimento, e che escluda lo scopo di lucro nell’attività svolta dagli utilizzatori del bene, con onere, da parte del Comune, di vigilare sul permanere delle condizioni legittimanti la gratuità dell’uso.

 

La redazione PERK SOLUTION

Niente compenso al Consigliere comunale membro del CDA della società partecipata

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 110/2022, in riscontro ad una specifica richiesta di parere, ha confermato l’interpretazione maggioritaria sostenuta dalla giurisprudenza contabile, ribadendo che nessun compenso può essere corrisposto ad un amministratore di ente locale, a seguito della carica, dallo stesso assunta, di amministratore di una società di capitali partecipata, direttamente e/o indirettamente dallo stesso ente.

L’art. 1, comma 718, della Legge 27/12/2006, n. 296, dispone espressamente che: “Fermo restando quanto disposto dagli articoli 60 e 63 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, l’assunzione, da parte dell’amministratore di un ente locale, della carica di componente degli organi di amministrazione di società di capitali partecipate dallo stesso ente non dà titolo alla corresponsione di alcun emolumento a carico della società”. La norma, nell’escludere che l’assunzione, da parte di un amministratore locale, della carica di componente di organi di amministrazione di società di capitali partecipate dallo stesso ente possa dare titolo alla corresponsione di emolumenti a carico della società, si riferisce genericamente alle “società di capitali partecipate” senza formulare alcuna distinzione in relazione alla
forma di partecipazione.

La formulazione generica della disposizione, secondo l’orientamento della Corte dei conti, la rende riferibile ad ogni tipo di partecipazione societaria, diretta o indiretta, maggioritaria o minoritaria; il divieto introdotto dalla norma in argomento, più che incidere direttamente sulla disciplina civilistica delle società partecipate, sembra piuttosto sancire un obbligo (negativo) a carico degli amministratori di ente locale, obbligo che sarebbe illogico supporre limitato ai soli casi di partecipazione diretta, ovvero maggioritaria.

 

La redazione PERK SOLUTION